Valentino e le sue Scuole

VALENTINO E LE SUE SCUOLE

a cura di Luigi Moraldi

«Valentino dice di aver visto un piccolo bambino nato da poco e di avergli chiesto chi fosse;

 quello rispose di essere il Logos» 

«Valentino… dice così:

 – Dall’inizio siete immortali e figli della vita eterna, avete voluto che la morte fosse divisa fra voi per conservarla e dissolverla:

 e la morte è morta in voi e per voi–» 

Valentino in una  lettera  scrive:

  «–  Tutto  sopportando, Gesù era padrone di sé:

 agiva in maniera divina, mangiava e beveva in maniera particolare  poiché  non  evacuava  gli alimenti.

Tale era  la  forza  e padronanza di sé che il nutrimento dentro di lui non si corrompeva, poiché  egli  non  tollerava  la  corruzione  –»  

«Valentino… così si esprime…:

 – Uno solo è buono, la cui libertà è la rivelazione per mezzo del Figlio e solo per opera sua il cuore può diventare puro, dopo che da lui è stato cacciato ogni spirito malvagio.

Mi sembra che al cuore accada qualcosa di simile a ciò che succede a un albergo;

 questo, infatti, viene rovinato, sforacchiato, spesso riempito di sterco, perché gli avventori si comportano in maniera sconveniente e non hanno cura del luogo, in quanto è di altri.

Nello stesso modo anche il cuore, finché non è oggetto di cura…;

 ma allorché il Padre, il solo buono… viene santificato e risplende di luce…  –» 

Chi è mai questo Valentino dalle espressioni così geniali, chiare, immediate,  profonde  e  sottili?

  Di  lui  sappiamo  pochissimo.

Da Epifanio si sa che nacque in Egitto, completò la sua istruzione ad Alessandria, diffuse la sua dottrina in patria, in seguito andò a Roma e, dopo le vicende romane, si recò a Cipro, ma non v’è qui nulla di storicamente certo.

Ben altro valore hanno le notizie trasmesse da Ireneo:

 Valentino andò a Roma sotto il vescovo Igino (136-40), ebbe il suo apogeo sotto il vescovo Pio (140-55) e lasciò Roma sotto Aniceto (155-66).

 La sua attività romana si può collocare tra il 140 e il 160.

A motivo della fama e del prestigio intellettuale di cui godeva non è inverosimile quanto narra Tertulliano:

 «Valentino aveva sperato l’episcopato (dopo la morte di Pio):

 ne era all’altezza per ingegno ed eloquenza, ma sdegnato perché altri (cioè Aniceto) ottenne quel posto per titolo preferenziale di martirio, uscì dalla chiesa di genuina osservanza…» .

In questo periodo la chiesa di Roma era singolarmente vivace, attraversava anni molto combattuti in quanto proprio in essa erano confluiti alcuni maestri già affermati che avrebbero fatto  parlare  di sé  per  secoli e  conducevano una  vasta campagna di approfondimento e ripensamento del messaggio cristiano con raffinate speculazioni che vertevano su argomenti di vitale importanza per la dottrina cristiana.

Tertulliano anche nei momenti più aspri della sua polemica non pone mai in dubbio l’ingegno e l’eloquenza di Valentino;

 e san Gerolamo scrisse:

 «Nessuno può far sorgere un’eresia e mantenerla  in vita se non ha dalla natura  uno straordinario  intelletto e non comuni doni divini.

Una persona del genere fu Valentino».

Fu uno dei più grandi maestri dello gnosticismo cristiano:

 il suo influsso fu vasto e profondo, e da lui sorsero due scuole:

 la scuola italica e la scuola orientale.

Motivo della divisione al dire di Ippolito fu il giudizio sul corpo di Gesù nato da Maria:

 era un corpo psichico sul quale nel battesimo discese lo Spirito (scuola italica) oppure – dato che la materia è per sua natura cattiva – era un corpo pneumatico (scuola orientale) passato attraverso  Maria senza assumere da lei la carne ilica, corruttibile, votata alla distruzione?

I discepoli più celebri della scuola italica sono Eracleone e Tolomeo, della scuola orientale Assionico (del quale non abbiamo notizie particolari), Marco, Teodoto e, forse il siro Bardèsane.

Valentino scrisse molto, ma ci giunsero soltanto brevi tratti insufficienti per trarne una informazione sufficiente della sua dottrina;

 conosciamo invece molto meglio quella dei suoi discepoli.

Tra le opere scoperte a Nag Hammadi ve ne sono tuttavia alcune che da qualche studioso, sono attribuite a lui e che comunque provengono dalla sua scuola;

  così il Vangelo  di  Verità,  il Vangelo  di  Filippo,  il Trattato tripartito, la Lettera a Regino (o «Trattato sulla Risurrezione»).

Nelle pagine seguenti si darà anzitutto la «Grande Notizia» di Ireneo su Valentino, notizia che tutti gli studiosi riconoscono come fondamentale e la cui utilità apparirà anche nei testi che seguiranno;

 si darà appresso le linee fondamentali di Eracleone, di Tolomeo, e qualche tratto di Teodoto e Marco.

Come s’è detto l’Adversus haereses di Ireneo è diretta soprattutto contro i Valentiniani ed è normale che il vescovo di Lione ne dia la più ampia notizia con la quale concordano Ippolito ed Epifanio che ci trasmise, almeno in parte, il testo greco di Ireneo.

ll  plèroma  o  «pienezza  ».

 La  Divinità  assolutamente trascendente  ci  si  presenta  come  una  «pienezza» (o, con  termine paolino, plèroma), detta Preprincipio, Prepadre,  Abisso, invisibile, incomprensibile, eterno, ingenerato;

 con lui c’era il Pensiero  – la Grazia  – il Silenzio, dunque  la controparte  femminile (come femminile sono, in greco, questi tre termini);

 si susseguono coppie gerarchizzate in una gerarchia decrescente, espressione – per noi – della Divinità;

 riflettendo  su  se  stesso, il  Preprincipio Prepadre  Abisso –  Ennoia Charis Sighe genera l’Intelletto, Unigenito – Padre-Principio di ogni cosa, il solo che comprenda la grandezza del Prepadre, e con lui è emanata la Verità:

 si hanno così le prime quattro  coppie, la prima tetrade;

 l’Intelletto-Unigenito – ecc.

 conscio del motivo della sua emanazione, a sua volta emanò il Logos e con lui la Vita, dai quali emana  la coppia composta dall’Uomo e dalla Chiesa.

Si giunge così alla grande ogdoade primordiale, fondamentale.

Le coppie maschio-femmina (qui come appresso) rappresentano una allegoria  nella  quale  l’elemento   femminile  esprime  una   qualità inerente  all’elemento  maschile, e  viceversa, onde  risulta  un  unico essere bisessuato, allegoricamente;

 l’Intelletto-Unigenito (o Figlio) è detto pure Padre perché rivolto a lui e prodotto della sua riflessione, o ripiegamento, su se stesso in quanto Pensiero (Ennoia) e quindi l’unico che conosce il Preprincipio;

  anche il Logos è detto Padre, in quanto impegna la Divinità verso l’esterno di cui è manifestazione e in quanto presiede l’organizzazione del pleroma (pienezza) degli eòni o mondo divino (in seguito presiederà anche il mondo della creazione);

 l’Intelletto-Unigenito si può concepire come Logos immanente, e il Logos (secondo) come Logos profferito (orale).

Logos e Vita, dopo avere emanato Uomo e Chiesa, emanano altri dieci eòni (formanti la decade) e, a sua volta, Uomo e Chiesa emanano altri dodici eòni, la dodecade, sempre in coppia, l’ultimo dei quali è Sofia.

Si giunge così al numero di 30 eòni (4+4+10+12=30).

Tutti questi 30 eòni sono emanazioni che si richiamano e fondono reciprocamente  formando  la  grande  unità   luminosa  dell’Oceano divino.

Non è chiaro il motivo di questi numeri:

 vedi anche Basilide ove sono date  le motivazioni.

In Valentino si può  ancora  pensare:

 per dodici ai segni dello zodiaco, ai dodici apostoli (l’ultimo  dei quali, Giuda, venne meno);

 per trenta agli anni della vita oscura di Gesù, e alla parabola degli operai inviati nella vigna:

 «…dicono che il Salvatore… per 30 anni non fece nulla di manifesto, volendo mostrare il mistero di questi eòni» ;

 e alla originale spiegazione data alla  parabola evangelica degli operai inviati  nella vigna:

  «…alcuni (operai) vengono inviati all’ora prima, altri alla terza, altri alla sesta, altri alla nona, altri infine all’undicesima.

Queste ore messe insieme formano il numero 30»

Dopo Sofia, ultimo eòne, il pleroma è chiuso dal Limite che ha pure il nome Croce.

 

Perturbazione nel pleroma e restaurazione.

 Il mito di Sofia.

 L’Unigenito è l’unico a conoscere il Prepadre incomprensibile, comprensione   radicalmente   impossibile   a   tutti   gli   altri   eòni;

 l’Unigenito pensava di notificare agli altri eòni la grandezza del Prepadre, ma lo trattenne  il Silenzio perché voleva condurre tutti gli eòni al pensiero e al desiderio di ricevere il loro Prepadre.

«Così tutti gli eòni in serenità e solo in una certa misura desideravano contemplare… e avere notizia della radice senza principio».

Ma questa aspirazione cresce e diventa esasperante a misura che gli eòni sono lontani dal Prepadre;

 così l’ultimo eòne, la femmina Sofia (Sapienza) dimentica del suo posto, volle comprendere l’Infinito  e, nella sua passione e nel suo amore, si slanciò verso di lui:

 sarebbe stata «inghiottita dalla “dolcezza del Prepadre”», si sarebbe dissolta nell’infinità  dell’Abisso   primordiale,  se  non  fosse  intervenuto   il Limite– «Croce» ;

  il Limite-Croce la trattiene  e la consolida, e lei, compiuto un penoso ritorno a se stessa, persuasa ormai che il Padre è incomprensibile,  depose  la  sua  Enthymesis  («pensiero, desiderio, tendenza, intenzione»);

  arrestata dal Limite, espulsa la sua «tendenza, intenzione», fuori del pleroma, Sofia è reintegrata al suo posto, ma  una  parte  di  lei  –  l’Enthymesis  «tendenza, intenzione, desiderio» di vedere il Prepadre – resta e viene espulsa dal pleroma;

 Enthymesis è così un riflesso, un raddoppiamento di Sofia (in quanto «tendenza, desiderio», ecc.);

 questa «tendenza» disordinata diventa una realtà autonoma, una specie di sostanza pronta a diventare un’entità personale:

 in quanto tale e per distinguerla dall’eòne del pie-roma dal quale ebbe origine, è detta appunto Enthymesis e, con termine ebraico, Achamoth («Sapienza»):

  proprio  da  questa  «tendenza» disordinata avrà origine il mondo, e perciò il male, l’ignoranza, la tristezza, la paura, lo stupore.

«L’Enthymesis  era una sostanza pneumatica, in quanto slancio naturale di un eòne, ma sostanza senza forma né figura, perché Sofia non aveva afferrato nulla» perciò è considerata «un frutto debole e femminile».

Il Cristo, lo Spirito  santo,  il  Salvatore.

  Bandita  Enthymesis dal pleroma e restaurata nel pleroma Sofia, reintegrata nella sua coppia (o sizighia),  per volere del Padre, l’Unigenito  emise un’altra coppia «affinché nessuno degli eòni subisca più una tale passione», cioè il «Cristo» e lo «Spirito santo» emessi per consolidare il pleroma.

Il Cristo adempie due compiti:

 insegna agli eòni la natura della coppia, cioè insegna loro a restarsene  al loro posto senza la pretesa di giungere al Padre;

 manifesta agli eòni l’incomprensibilità e inafferrabilità del Padre, e perciò il fatto che nessuno lo può vedere e comprendere se non attraverso l’Unigenito.

Lo Spirito santo armonizza gli eòni, insegna loro a ringraziare, e introduce il vero riposo:

 ristabiliti nell’uguaglianza, gli eòni maschili diventano tutti Intelletti, tutti Logos, tutti  Uomini, tutti  Cristi, e i femminili tutti  Verità, tutti  Vite, tutti Spiriti, tutti Chiese.

Con la ratifica del Padre e l’assenso del Cristo e dello Spirito, tutti gli eòni si accordarono per mettere in comune il fior fiore della propria sostanza e, a onore e gloria dell’Abisso, emisero «una bellezza perfetta, come stella del pleroma, un frutto perfetto, frutto comune del pleroma», Gesù, il Salvatore, il quale – concentrando in se stesso tutte le potenze del pleroma – può legittimamente portare il nome di tutte, cioè:

 Logos, Figlio, Unigenito, Vita, Verità, Uomo o figlio dell’Uomo, Chiesa, Cristo o Spirito:

 «e anche Tutto, poiché proviene da tutti» ;

 furono emesse anche le sue «guardie del corpo», cioè gli angeli della sua stessa stirpe.

È il Gesù superiore, ancora invisibile.

 

Passione e guarigione di  Enthymesis-Achamoth.

Enthymesis-Achamoth (o Sofia inferiore, fuori del pleroma dei 30 eòni) girava con la sua passione nell’oscurità e nel vuoto, senza forma e senza aspetto, alla maniera di un aborto;

 il Cristo ebbe pietà di lei, si distese sulla Croce, le diede «la formazione secondo la sostanza, ma non secondo la gnosi» ;

 poi Cristo l’abbandonò e se ne risalì con la propria  potenza, affinché essa «presa coscienza della passione che l’affliggeva  a  motivo della separazione dal pleroma, aspirasse alle realtà superiori» ;

 il Cristo e lo Spirito santo avevano lasciato in lei «un aroma di immortalità» ;

 così formata e divenuta cosciente, ma priva del Logos (= Cristo), si mosse alla ricerca della luce ma ne fu impedita dal Limite.

«Non potendo varcare il Limite, perché mescolata con la passione…,  cadde  in  preda  a  ogni  genere  di  passione…:

  dolore…, timore…, disagio… e tutto questo nell’ignoranza».

Sopravvenne allora su di lei un’altra disposizione, cioè «la conversione  verso  colui che  l’aveva  vivificata» (cioè il Cristo);

 di qui si costituì la materia dalla quale è sorto questo mondo, in quanto dalla conversione trasse origine l’anima del mondo e del demiurgo, dal timore e dal dolore trasse origine tutto  il resto;

 «infatti dalle lacrime di Achamoth deriva tutta la sostanza umida, dal suo riso la sostanza luminosa, dalla tristezza e dalla costernazione gli elementi corporali del mondo…:

 a volte piangeva perché abbandonata sola nelle tenebre e nel vuoto;

 a volte pensando alla luce che l’aveva abbandonata si riprendeva e rideva;

 a volte ancora si addolorava;

 a volte, in fine, provava angoscia e smarrimento…».

Passata attraverso tutte  queste peripezie, Achamoth (che i Valentiniani chiamano loro Madre), volse una supplica al Cristo;

 ma egli –  nel  pleroma –  esitava  a  ridiscendere, e  così le  mandò  «il Paralitico, cioè il Salvatore»;

 egli venne con i suoi angeli e le diede «la formazione secondo la gnosi», la guarì dalle passioni dividendole da lei, ma non poté farle sparire come quelle della prima Sofia in quanto si erano «consolidate e rese vigorose», perciò le mescolò, le consolidò e le trasformò da incorporali «in materia incorporea», diede loro l’attitudine a comporsi e formare dei corpi;

 ne trasse così due sostanze:

 una cattiva derivante dalle passioni, una derivante dalla conversione e mescolata con la passione.

Achamoth, libera dalle passioni, difronte alla gioia derivante dalle luci degli angeli che erano col Salvatore, genera dei semi spirituali «simili agli accompagnatori del Salvatore» (si tratta dei pneumatici, o spirituali, che dovranno maturare e perfezionarsi quaggiù nel mondo, fino a quando entreranno nel pleroma – come elementi femminili – e si uniranno con gli angeli – elementi maschili).

 

ll demiurgo.

Vi erano dunque tre sostanze:

 la materia derivante  dalla  passione;

 la  sostanza  psichica derivante  dalla conversione;

 la sostanza spirituale derivante da Achamoth.

Questa si accinge a dare forma alle tre sostanze:

 fuori del suo potere era dare forma alla sostanza pneumatica (spirituale) perché uguale alla sua (le era consustanziale), con lo stesso grado di imperfezione e lo stesso bisogno di maturazione graduale, cioè secondo la sostanza e secondo la gnosi;

 si volse allora alla sostanza psichica, derivante dalla conversione:

 da una parte di questa lei fece il demiurgo «il dio, il padre, il re di tutti gli esseri» sia psichici (o di destra) sia ilici derivanti dalla passione e dalla materia (o di sinistra), conferendogli così potere universale sulla sostanza psichica e sulla ilica;

 al demiurgo risale tutto ciò mosso da sua madre:

 ma a sua insaputa Enthymesis-Achamoth fece ogni cosa secondo le direttive ricevute dal Salvatore o, meglio, il Salvatore operò per mezzo di lei.

 

La genesi dell’universo.

Il Dio e padre degli esseri psichici ed ilici, cioè degli esseri fuori del pleroma, il demiurgo, è il Dio dell’Antico Testamento, autore della legge del timore, piena di ingiustizie, Dio degli Ebrei e dei cristiani ordinari (cioè gli psichici);

 egli intraprende  la sua  opera, ignorando  tutto  il mondo  superiore, sua madre compresa.

La parte psichica rimasta la separò dalla sostanza ilica, e da incorporee, quali erano, le fece corporee, creò le cose celesti e le cose terrene, quelle che tendono all’alto e quelle che tendono al basso, quelle di destra e quelle di sinistra.

Il demiurgo creò sette cieli e si sistemò al di sopra di essi (perciò i Valentiniani gli danno il nome di «ebdomade»), mentre sua madre – Enthymesis Achamoth – è al di sopra di lui nella regione intermedia tra lui e il pleroma (essa è chiamata «ogdoade» in quanto rappresenta «il numero della fondamentale e primitiva ogdoade del pleroma»).

Nella sua ignoranza, il demiurgo pensa di agire da solo;

 in realtà era sua  madre  che  agiva  per  mezzo  suo:

  «egli fece  un  cielo, senza conoscere il Cielo;

  plasmò un uomo, senza conoscere l’Uomo;

  fece apparire una terra, senza conoscere la Terra…»;

 «… il demiurgo, troppo debole per conoscere le realtà spirituali, si credette il solo Dio, e dalla bocca dei profeti, disse:

 – Io sono Dio… –»

 

L’uomo.

Dopo aver fatto il mondo, il demiurgo fece l’uomo «terreno»  da una sostanza ilica nella quale, con il suo soffio, immette un’anima psichica di modo che l’uomo è a sua «immagine» con il corpo ilico, e a sua «rassomiglianza» con l’anima psichica;

 l’uomo  fu poi rivestito di «una tunica di pelle», cioè di «carne sensibile» vale a dire «la corporeità».

Ma prima aveva avuto luogo un fatto singolare:

 a sua insaputa, il demiurgo aveva in se stesso (immessi gli da  sua  madre)  quei  semi spirituali  generati  da Achamoth e «simili agli accompagnatori del Salvatore»:

 sicché quando il  demiurgo  soffiò  l’anima  –  sempre  a  sua  insaputa  –  immise nell’uomo anche quei semi pneumatici;

 semi però che non si trovano in tutti gli uomini, ma soltanto in alcuni (nei pneumatici o spirituali);

 perciò questi semi sono detti «Chiesa», «figura della Chiesa superiore».

L’uomo  dotato  di questi semi è  lo  gnostico:

  egli ha  «l’anima  dal demiurgo, il corpo dalla terra, la carne dalla materia, l’uomo pneumatico dalla madre Achamoth» ;

 portato da questi elementi come da un utero materno, l’uomo pneumatico cresce fino alla maturità e si prepara ad accogliere il Logos e a ritornare nel pleroma:

 l’involucro, cioè gli altri elementi, è provvisorio e destinato alla dissoluzione.

 

La missione del Salvatore nel mondo.

Quaggiù vi è dunque l’eterogeneità  di tre  nature:

 l’elemento  (o natura)  ilico incapace di qualsiasi salvezza, l’elemento psichico capace di scegliere tra l’ilico e il pneumatico e – a secondo della scelta – di beneficiare di una certa quale salvezza, l’elemento pneumatico la cui salvezza è infallibilmente assicurata.

Questa la triplice distinzione:

 ma nulla accade automaticamente, in quanto sia gli psichici sia i pneumatici necessitano di insegnamenti e di formazione.

La natura  di  questi  tre  elementi determina  il  modo  con cui  il Salvatore discenderà in questo mondo:

 quali elementi assumerà?

L’elemento ilico è, per sua stessa natura escluso, dato che è corruttibile e votato alla distruzione;

 il Salvatore prende da Achamoth la natura pneumatica, primizia di quanto deve essere salvato, e si riveste del Cristo psichico formato dal demiurgo;

 ma tutti  gli elementi finora assunti sono invisibili:

 allora il demiurgo – con un’arte indicibile – rivestì il Cristo psichico «di un corpo che è di sostanza psichica, ma fatto… per essere visibile, percepibile e passibile.

Nulla assunse di ilico, perché la materia non può accogliere la salvezza» 

Ai pneumatici il Salvatore apporta la gnosi o conoscenza dell’Essere supremo, del pleroma, della origine e natura, e con tale conoscenza cresceranno fino alla maturazione perfetta;

 agli psichici, cioè ai cristiani ordinari costituenti la Chiesa psichica, insegna a seguire la via modesta della fede e delle opere buone, e se si attengono a questa via avranno la salvezza psichica col demiurgo, fuori del pleroma;

 per i pneumatici ogni legge di quaggiù è indifferente, per natura  sono destinati alla salvezza:

 «come l’oro posto nel fango non perde la sua bellezza, ma conserva la propria natura,  perché il fango non può… danneggiare l’oro,  così…  quali che  siano  le  azioni iliche nelle quali si trovano implicati» non ricevono danno alcuno e non perdono il fondamento spirituale.

 

Sorte finale delle tre sostanze, o escatologia.

Quando tutti i semi pneumatici derivanti da Achamoth avranno raggiunto il numero completo previsto per gli eletti, allora avrà luogo la consumazione finale:

 Achamoth lascerà il luogo intermedio, entrerà nel pleroma, e accoglierà il Salvatore quale suo sposo;

  i pneumatici, abbandonato l’elemento ilico (il corpo) nel momento della morte, si spoglieranno dell’elemento psichico, ed entreranno nel pleroma ove li attendono gli angeli del Salvatore, cioè i loro sposi.

Dall’ebdomade  il demiurgo passerà nel luogo intermedio, lasciato vuoto dalla madre, e quivi si installerà con gli psichici che avranno praticato la giustizia.

L’elemento ilico perirà interamente:

 «… il fuoco celato nel mondo deflagrerà, si appiccherà e consumerà tutta la materia, sarà consumato con essa e se ne andrà nel nulla».

Ma il demiurgo non sa nulla di tutto ciò.

 

Varianti e specificazioni.

Ireneo sapeva bene che al di là di queste linee fondamentali vi erano, tra  i Valentiniani, dei punti  di dissenso di non poca importanza:

 ne espone dunque alcuni:

1.

 Secondo certuni il demiurgo avrebbe emesso anche il Cristo psichico, in possesso dei semi pneumatici (provenienti da Achamoth) e l’avrebbe  rivestito  di  un  «corpo» psichico, e  tuttavia  «visibile e palpabile»:

 e questo sarebbe passato «attraverso Maria come l’acqua passa attraverso un tubo;

 su di lui, nel battesimo, discese il Salvatore nato  da tutti  gli eòni del pleroma, in forma di colomba»;

  a immagine della prima tetrade anche il Salvatore constava di quattro parti:

 dal seme spirituale di Achamoth, dalla parte psichica derivante dal  demiurgo, dalla  «parte  dell’economia»  (cioè il  corpo  psichico speciale) derivante dal demiurgo, dal Salvatore disceso come colomba.

2.

 La parte discesa come colomba non poteva essere né vista né dominata   né   patire;

   la   parte   ricevuta   da   Achamoth,  essendo pneumatica e invisibile, non poteva soffrire;

 patirono, invece, il Cristo psichico e il Cristo dell’economia «fatto misteriosamente».

3.

 Le anime che ricevettero il seme di Achamoth sono migliori e più amate dal demiurgo, anche se ne ignora il motivo («perciò le ha ripartite in profeti, sacerdoti, re»);

 pensano – questi Valentiniani – che alcune cose siano state rivelate da questo seme per mezzo dei profeti, altre dalla madre, cioè da Achamoth, e altre dal demiurgo e dalle anime nate da lui;

 come Gesù deriva parte dal Salvatore, parte dalla madre  e parte  dal demiurgo, così l’Antico  Testamento non è tutto riducibile al demiurgo:

 per suo tramite e a sua insaputa operava sia Enthymesis-Achamoth–Sofia, sia il seme spirituale da lei inserito in alcuni uomini psichici;

 una divisione analoga vale pure per le parole di Gesù:

  alcune  derivano  dal Salvatore, altre  da  Achamoth, altre  dal demiurgo.

4.

 Lungo tutto  il periodo dell’Antico  Testamento, il demiurgo ignorava  interamente  il mondo  superiore  e  disprezzava le  diverse profezie:

  ma  quando  il  Salvatore venne  e  glielo ha  rivelato, egli l’accolse con gioia, e ormai ha cura della Chiesa, porta a compimento l’economia  per  tutto  il  tempo  necessario, lieto  della  promessa di prendere poi il posto di sua madre.

5.

 I tre  generi di uomini «terreno  –  psichico –  spirituale» si distinguono dalla loro natura come Caino – Abele – Seth;

 il primo è votato alla distruzione;

 il secondo ha la possibilità di scelta tra il male e il bene (e secondo la scelta avrà la sua fine);

 il terzo è allevato ed educato quaggiù essendo stato mandato in uno stadio di imperfezione, e quando sarà giudicato degno della perfezione andrà nel pleroma con gli angeli.

Questa lunga Notizia di Ireneo, la cui importanza apparirà nelle pagine  seguenti, è  interrotta  da  quattro  sezioni:

  sull’esegesi gnostica di tratti neotestamentari a sostegno di quanto precede;

 tratto  sarcastico di Ireneo contro i Valentiniani ;

  tratto  ove è dipinta  la  condotta  immorale  dei  Valentiniani;

  sull’esegesi gnostica, come sopra.

 

a cura di Luigi Moraldi