GNOSTICISMO
a cura di Hans Jonas
Hans Jonas, allievo di Bultmann che già nel 1933 lasciò la Germania e attualmente insegna a New York, si impose all’attenzione degli studiosi di storia del cristianesimo e di storia delle religioni con la pubblicazione, nel 1934, del primo volume di “Gnosis und spätantiker Geist” (Gnosi e spirito della tarda antichità), cui nel 1954 aggiunse la prima parte di un secondo volume.
L’opinione ormai prevalente che riconosceva nella gnosi (o meglio nello gnosticismo) un fenomeno religioso di carattere sincretistico con apporti iranici greci giudei cristiani facilmente induceva gli studiosi a considerare tale fenomeno soltanto come degenerazione delle religioni antiche e a risolvere i tanti problemi che esso proponeva soltanto mercé l’identificazione delle sue varie componenti, ponendo l’accento sull’una o sull’altra quale ingrediente dominante del composto.
A tale indirizzo Jonas reagì affermando energicamente l’esigenza di studiare lo gnosticismo come un fenomeno religioso dotato di profonda originalità, tale da ridurre a unità le diverse componenti culturali in esso ravvisabili e da dare loro un nuovo significato: il principio animatore dello gnosticismo Jonas ravvisò nello spirito di rivolta che spinse ambienti di origine e formazione soprattutto orientale a reagire contro la concezione fondamentale ottimista del mondo così come lo concepiva la filosofia ellenista: ecco l’origine e il significato dell’anticosmismo gnostico.
Due altri caratteri fondamentali sono ravvisabili nello studio di Jonas: il primo consiste nell’interpretazione esistenzialista del fenomeno gnostico.
In questo senso egli applica allo gnosticismo gli stessi parametri che il suo maestro Bultmann stava applicando all’interpretazione del Nuovo Testamento.
E rispetto a tale tentativo, egli ha il vantaggio di poter prendere le mosse da una innegabile affinità fra gli stati d’animo fondamentali che sono alla base rispettivamente dell’esperienza esistenzialista e dell’esperienza gnostica: il senso di alienazione per cui l’uomo si sente isolato, indifeso, estraneo nelle sue più intime esigenze rispetto ad un mondo che lo circonda e lo opprime e dal quale egli cerca in qualche modo di evadere per poter realizzare il suo io più autentico.
L’altro carattere distintivo dell’indagine di Jonas è ravvisabile nella evidente tendenza a dilatare al massimo l’estensione del fenomeno gnostico e perciò la sua area di diffusione e di influenza, con netta propensione a ravvisare negli apporti di origine iranica gli elementi più caratteristici del movimento – secondo l’opinione prevalente allora fra gli studiosi tedeschi – e perciò nei documenti provenienti di lì o di lì influenzati i testimoni più autentici dello spirito che animò il movimento.
In tal senso Jonas non esita a far rientrare nell’ambito dell’esperienza gnostica non soltanto gli scritti del “Corpus Hermeticum”, gli scritti alchimistici, il mandeismo, il marcionismo, il manicheismo, ma addirittura scrittori come Origene e Plotino che degli gnostici furono accaniti e irriconciliabili avversari.
Mi sono un po’ dilungato a fissare i caratteri distintivi di questo primo saggio di Jonas sullo gnosticismo perché il volume di cui qui presentiamo la traduzione, “The Gnostic Religion”, anche se di un ventennio posteriore, a quei caratteri resta tenacemente fedele.
Infatti le critiche che da varie parti furono mosse a Jonas allorché apparve il precedente volume hanno, sì, spinto l’autore ad attenuare alcune punte radicali del suo discorso e a riesaminarne alcuni aspetti, ma non hanno avuto la forza di spingerlo a dubitare della fondamentale bontà della sua impostazione.
Quello che differenzia in maniera profonda “Gnosis und spätantiker Geist” da “The Gnostic Religion” è il modo con cui la materia è presentata, e a tutto vantaggio del secondo volume.
Infatti qui l’autore non soltanto ha ripartito con maggiore ordine e organicità il complesso materiale – pur adeguatamente sfrondato – che nel primo volume e nella prima parte del secondo dava a volte l’impressione di essere stato ammassato un po’ caoticamente, ma ha anche rinunciato a certe prese di posizione troppo critiche e soprattutto è riuscito a liberare perfettamente la sua prosa da quelle complicazioni e oscurità che rendono così difficile e indigesto il primo saggio: forse un benefico risultato del trapianto dell’autore dalla Germania negli Stati Uniti.
Da tale profondo lavoro di revisione risulta la linea semplice e rettilinea del libro: una prima parte – dopo un’introduzione che situa il fenomeno gnostico nel mondo antico
– tratta alcuni peculiari aspetti della sensibilità gnostica attraverso l’esame di varie immagini-chiave ricorrenti nei testi gnostici;
la seconda parte descrive e analizza alcuni importanti documenti o sistemi gnostici;
la terza approfondisce lo studio del contrasto fra il pensiero greco e il pensiero gnostico e abbozza un raffronto fra l’esperienza gnostica e quella esistenzialista.
Un problema delicato ed imbarazzante ha dovuto affrontare Jonas, come ogni altro studioso che si è occupato di gnosticismo, soprattutto con studio di ampio respiro, a partire dagli anni cinquanta: alludo alla scoperta della biblioteca gnostica di Nag-Hamadi (confronta l’ultimo capitolo del volume) e soprattutto all’abnorme, ingiustificabile lentezza con cui procedeva la pubblicazione di questi testi, lentezza dovuta a motivi tutt’altro che chiari e confessabili e che perciò giustamente l’autore biasima con amarezza.
In linea teorica, poteva sembrare azzardato tracciare una sintesi del pensiero e dell’esperienza gnostica senza attendere la pubblicazione di questi testi originali, la cui conoscenza potrebbe rivoluzionare chi sa quanto profondamente la nostra conoscenza in materia.
Ma dato il ritmo lentissimo con cui procedeva la pubblicazione dei testi, in linea pratica diventava impossibile sospendere ogni lavoro in attesa della pubblicazione dell’intero “corpus” o di almeno buona parte di esso.
Nella prima edizione del suo volume Jonas ha fatto in tempo ad utilizzare l’”Evangelium Veritatis” e ne ha fatto largo uso;
nella seconda ha aggiunto un capitolo finale in cui dà ragguagli di carattere generale sui testi di Nag- Hamadi, con notizie più dettagliate su alcuni testi.
La vastità della materia compresa in “The Gnostic Religion”, la padronanza e la competenza con cui l’autore la presenta, la chiarezza della sua esposizione, la profonda simpatia per l’argomento che tratta e la capacità di metterne in evidenza gli aspetti più poetici e cattivanti fanno del volume di Jonas lo strumento insieme più perspicuo e più completo, fra i tanti attualmente a nostra disposizione, da consigliare a chi voglia accostarsi a questo importante fenomeno religioso del mondo antico.
Le considerazioni che seguono hanno solo il compito di lumeggiare meglio certe fondamentali impostazioni dell’autore nell’ambito della più recente problematica concernente il problema gnostico.
Gli studiosi moderni non riescono a mettersi d’accordo in merito ad una definizione soddisfacente del fenomeno gnostico, tale cioè da rilevare tutti e solo quei caratteri per cui una determinata manifestazione del pensiero religioso e filosofico dell’antichità possa essere definita a ragione gnostica: il colloquio tenuto a Messina nel 1966 ha dato fin troppo evidente manifestazione di tale disaccordo.
In certi ambienti si tende ad accettare la distinzione fra una prima fase in cui cominciarono a circolare e a diffondersi nell’Oriente ellenizzato e romanizzato certi concetti di natura gnostica, ma non ancora articolati in maniera da costituire un vero e proprio organico sistema di pensiero e di espressione (gnosi e pregnosi), da un momento successivo, non anteriore al secondo secolo d.C. in cui sorsero le prime sette gnostiche esattamente caratterizzante per dottrina e anche per culto (gnosticismo).
Ma anche su questo punto, per altro piuttosto generico, si è ancora ben lungi dal raggiungere una certa unanimità o almeno maggioranza di consensi.
Vi si oppongono soprattutto gli studiosi che, accentuando nello gnosticismo l’incidenza di elementi di provenienza iranica (dualismo fra luce e tenebre, eccetera), preferiscono parlare di protognosticismo, come di un sistema di pensiero già organizzato prima del secondo secolo e al di fuori dell’area cristiana.
In questo secondo gruppo di studiosi è facile ricondurre anche Jonas, sia per il valore decisivo che egli assegna alla componente iranica nella formazione della sensibilità e della dottrina gnostica sia per l’ampiezza, già sopra rilevata, che egli assegna al fenomeno gnostico, per cui gli è facile ravvisarne la presenza in ambienti e in dottrine filosofiche e religiose molto disparate.
In “The Gnostic Religion” egli descrive e analizza dettagliatamente sei fra testi e sistemi gnostici: di essi solo due rientrano nell’ambito dei sistemi gnostici tradizionalmente considerati tali, più o meno connessi con la religione cristiana: si tratta delle gnosi simoniana e valentiniana.
Dato che ormai nessuno più esita a considerare lo gnosticismo fenomeno non ristretto in area cristiana, appare più che giustificata l’inserzione, fra i sistemi gnostici, di quello rappresentato dal primo trattato del “Corpus Hermeticum”, il famoso “Poimandres”.
Ma le altre testimonianze sono tutte e tre discutibili: è vero che il manicheismo presenta elementi ereditati dallo gnosticismo, soprattutto il suo anticosmismo;
ma il carattere di religione vera e propria che Mani gli volle imprimere, facendovi confluire cristianesimo, mazdeismo iraniano e buddismo, fa eccedere di gran lunga al manicheismo, sotto il profilo tipologico, l’ambito angusto della tradizionale setta gnostica.
Fra i testi gnostici per i quali Jonas dimostra più simpatia e attrazione è senz’altro il cosiddetto “Canto della perla”, che nel volume è analizzato con finezza e gusto: d’altra parte, recentemente uno studioso dello gnosticismo certo non meno qualificato di Jonas, cioè G. Quispel, ha dato di questa bella composizione un’interpretazione che esclude quasi del tutto ogni traccia di gnosticismo, scorgendovi soltanto un prezioso prodotto del cristianesimo siriaco di tendenza encratita, che aveva per centro l’Edessa del secondo secolo .
Sul marcionismo il discorso è più impegnativo, in quanto è da tempo che si discute se questo movimento religioso debba essere considerato oppure no di carattere gnostico.
In un recente importante articolo Jonas ha cercato di fissare e perciò di circoscrivere i caratteri peculiari del fenomeno gnostico: emanatismo quanto all’origine degli esseri divini l’uno dall’altro in decrescendo di perfezione;
carattere mitologico della dottrina;
dualismo fra l’uomo e il mondo e, nell’interno dell’uomo, fra lo spirito consustanziale con la divinità, e la carne;
soteriologia impostata sul concetto di rivelazione (= gnosi) destinata a pochi eletti.
Prendendo in considerazione il marcionismo su questa base Jonas si è accorto che pressoché nessuno degli elementi che egli aveva fissato come caratteristici del fenomeno gnostico era ravvisabile in quell’importante movimento religioso: vi ha ravvisato però il netto contrasto fra il Dio sommo e il Demiurgo inferiore, creatore del mondo, e l’ascetico ribelle rifiuto del mondo stesso.
Tanto è bastato per fargli considerare il marcionismo come una forma di gnosticismo «nello spirito se non nella lettera».
Non è questa la sede per approfondire l’argomento: ci limitiamo perciò a questi pochi cenni per rilevare quanto problematica sia la questione e quanto discutibile sia la posizione di Jonas, che da un lato cerca di delimitare con esattezza e rigore l’ambito del fenomeno gnostico, ma dall’altro sembra accontentarsi della presenza di soltanto qualcuno dei vari caratteri che egli considera peculiari di quel fenomeno per far rientrare nell’area gnostica documenti e dottrine della più varia provenienza.
Oltre che a Marcione, si pensi a Plotino, ricondotto all’influenza gnostica per la dottrina emanatista della derivazione del Nous dall’Uno e dell’anima del mondo dal Nous;
e ad Origene che dallo gnosticismo avrebbe derivato la linea fondamentale del suo sistema articolato sul concetto della frattura e della reintegrazione dell’Unità originaria della natura razionale.
Basterà accennare soltanto a due altre conseguenze che derivano insieme dall’ampiezza che Jonas attribuisce al fenomeno gnostico e dalla propensione a scorgerne il carattere più genuino in testimonianze di origine orientale:
1) per illustrare certi atteggiamenti e certi concetti tipici della sensibilità gnostica egli si serve soprattutto di testi mandei e manichei.
E’ fuor di dubbio che si tratta di testi ben scelti, il cui colorito fantastico, non di rado poetico, sottolinea e rileva con evidenza il sottofondo di carattere affettivo che l’autore tanto valorizza come elemento costitutivo della sensibilità gnostica.
D’altra parte egli stesso riconosce che solo in ambiente greco, soprattutto nella scuola di Valentino, lo gnosticismo ha saputo darsi l’impronta di vero e proprio sistema di pensiero organicamente e logicamente costruito.
Mi sembra perciò discutibile la scelta di passi operata da Jonas, tanto più che per sistemi gnostici riportabili all’area ellenica la nostra documentazione rimonta con facilità al secondo secolo, là dove i testi manichei sono evidentemente più tardi e altrettanto dicasi per quelli mandei, anche se studiosi dei nostri giorni cercano di dimostrarne l’arcaicità di tradizione.
2) Gli studi più recenti sulle origini e i caratteri peculiari dello gnosticismo da qualche decennio sono orientati nel senso di valorizzare al massimo la componente giudaica ravvisabile in tutta l’area gnostica, anche considerata con la larghezza che caratterizza l’interpretazione di Jonas.
Si insiste sul racconto biblico della creazione dell’uomo come elemento costitutivo dell’esperienza e della dottrina gnostica.
E in ambito ebraico ha la sua origine non soltanto il personaggio di Sophia, anch’esso centrale nella dottrina gnostica, ma anche quello dell’Uomo celeste, che vi è altrettanto significativo.
Ovviamente Jonas conosce bene questo orientamento di studi e nel suo volume tocca variamente i tratti gnostici di origine giudaica: ma la sua impostazione metodologica e filosofica lo porta, come abbiamo visto, a valorizzare soprattutto l’eredità orientale dello gnosticismo;
e perciò egli annette alla componente giudaica molto meno significato di quanto non si faccia usualmente ai nostri giorni.
E’ di ieri una sua presa di posizione in questo senso che ha provocato una dura replica da parte di Quispel.
E d’altra parte Jonas ha dalla sua la constatazione che i sostenitori dell’origine giudaica dello gnosticismo si trovano in evidenti difficoltà allorché debbono spiegare il tono violentemente antigiudaico che anima lo spirito gnostico della sua recisa opposizione al Dio creatore della “Genesi” e a tutta l’economia veterotestamentaria.
Tocchiamo qui il punto nevralgico della problematica sull’origine dello gnosticismo:
da una parte si mettono sempre più in evidenza all’interno del movimento i caratteri di origine giudaica come essenziali e costitutivi della sua economia;
ma dall’altra non si riesce a spiegare, restando nell’ambito del giudaismo, come e perché tali caratteri siano stati deformati e reinterpretati proprio in senso antigiudaico.
Proprio questa evidente aporia spiega la fortuna che presso studiosi anche qualificati ha avuto l’avventurosa ipotesi di Grant, che ha voluto spiegare l’origine dello gnosticismo come reazione antijahvistica e antilegalistica avvenuta, all’interno del giudaismo, a causa del crollo delle speranze apocalittiche ed escatologiche di liberazione e di rivincita sui nemici di Israele in conseguenza della presa e della distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani.
In definitiva sembra più sul solido Jonas allorché, nel già ricordato articolo, propone come zona d’origine dello gnosticismo un territorio limitrofo alla Giudea, da questa influenzato ma ad essa ostile (si pensi alla Samaria, patria di Simone, considerato tradizionalmente il primo gnostico).
Abbiamo sopra accennato che è stato merito di Jonas sottolineare l’esigenza di considerare lo gnosticismo non come degenerazione di antiche religioni e risultato di mera aggregazione di componenti di disparata origine, ma come movimento di pensiero animato da un motivo profondo e potente, tale da ridurre a salda unità gli elementi di disparata origine.
Tale motivo animatore e unificatore egli ha scorto nel reciso anticosmismo che caratterizza ogni esperienza gnostica.
Tutto il volume di Jonas fa perno su questo motivo: ma è soprattutto nell’introduzione e poi nell’ultima parte della trattazione che esso viene inserito, con tutto il suo decisivo significato, in ambito storico e culturale, là dove l’autore lo contrappone in maniera recisa all’ottimistica concezione del mondo che era peculiare della cultura greca intorno all’èra volgare.
Per il greco colto di questo periodo il Kosmos, come dice la stessa parola, era concepito soprattutto come ordine, regolarità, bellezza, come complesso di norme attuantisi senza turbamento ed errore, tale da assicurare il governo provvidenziale di Dio su tutto l’universo.
L’ineluttabilità di tali leggi si imponeva all’uomo come un fato cui egli non poteva sottrarsi;
ma si trattava non di un destino cieco e irrazionale, bensì provvidenziale e benefico, ordinato al bene di tutti gli esseri compresi nel mondo.
In tal senso, per lo stoico, fato e provvidenza divina si identificavano in quello che, prendendo a prestito la famosa espressione di Leibnitz, possiamo definire come il migliore dei mondi possibili: e allora di buon grado il sapiente comprendeva che la sua volontà doveva liberamente adattarsi alla superiore volontà divina immanente del Kosmos.
A tale ottimistica concezione lo gnostico ne contrappose una perfettamente antitetica: anch’egli vedeva il mondo come complesso di leggi regolare e ineluttabile;
ma ben lungi dal considerarlo quale espressione di una benefica provvidenza divina lo sentiva come costrizione, come destino malefico e ineluttabile regolato e controllato da divinità sostanzialmente ostili alle creature del mondo, soprattutto all’uomo.
Proprio la regolarità delle leggi governanti il moto degli astri diventa ora l’espressione della ineluttabilità del destino che sovrasta, da nemico, ogni uomo e lo costringe fatalmente.
E unica possibilità di salvezza lo gnostico ravvisa nella convinzione che tale tirannia si esercita soltanto sulla parte materiale della sua persona, sì che la scintilla divina che alberga in lui potrà un giorno spezzare la ferrea prigionia delimitata dall’ambito della volta celeste e raggiungere l’autentico mondo divino situato al di là, quel mondo da cui il suo spirito è originario e la cui esistenza è ignota alle potenze avverse che governano il Kosmos materiale.
Questa contrapposizione Jonas volentieri definisce come coscienza rivolta della nuova mentalità gnostica contro la dottrina filosofica e religiosa dominante nel mondo greco-romano, come rifiuto ascetico di quel che il greco considerava il massimo bene e che invece lo gnostico considera il massimo male.
In suggestive pagine dell’Introduzione l’autore interpreta questa contrapposizione e questa rivolta come conseguenza del riemergere dello spirito e della vitalità orientali, per secoli coartate e condizionate dalla superiore cultura imposta dalla conquista greca e ribadita da quella romana.
Giovandosi proprio dell’assimilazione dei parametri e delle strutture di pensiero e d’espressione caratteristiche di quella cultura dominante, dopo una lunga fase di sotterranea preparazione, lo spirito orientale sarebbe riemerso alla ribalta della storia con una serie di espressioni religiose e culturali variamente fra loro collegate e interferenti: il giudaismo alessandrino, il cristianesimo, le religioni misteriche, l’astrologia babilonese, lo gnosticismo.
Proprio quest’ultimo, col suo più risentito spirito di opposizione e di rivalsa rispetto al mondo ellenistico, avrebbe rappresentato l’aspetto più autentico e significativo di tale reazione orientale.
Non v’ha dubbio che questa interpretazione, delineata con mano abile, si presenti al lettore avvincente, direi affascinante.
Il suo punto debole sta, a mio avviso, in una certa maniera un po’ impressionistica di presentare i fatti culturali, sia nell’accostarli sia nel contrapporli, senza sentire l’esigenza di stringere da presso l’argomento su più solida base documentaria e con più vigile senso filologico.
Mi riferisco innanzi tutto all’accostamento, sopra riferito, fra i numerosi fenomeni che caratterizzerebbero la reazione dell’Oriente, disparati fra loro sotto l’aspetto culturale, oltre che cronologico e topografico, sì che pare arbitrario riportarli ad una sola matrice, per di più rappresentata, nella forma più autentica, dall’esperienza gnostica: tra Filone e lo gnosticismo, nonostante i tentativi di accostamento che opera Jonas, ci corre molto e le esigenze che stanno alla base dell’uno e dell’altro non sembrano affatto riconducibili alla stessa matrice, nel senso che lo spirito che animò il tentativo filoniano di sintesi fra ellenismo e giudaismo non presenta nulla in comune con lo spirito ribelle dello gnosticismo, soprattutto se presentato nella maniera così accentuata che è propria di Jonas.
La fine analisi che egli fa del concetto di virtù presso i Greci, i cristiani, Filone e gli gnostici gli permette di accostare, almeno parzialmente, questi tre ultimi in contrapposizione ai Greci: ma si tratta di accostamento che, soprattutto in riferimento a Filone e agli gnostici, attiene ad un aspetto marginale del loro pensiero e non esclude la decisa contrapposizione di fondo.
L’altro punto discutibile della presentazione di Jonas è nella troppo recisa opposizione fra grecità e gnosticismo.
Sotto il punto di vista dell’atteggiamento nei confronti del Kosmos tale opposizione può sembrare legittima, ma solo a patto di trascurare il dualismo deciso con cui alcuni dialoghi di Platone contrappongono il mondo delle idee al mondo materiale di quaggiù ( = “kosmos”).
Come ha ben dimostrato Festugière, l’eredità platonica è stata duplice e i suoi scritti hanno potuto favorire uno sviluppo in senso sia favorevole sia ostile al Kosmos.
Ma è soprattutto al livello antropologico che l’opposizione ravvisata da Jonas mi sembra discutibile.
Nel mondo greco, anche quando la speculazione del vecchio Platone, del giovane Aristotele e degli Stoici impose l’ottimistica concezione di un Kosmos divinizzato, sul piano antropologico restò sempre largamente dominante la fondamentale intuizione platonica della contrapposizione fra anima e corpo, sentiti come entità eterogenee e contrastanti fra loro.
Sulla base di questo assunto consideriamo ora che l’esperienza gnostica fu orientata fondamentalmente, per non dire esclusivamente, in senso soteriologico;
e in tal senso la liberazione consisteva per lo gnostico proprio nella separazione del pneuma divino (= anima o “nous” alla maniera platonica) dal corpo materiale che l’opprimeva e l’imprigionava.
In altri termini, il dualismo antropologico degli gnostici non deve essere considerato soltanto come riflesso del dualismo cosmologico bensì come esperienza fondamentale e costitutiva della sensibilità e perciò della dottrina gnostica.
Ciò considerato, il netto contrasto che Jonas istituisce fra la concezione del mondo rispettivamente greca e gnostica perde buona parte del suo significato, in quanto non sorretta da altrettanto netta opposizione sul piano antropologico.
E d’altra parte, il rapporto fra dualismo cosmologico e dualismo antropologico non è nel pensiero gnostico così chiaro e immediato come Jonas vorrebbe far credere.
Se alle origini del dualismo antropologico è facile ravvisare l’influsso del Platone del “Fedone” e dialoghi affini, molto più oscura è l’origine dell’anticosmismo gnostico.
Fino a che punto e in quale modo preciso esso è connesso con la reinterpretazione deformante in senso negativo dei dati della religione veterotestamentaria?
Finché non sarà risolto questo problema, non sarà agevole situare questo caratteristico “theologoumenon” gnostico nell’economia del sistema in giusta prospettiva.
Prendiamo ad esempio Marcione, che proprio sulla base dell’anticosmismo Jonas rivendica all’ambito gnostico.
Noi sappiamo quanto profondamente il pensiero di Marcione fu nutrito dalla lettura e dalla meditazione delle lettere di Paolo: sotto questo punto di vista, tutto il sistema di Marcione può agevolmente essere considerato quale forma radicale di paolinismo, per cui la contrapposizione fra la legge del Vecchio e la grazia del Nuovo Testamento sarebbe stata esasperata fino a proiettarsi, sul piano antropologico, molto al di là dei limiti della contrapposizione paolina fra spirito e carne, sia per superficiale comprensione dei reali termini paolini sia sotto l’urgenza delle tendenze encratite forti in certi ambienti del cristianesimo primitivo, e trasferita sul piano cosmologico, ormai del tutto al di fuori dell’intuizione paolina, avrebbe portato alla contrapposizione fra il Dio sommo e il Demiurgo e al rifiuto dell’opera di quest’ultimo, cioè del mondo.
Ho detto che questa “può” essere un’interpretazione di Marcione: in effetto essa non tien conto della componente antigiudaica del pensiero gnostico contemporaneo all’eresiarca, che certo avrà influito su di lui.
Ma com’è possibile stabilire in Marcione l’incidenza precisa delle due componenti (Paolo e la gnosi) e individuarne il preciso rapporto?
Possiamo concludere che soltanto una soddisfacente soluzione del problema proposto dalla presenza, nello gnosticismo, di un’importante componente giudaica reinterpretata in senso negativo potrà darci l’esatta dimensione prospettica dell’anticosmismo gnostico in senso storico-culturale.
E questo interrogativo è destinato a riproporsi nei più svariati contesti.
E’ stato merito di Jonas sottolineare le affinità di fondo fra la sensibilità gnostica e quella esistenzialista nel comune senso di alienazione nei confronti del mondo che ci circonda.
Ma le cause prossime e remote dell’alienazione esistenzialista (e, possiamo aggiungere ora, del rifiuto programmatico del mondo moderno ad opera della contestazione giovanile) sono chiaramente individuabili nelle dimensioni oppressive e disumane che ormai ha assunto in ogni campo la massificazione operata dalla civiltà tecnologica della produzione e dei consumi.
Ma per l’alienazione gnostica non possiamo addurre con chiarezza nessun motivo e nessuna causa precisa, perché se da una parte non soddisfano i recenti tentativi, specifici e puntuali, prospettati da Grant e da Adam (4), dall’altra è troppo generico parlare, con Jonas, di un’ipotetica rivalsa dell’Oriente contro l’oppressione occidentale.
La sensibilità e la formazione di Jonas sembrano portate all’apprezzamento tipologico del fenomeno gnostico e allo studio, a larghi tratti, dei suoi aspetti caratteristici e delle sue forme espressive più valide, piuttosto che all’approfondimento sistematico del momento filologico della ricerca.
In questi limiti leggiamo e apprezziamo il suo volume come un’affascinante ricostruzione dei momenti più significativi del pensiero e soprattutto dell’esperienza gnostica.
MANLIO SIMONETTI