IL «POIMANDRES» DI ERMETE TRISMEGISTO.
a cura di Hans Jonas
Nel corso del precedente capitolo ci siamo mossi in un ambito interamente giudaico- cristiano, per quanto con andamento assai irregolare e, riguardo all’aspetto giudaico, per via di rimbalzo.
Le dottrine riguardanti i creatori del mondo che abbiamo or ora esaminato, furono formulate in antagonismo all’Antico Testamento.
Sarebbe forse spingersi troppo oltre affermare che tale antagonismo sia stato di per sé la fonte dei princìpi gnostici, ma di certo li ha permeati e coloriti in misura più marcata in tutto codesto gruppo di sistemi.
L’argomento del presente capitolo mostrerà che nel mondo ellenistico ebbe corso un pensiero ed una speculazione gnostica interamente liberi da connessioni col cristianesimo.
Gli scritti ermetici, composti originariamente in greco, non soltanto sono del tutto pagani ma mancano anche di riferimenti polemici sia verso il giudaismo che il cristianesimo.
Solo il “Poimandres”, per conto suo, mostra che l’autore aveva conoscenza della storia biblica della creazione, che aveva avuto larga diffusione nel mondo greco attraverso la traduzione dei Settanta.
La religione del «Tre volte grandissimo Ermete» ha avuto origine nell’Egitto ellenistico, dove Ermete era identificato con Thoth.
Non tutto il “corpus” può essere considerato come una fonte gnostica:
in molte parti di esso trapela lo spirito di un panteismo cosmico molto lontano dalla violenta condanna dell’universo fisico così caratteristica degli Gnostici.
Altre parti sono prevalentemente morali, e il loro accentuato dualismo di sensuale e spirituale, di corpo e mente, sebbene in pieno accordo con l’atteggiamento gnostico, si adatta egualmente, per esempio, ad un contesto cristiano o platonico, perché esprime il generale andamento trascendentale dell’epoca.
Ci sono tuttavia alcune parti indubbiamente gnostiche in questo assieme sincretistico, e particolarmente il primo trattato del “corpus”, chiamato “Poimandres”, è un evidente documento di cosmogonia e antropologia gnostica indipendente dalle speculazioni degli Gnostici cristiani.
Il sistema del “Poimandres” s’accentra nella figura divina dell’Uomo Primordiale, il suo sprofondare nella natura è il culmine drammatico della rivelazione, uguagliato dall’ascesa dell’anima la cui descrizione conclude la rivelazione.
E’ assente l’antitesi del creatore e del Dio supremo:
il Demiurgo è stato incaricato dal Padre e la sua creazione sembra essere il modo migliore di trovare un senso all’esistenza di una tenebra caotica (come è stato fatto più tardi nel manicheismo).
Tuttavia il fatto che l’Uomo divino sia stato racchiuso nel sistema cosmico non volutamente, è senz’altro tragico;
e persino il carattere del prodotto più genuino del Demiurgo, le sette sfere e i loro governanti, risulta molto più problematico di quanto ci si potrebbe aspettare dal racconto della loro origine.
Difficoltà considerevoli ostano alla composizione delle differenti parti in una dottrina coerente, e forse una certa ambiguità, dovuta alla combinazione di materiale contraddittorio, fa parte della sua stessa natura.
Ci soffermeremo su tali questioni dopo aver riportato la parte principale del testo.
a) Il testo.
1.
Una volta, mentre ero in meditazione sulle cose che sono e la mia mente veniva sollevata in alto e i sensi corporei erano intorpiditi… pensai di vedere una presenza di smisurata grandezza che mi chiamava per nome e mi diceva:
‘Che cosa desideri udire e vedere e nel pensiero imparare a capire?
2.
Risposi:
‘Chi sei tu?
‘Io sono Poimandres – egli disse – la Mente (Nous) del Potere Assoluto.
Io so quello che tu desideri e sono con te ovunque’.
3.
Dissi:
‘Desidero che mi si insegni la natura delle cose che sono e comprenderla, e conoscere Dio…’.
Ed egli replicò ‘Tieni fermo nella tua mente ciò che desideri imparare ed io te lo insegnerò’.
4.
A queste parole, egli cambiò forma e improvvisamente tutte le cose si spiegarono dinanzi a me in un lampo ed ebbi una visione illimitata essendo tutto divenuto Luce, serenità e gioia…
E fui affascinato da quella vista.
E dopo un poco ecco una Tenebra che scendeva in basso…, spaventevole e odiosa, aggrovigliata e tortuosa, simile ad un serpente.
Poi vidi questa Tenebra mutarsi in una materia umida, agitarsi in modo indescrivibile e lanciare fumo come da un fuoco e pronunziare una specie di suono indicibile, lamentoso.
Quindi ne uscì un ruggito [o un grido] inarticolato, paragonabile alla voce di un fuoco.
5.
Dalla Luce venne una Parola (“logos”) santa sopra la materia, e un fuoco puro balzò dalla materia umida verso la sommità;
era leggero e penetrante, e attivo nello stesso tempo;
e l’aria essendo leggera seguì il soffio infuocato sollevandosi quanto il fuoco della terra e dall’acqua, cosicché sembrava sospesa ad esso;
ma la terra e l’acqua rimasero al loro posto, mescolate insieme, di modo che la terra non si poteva discernere separata dall’acqua;
ed esse erano mantenute in un movimento percepibile per mezzo del soffio della Parola che era portata sopra di loro.
6.
Allora Poimandres mi disse:
‘Quella Luce sono Io, Nous, il tuo Dio, che ero prima della sostanza umida che è emersa dalla Tenebra.
E la Parola luminosa che è uscita dal Nous è il Figlio di Dio…
Da questo comprendi:
ciò che in te vede e ode è la Parola del Signore, ma il Nous [il tuo nous?] è Dio Padre:
essi non sono separati l’uno dall’altro perché la Vita è l’unione di questi… Ora dunque, concentra la tua mente nella Luce e impara a conoscerla’.
7.
Ciò detto, mi fissò intensamente cosicché io tremavo alla sua vista;
poi quando guardò in alto, vidi nel mio nous la Luce consistente di Potenze innumerevoli e divenuta un Cosmo sconfinato, e il fuoco contenuto da un grande potere che restava al suo posto sotto il suo fermo controllo…
8.
Di nuovo mi parla:
‘Tu hai visto nel Nous la forma archetipa, il principio che precede l’infinita origine ‘ …
‘Da dove allora – chiesi sono sorti gli elementi della natura?
Al che egli replicò:
‘Dalla Volontà di Dio, che dopo aver ricevuto in se stessa la Parola e aver mirato la bellezza [archetipa] del Cosmo, lo ha imitato ed ha formato se stessa come un cosmo [o ordinato se stessa] in conformità dei suoi propri elementi e della sua progenie, ossia le anime.
9.
Ma il Nous divino, essendo androgino, poiché esiste come Vita e Luce, produsse per mezzo di una parola un altro Nous, il Demiurgo, che come dio al di sopra del fuoco e del soffio formò sette Governanti, che racchiudono i loro cerchi in modo sensibile, e il loro governo si chiama Heimarmène [Destino].
10.
Immediatamente la Parola di Dio si slanciò in alto al di sopra degli elementi tendenti al basso nella pura [parte della] creazione fisica [la sfera demiurgica] e si unì con il Nous-Demiurgo, perché era della stessa sostanza.
E così gli elementi inferiori della Natura rimasero senza ragione, cosicché essi non erano ormai che semplice Materia.
11.
E insieme con la Parola il Nous-Demiurgo, abbracciando i cerchi e aggirandoli con velocità di tuono, impose un moto circolare alla sua creazione in una rivoluzione senza fine, perché ricomincia ove finisce.
E codesta rotazione delle sfere in conformità della volontà del Nous[-Demiurgo] produsse dagli elementi inferiori animali irrazionali, perché quegli elementi non avevano trattenuto la Parola… [aria, acqua, terra – gli ultimi due ora separati – ciascuno producente i propri animali:
androgini, come appare in seguito].
12.
Ora il Nous, Padre di tutto, essendo Vita e Luce, generò l’Uomo simile a se tesso, del quale si innamorò come del proprio figlio, perché era bellissimo avendo in sé l’immagine del Padre;
anzi, in verità anche Dio si innamorò della propria forma e gli consegnò tutte le sue opere.
13.
E l’Uomo, guardando la creazione che il Demiurgo aveva formato nel fuoco [le sfere celesti], volle creare anche lui ed ebbe il permesso dal Padre.
Quando penetrò nella sfera demiurgica dove avrebbe avuto piena autorità, vide le opere di suo fratello, ed essi [i sette Governanti] si innamorarono di lui e ciascuno gli diede parte del proprio regno.
Avendo conosciuto la loro essenza e avendo ricevuto la partecipazione alla loro natura, egli volle allora attraversare la circonferenza dei cerchi e sopraffare [?] il potere di colui che governa sul fuoco.
14.
Ed egli [Uomo] che aveva pieno potere sul mondo delle cose mortali e sugli animali irrazionali piegò in giù attraverso l’Armonia ed essendo penetrato di là della volta mostrò alla Natura inferiore la bella forma di Dio.
Quando essa mirò colui che aveva in sé la bellezza inesauribile e tutte le forze dei Governanti insieme alla forma di Dio, sorrise amorosa;
perché essa aveva visto il riflesso di questa bellissima forma di Uomo nell’acqua e la sua ombra sulla terra.
Anch’egli, vedendo la propria immagine presente in lei, riflessa nell’acqua, la amò e desiderò abitare in lei.
Subito il desiderio divenne realtà ed egli venne ad abitare la forma priva di ragione.
E la Natura, avendo ricevuto in se stessa l’amato, lo abbracciò completamente e si unirono:
poiché essi erano accesi d’amore.
15.
E questa è la ragione per cui soltanto l’uomo tra tutti gli animali della terra ha una duplice natura, mortale per il corpo, immortale per l’Uomo sostanziale.
Perché, sebbene egli sia immortale ed abbia potere su tutte le cose, tuttavia subisce la sorte della mortalità, essendo sottoposto all’Heimarméne;
sebbene fosse al di sopra dell’Armonia, egli è diventato schiavo nell’Armonia;
sebbene fosse androgino, poiché proveniva dal Padre androgino, e incapace di sonno da colui che è incapace di sonno, egli è dominato dall’amore e dal sonno’.
Segue una descrizione particolareggiata dell’origine della razza attuale degli uomini, e un’istruzione morale, che riassumiamo come segue.
Poiché l’Uomo, ora mescolato con la Natura, ‘aveva in se stesso la natura dell’Armonia dei Sette’, la Natura generò sette uomini androgini, corrispondenti alle nature dei sette Governanti.
Tralasciamo i particolari circa il contributo rispettivo dato dagli elementi – terra, acqua, fuoco ed etere – alla costituzione di queste creature.
Quanto al contributo dell’Uomo come parte della mescolanza generante, egli si trasformò ‘da Vita e Luce in anima e mente (“nous”), in anima dalla Vita e in mente dalla Luce’.
Tale condizione della creazione durò sino alla fine di un’èra del mondo.
La nuova èra del mondo iniziò con la separazione di tutte le creature androgine, animali e uomini, in maschi e femmine.
E’, questo, l’unico esempio in cui l’autore mostri la sua familiarità con la versione greca dell’Antico Testamento in una citazione diretta.
Dio ammonisce la nuova creazione bisessuale:
‘Crescete e moltiplicatevi’;
quindi continua con tutt’altra intonazione:
‘E (l’uomo) dotato di mente riconoscerà che è immortale e che causa della morte è l’amore’ (ossia, in definitiva, l’amore che ha trascinato l’Uomo Primordiale nella natura).
Colui che è giunto a conoscere se stesso ha raggiunto il bene supremo;
chi però ha amato il corpo venuto dall’errore dell’amore rimane nelle tenebre, errando, soffrendo nei propri sensi le opere della morte.
Qual è dunque il peccato di coloro che sono ignoranti, perché debbano essere privati dell’immortalità?
La causa prima del corpo individuale è l’odiosa tenebra dalla quale è venuta la materia umida, da cui è stato costituito il corpo del mondo sensibile, dal quale la morte ricava il nutrimento.
Perciò coloro che amano il corpo sono di fatto “nella” morte e meritano la morte.
D’altra parte, chi conosce se stesso sa che il Padre di tutte le cose consiste di Luce e di Vita, a somiglianza dunque dell’Uomo Primordiale che procede da lui, e per mezzo di ciò conosce di essere Luce e Vita, e per mezzo di questa conoscenza ritornerà alla Vita.
Coloro che hanno conoscenza, ripieni di amore per il Padre, prima di abbandonare il corpo alla morte aborriscono i sensi, il cui effetto essi conoscono;
e il Poimandres-Nous li assiste in ciò, agendo come una sentinella alle porte e sbarrando l’entrata alle influenze malvage del corpo.
Gli ignoranti sono lasciati in preda alle cattive passioni che, insaziabili, costituiscono il loro tormento e aumentano sempre la fiamma che li consuma.
[L’ultima parte dell’istruzione è dedicata all’ascesa dell’anima dopo la morte.
Anzitutto, dopo la dissoluzione del corpo materiale si abbandona al demonio la natura sensitiva, ormai inefficace, e i sensi corporei ritornano ciascuno alla propria origine tra gli elementi.
25.
E in seguito l’uomo si slancia in alto penetrando attraverso l’Armonia e nella prima zona abbandona il potere di crescere e decrescere, e nella seconda le macchinazioni dell’astuzia demoniaca, ormai impotenti, e nella terza l’inganno della concupiscenza, ormai resa impotente, e nella quarta la superbia del dominio, svuotata della sua ambizione [o impotente ora a realizzarla], e nella quinta l’audacia empia e la temerarietà del desiderio impulsivo, e nella sesta gli appetiti cattivi di ricchezza, ormai resi impotenti, e nella settima zona la menzogna che insidia.
26.
E allora, spoglio degli effetti dell’Armonia, l’uomo entra nella natura dell’Ogdoade [ossia nell’ottava sfera che è quella delle stelle fisse], ormai in possesso del proprio potere, ed esalta il Padre insieme a coloro che già vi sono;
e i presenti si rallegrano con lui per la sua venuta, ed egli essendo divenuto simile ai suoi compagni ascolta alcune potenze sopra l’ottava sfera che esaltano Dio con dolce voce.
Ed allora in processione essi salgono verso il Padre e si consegnano alle Potenze, e divenuti essi stessi Potenze entrano nella Divinità.
Questa è la fine buona di coloro che sono in possesso della gnosi:
diventare Dio’».
b) Commento.
La composizione del trattato è chiara.
La sua parte principale (1-26) è il resoconto, in prima persona, di un’esperienza visiva e dell’insegnamento impartito nel corso di essa.
I paragrafi conclusivi (27-32), che abbiamo omesso di riportare, descrivono la successiva attività missionaria di colui che riceve il messaggio, in mezzo ai suoi simili.
Nel racconto della rivelazione, la sola parte sulla quale ci soffermeremo qui, si possono distinguere le seguenti suddivisioni principali.
Dal paragrafo 1 a 3, la descrizione della “situazione della visione” con l’apparizione di Poimandres («Pastore di Uomini»), che identifica se stesso col Nous (Mente), ossia con la divinità suprema.
Dal paragrafo 4 a 11, la “cosmogonia” fino alla creazione di animali irrazionali;
dal paragrafo 12 a 19, l’”antropogonia”, la dottrina centrale di tutta la rivelazione.
Dal paragrafo 20 a 23, in cui si tirano le conclusioni morali ricavate dalle parti teoretiche precedenti della rivelazione, la descrizione dei due tipi opposti di “condotta umana”.
I paragrafi da 24 a 26 completano la rivelazione descrivendo l’ascesa dell’anima gnostica dopo la morte.
Commenteremo dapprima la dottrina centrale riguardo all’origine e all’assenza dell’”uomo”, alla quale la parte cosmogonica fornisce una base di conoscenza non necessaria in modo assoluto per la sua comprensione.
Tratteremo in seguito l’”ascesa dell’anima”, che corrisponde alla discesa originaria dell’Uomo Primordiale, e i cui particolari completano il racconto di quest’ultima.
Allora ritorneremo alla “cosmogonia” e cercheremo di rintracciare il bandolo della narrazione alquanto elusiva e non completamente omogenea di queste fasi iniziali del dramma.
– L’origine dell’Uomo divino.
L’uomo è terzo nella triade di creazioni divine successive o emanazioni:
la Parola (Logos), la Mente-Artefice (Nous-Demiurgos), l’Uomo (Anthropos).
Egli può considerare il Demiurgo come suo fratello, ma ha questa particolare analogia con il Logos, che entrambi sono in stretto rapporto con la Natura inferiore, la quale a suo tempo si dissolve di nuovo.
La Parola e il Demiurgo devono adempiere ciascuno un compito cosmogonico, sul quale ci soffermeremo in seguito;
mentre l’Uomo è stato generato dal primo Dio “dopo” la fondazione del sistema cosmico, ma fuori di esso, e senza alcuno scopo apparente, oltre il fatto che Dio possa rallegrarsi della propria perfezione in un’immagine perfetta di se stesso non corrotta dalla mescolanza col mondo inferiore.
Questa versione dell’origine del dio Uomo, per le sue caratteristiche di essere creato «ad immagine di Dio» e creato soltanto dopo il termine della creazione cosmica, mostra una più stretta relazione col racconto biblico che non la versione più diffusa nello gnosticismo secondo la quale l’Uomo “precede” la creazione ed ha egli stesso una funzione cosmogonica.
Le speculazioni rabbiniche su Adamo fondate sul duplice racconto della sua creazione in Gen.1 e 2, che venivano riferite rispettivamente ad un Adamo celeste e ad un Adamo terrestre, forniscono un legame tra la dottrina biblica e quella gnostica riguardo al Primo Uomo.
Certe dottrine di Zoroastro, sia attraverso quelle speculazioni giudaiche o direttamente, possono anche aver contribuito alla concezione di questa figura così straordinaria della teologia gnostica.
La deviazione dal modello biblico (se questo è stato realmente il punto di partenza dello svolgimento, ciò che è molto discusso tra gli studiosi moderni) è notevole nelle caratteristiche seguenti:
Dio non ha «fatto» l’Uomo, ma come principio generativo androgino lo genera e lo produce, cosicché egli è realmente un’emanazione della sua sostanza;
egli non è formato di argilla, ma è pura Vita e Luce;
la «somiglianza» non è una similitudine simbolica, ma è piena identità di forma, per cui Dio contempla ed ama in lui la Sua rappresentazione adeguata;
egli è extramondano, mentre anche il Demiurgo ha il suo seggio all’interno del sistema cosmico, sebbene nella sfera più elevata e più esterna, l’ottava;
le sue dimensioni sono proporzionate a quella della creazione fisica, come dimostra la sua seguente unione con l’insieme della Natura;
il dominio che gli è dato non è soltanto, come nella Genesi, semplicemente sulla fauna terrestre, ma anche sul macrocosmo astrale.
L’esercizio di tale potere, tuttavia, non era lo scopo originario per cui il Padre lo produsse:
potere che gli venne quando fu assecondato il suo desiderio di «potere anch’egli creare».
La ragione della discesa del divino e del suo essere coinvolto nel basso mondo è più spesso, e in modo più logico, collegata col principio demiurgico stesso e mira a render conto della stessa esistenza del mondo.
Ma in questo testo il mondo è già creato, ed è difficile scorgere che cosa possa ancora fare l’Uomo sia in collaborazione sia in competizione col Demiurgo.
E nemmeno il seguito dell’esposizione fornisce una risposta a tale domanda:
più che un impulso creativo, il motivo principale che lo spinge a penetrare il sistema demiurgico sembra essere la curiosità.
Codeste incoerenze fanno pensare che si tratta di una forma accomodata del mito di Anthropos, nella quale sono conservate soltanto alcune tracce dell’originaria funzione cosmogonica del personaggio.
– La discesa dell’uomo; l’anima planetaria.
Il suo ingresso nella sfera demiurgica segna l’inizio della sua storia che si svolge all’interno del mondo.
Il tributo resogli da parte di ciascuno dei sette Governanti che lo fanno partecipe ognuno del proprio regno, pare consistere in un accrescimento positivo del suo stesso essere:
egli assorbe e quindi possiede in se stesso la natura dell’Armonia, cioè i poteri dei sette Governanti nelle loro sfere rispettive;
il che, almeno agli occhi della Natura inferiore, sembra aumentare l’attrazione della forma divina quando egli le si mostra.
Pure non va dimenticato che i Governanti e le loro sfere sono state plasmate dal Demiurgo col fuoco, che, sebbene fosse il più puro, è tuttavia uno degli elementi fisici originati dalla Tenebra primordiale.
Così possiamo già a questo punto sospettare che i doni dei poteri planetari possano essere non del tutto desiderabili per un essere di pura divinità e possano anche avere i loro aspetti fatali.
Il contesto diretto non ha nulla che possa dar adito a tale sospetto, anzi tenderebbe a dissiparlo, se non fosse per la descrizione che segue dall’”ascesa” dell’anima, e per altre spiegazioni all’interno e all’esterno della letteratura ermetica circa la sua discesa originaria attraverso le sfere fino alla sua dimora terrena.
E’ questo un aspetto caratteristico della complessità della religione ermetica, oscillante tra il significato pregnostico e gnostico dello stesso tema mitologico.
E il tema dell’acquisto di un’attrezzatura planetaria da parte dell’anima.
Concezione che fa parte di dottrine astrologiche:
ciascuno dei poteri planetari dà il suo contributo all’attrezzatura dell’anima prima della sua incarnazione.
In una cosmologia affermativa, questi sono doni utili che fanno l’uomo adatto per la sua esistenza terrena.
Ed è a causa di queste componenti psichiche che ha in se stesso che l’uomo è unito per connaturalità con le loro sorgenti astrali, cioè col cosmo, del quale partecipa l’«armonia».
Per tale connaturalità egli è anche soggetto alle “influenze” delle stelle e quindi all’”heirmarméne” – il presupposto fondamentale dell’astrologia
– ma finché il cosmo è considerato buono non vi è niente di deleterio in questa concezione;
infatti è espressione di pietà cosmica.
A questo insieme di idee lo gnosticismo ha dato una nuova interpretazione considerando i costituenti planetari dell’anima, acquisiti durante la sua discesa attraverso le sfere cosmiche, come corruzioni della sua natura originaria.
Il cristiano Arnobio riferisce questo insegnamento attribuendolo al pensiero ermetico:
«Mentre noi scivoliamo e precipitiamo nei corpi umani, si avvincono a noi dalle sfere cosmiche le cause per le quali diventiamo sempre peggiori»
Uno stretto parallelo (in direzione opposta) alla versione del “Poimandres” sull’ascesa dell’anima si trova nella seguente descrizione della sua discesa:
«Nella loro discesa le anime trascinano con sé il torpore di Saturno, la collera di Marte, la concupiscenza di Venere, l’avidità di guadagno di Mercurio, la bramosia di potere di Giove;
le quali cose provocano una confusione nelle anime, di modo che esse non possono più servirsi del loro potere e delle facoltà loro proprie»
Le espressioni dimostrano chiaramente che ciò che aderisce all’anima nel suo viaggio verso il basso ha il carattere di entità sostanziali, sebbene immateriali, le quali vengono spesso descritte come «avvolgimenti» o «vesti».
Di conseguenza l’«anima» terrestre che ne risulta si può paragonare ad una cipolla con tanti strati, sul modello del cosmo stesso, solamente in ordine inverso:
ciò che è più esterno là, qui è più interno, e una volta compiuto il processo di incarnazione ciò che è più interiore nelle sfere cosmiche, la terra, è, in quanto corpo, la veste più esteriore dell’uomo.
Che questo “corpo” sia una fatalità per l’anima era stato ripreso nell’epoca dello gnosticismo.
Ma ora anche questi avvolgimenti “psichici” sono considerati impedimenti e danni dello spirito ultramondano.
«Guardando giù dalla sommità eccelsa e dalla vita eterna e avendo contemplato con segreto desiderio l’appetibilità del corpo e della sua ‘vita’, così chiamata sulla terra, l’anima per la pesantezza di questo suo pensiero terreno precipita nel basso mondo… In ciascuna sfera [che essa attraversa] è rivestita di una veste eterea, cosicché essa gradualmente si riconcilia con la compagnia del rivestimento terreno.
E perciò subisce tante morti quante sono le sfere che attraversa per giungere a ciò che qui sulla terra è chiamata ‘vita’»
Ora, che cosa sono questi accrescimenti estranei?
Nel loro insieme rappresentano il carattere empirico dell’uomo con tutte le facoltà e inclinazioni per le quali l’uomo si mette in rapporto col mondo della natura e con la società;
costituiscono cioè quello che normalmente si chiamerebbe la sua «psiche».
E qual è l’entità originaria ricoperta da codeste incrostazioni?
E’ il principio acosmico trascendente nell’uomo, in genere nascosto e non svelato nelle sue preoccupazioni terrene, o che si rivela negativamente in un sentimento di estraneità, di non completa appartenenza, e che diviene positivo quaggiù soltanto per mezzo della gnosi, la quale nella contemplazione della luce divina gli fornisce un contenuto acosmico di ciò che le è proprio e lo restituisce così nella sua primitiva condizione, ora oscurata.
Molto spesso, come abbiamo visto precedentemente, questo principio segreto è chiamato «pneuma», mentre il termine «psiche» è riservato al rivestimento «cosmico» manifesto.
Gli scritti ermetici evitano il termine «pneuma» nel significato spirituale, e lo sostituiscono con «nous»;
ma altrove il nome «psiche» è usato, con appropriate specificazioni, per “entrambe” le parti, e spesso, come nelle precedenti citazioni, leggiamo semplicemente che l’«anima» discende e subisce le deteriorazioni descritte.
Nel caso in cui la dignità tradizionale del termine «anima» è mantenuta, quelle deteriorazioni sono chiamate o spiriti aggiunti all’anima originaria o addirittura una seconda anima che contiene la prima.
Per la prima versione citiamo Clemente Alessandrino:
«Quelli intorno a Basilide hanno l’abitudine di chiamare le passioni ‘appendici’, che, essi dicono, sono nella loro essenza certi spiriti aggiunti all’anima razionale in seguito a un primitivo rivolgimento e confusione»
Nella scuola di Basilide si riteneva che queste appendici nella loro totalità costituissero esse stesse un’anima, come mostra il titolo di un’opera perduta del figlio Isidoro, “Sull’accrescimento dell’anima”, che tratta della «forza delle appendici»
Queste idee sfociarono nella teoria della doppia anima riguardo all’uomo terreno, che troviamo esplicitamente affermata come dottrina ermetica in una tarda opera neoplatonica.
«L’uomo ha due anime:
una è dalla Prima Mente e partecipa anche del potere del Demiurgo, l’altra è stata immessa dalla rivoluzione dei cieli ed in questa penetra l’anima che vede Dio.
Stando così le cose, l’anima che è discesa dentro di noi dalle sfere (lett.: «mondi») segue il corso delle rivoluzioni delle sfere, ma quella presente in noi come mente dalla Mente è superiore alla mozione che opera il divenire, ed è da essa che proviene la liberazione dell’heimarméne e l’ascesa agli Dei Intelligibili»
Per riferire ancora una citazione, lo scrittore gnostico siriaco, Bardesane, dice:
«Ci sono poteri ostili, stelle e segni, un corpo dal Malvagio senza resurrezione,
un’anima dai Sette»
Si potrebbero moltiplicare le testimonianze sulla dottrina dell’anima planetaria (per esempio, dalla letteratura mandea e dalla “Pistis Sophia”), ma la nostra scelta ha reso abbastanza chiaramente l’essenziale della concezione.
La citazione ermetica tratta da Giamblico mostra con singolare chiarezza ciò che sta dietro a questa fantasia mitologica:
non un rifiuto dell’universo fisico in una luce di pessimismo, ma l’affermazione di un’idea interamente nuova circa la libertà umana, molto diversa dalla concezione morale di essa che avevano elaborato i filosofi greci.
Per quanto profondamente l’uomo sia determinato dalla natura nella quale egli è totalmente inserito – e sondando nel proprio interno si può scoprire di strato in strato tale dipendenza – c’è pur sempre un nucleo interiore che non appartiene al regno della natura e per il quale egli è al di sopra di tutti i suoi stimoli e necessità.
L’astrologia è vera per l’uomo naturale, ossia per ogni uomo in quanto membro del sistema cosmico, ma non per l’uomo spirituale all’interno del naturale.
Per la prima volta nella storia è stata scoperta la differenza radicale tra uomo e natura e l’esperienza di tale realtà così fortemente emozionante è stata espressa in dottrine strane e suggestive.
Questa frattura tra uomo e natura non doveva essere mai più colmata e l’affermazione della nascosta, ma essenziale “diversità” dell’uomo, divenne un tema frequente, in molte varianti, nella ricerca della verità circa l’uomo.
– L’unione dell’uomo con la natura;
il tema di Narciso.
Consideriamo ora l’altra parte del dramma di Anthropos, la caduta dell’Uomo nella Natura inferiore.
Su questo punto la narrazione è meravigliosamente chiara ed impressionante:
la rivelazione dall’alto della sua forma divina alla Natura terrestre è nello stesso tempo il suo rispecchiarsi negli elementi inferiori, ed egli è trascinato sempre più in giù dalla propria bellezza il cui riflesso gli appare dal basso.
Il tema di Narciso come viene qui sfruttato è una caratteristica originale del “Poimandres”, e, così esplicito, ricorre altrove nella letteratura dell’epoca soltanto in confusi accenni.
Il tema di Narciso, tuttavia, dà solo una particolare impronta ad un’idea mitologica molto frequente nel pensiero gnostico, il cui significato originario non ha niente a che fare con la leggenda greca:
l’idea che il processo cosmogonico o la caduta dell’anima, o più generalmente il movimento verso il basso di un principio divino, sia stato iniziato da un riflesso della Luce superiore nella Tenebra sottostante.
Se analizziamo attentamente la versione del Poimandres, osserviamo in esso la combinazione ingegnosa di tre idee differenti:
quella della Tenebra che si innamora della Luce e si impossessa di una parte di essa;
quella della Luce che si innamora della Tenebra e si sprofonda volontariamente in essa;
quella di una radiazione, riflesso o immagine della Luce proiettata giù nella Tenebra e qui trattenuta fermamente.
Tutte e tre queste idee si trovano rappresentate nel pensiero gnostico.
La prima attribuisce l’iniziativa d’una possibile mescolanza alle forze inferiori, e questa versione si trova espressa in forma più completa nel sistema manicheo, del quale tratteremo separatamente.
Della seconda versione è stato dato un esempio nella citazione ermetica tratta da Macrobio
Risulta chiaro dalla tradizione araba degli Harraniti, di cui abbiamo dato una citazione precedentemente, che tale versione non si riferisce soltanto alla discesa dell’anima individuale, ma principalmente alla discesa cosmogonica dell’Anima primordiale.
La terza versione ci appare la più bizzarra, perché implica l’idea mitica della sostanzialità di un’immagine, riflesso o ombra, come rappresentante una parte reale dell’entità originaria dalla quale si è distaccata.
Bisogna ritenere che questo simbolismo fosse convincente per coloro che lo adoperavano per la fase cruciale del dramma divino.
In questo senso lo troviamo usato nella speculazione dei Setiani, negli Gnostici contro i quali scrisse Plotino, e in un sistema ricordato da Basilide non come suo proprio ma di alcuni «barbari», termine che molto probabilmente stava ad indicare dei pensatori persiani
L’idea generale comune a queste dottrine è la seguente.
Per sua natura la Luce brilla nella Tenebra sottostante.
Codesta illuminazione parziale della Tenebra è paragonabile all’azione di un semplice raggio, ossia ad una lucentezza che si diffonde come tale, oppure se proviene da una figura divina individuale come la Sophia o l’Uomo, è del tipo di una “forma” proiettata nel mezzo tenebroso e che appare là come immagine o riflesso del divino.
In entrambi i casi, sebbene non vi sia stata una reale discesa o caduta dell’originale divino, qualche cosa di esso è rimasto immerso nel basso mondo, e appunto perché la Tenebra lo considera una spoglia preziosa, per questo motivo la divinità non caduta è rimasta implicata nell’ulteriore destino di questa emanazione.
La Tenebra è presa da cupidigia per lo splendore apparso nel suo mezzo o sulla superficie delle acque primordiali e cercando di mescolarsi ad esso e trattenerlo strettamente e in permanenza, lo trascina in basso, lo assorbe e lo spezzetta in innumerevoli particelle.
Da allora in poi le potenze superiori sono coinvolte nel ricupero di queste particelle rapite di Luce.
D’altra parte, è con l’aiuto di tali elementi che le potenze inferiori sono in grado di creare questo mondo.
In ogni parte della creazione è dispersa la loro preda originaria sotto forma di «scintille», cioè di anime individuali.
In una versione un po’ più sofisticata del concetto, è con l’aiuto dell’”immagine” proiettata della “forma” divina che le potenze inferiori producono il mondo o l’uomo, cioè come “imitazione” dell’originale divino;
ma poiché in tal modo la forma divina viene incorporata nella materia di Tenebra e l’«immagine» è considerata come parte sostanziale della divinità stessa, il risultato è poi lo stesso che nel caso più rozzo dell’inghiottimento e della suddivisione.
In ogni caso tutto questo insieme di simbolismo sviluppa la tragedia divina senza una colpa dall’alto o un’invasione dal basso del regno divino.
Che la semplice e inevitabile radiazione della Luce e il suo riflesso in forma di immagini crei nuove ipostasi del suo stesso essere è ancora in Plotino un principio metafisico di prim’ordine, che influenza il suo schema ontologico generale.
Per quanto riguarda in particolare la relazione dell’anima superiore con quella inferiore, egli spiega, nello stesso contesto in cui riferisce la similitudine di Platone del dio del mare (confronta nota 13), che il volgersi dell’anima verso il basso non è altro che l’illuminazione da parte sua di ciò che sta sotto di lei;
attraverso questa illuminazione si origina un “eidolon”, un riflesso, che è l’anima inferiore soggetta alle passioni;
ma l’Anima originaria in realtà non discendeva mai
Una dottrina sorprendentemente analoga è affermata da quegli stessi Gnostici che erano stati bersaglio delle aspre critiche di Plotino:
«L’Anima, essi dicono, e una certa Sapienza [“sophia”: Plotino non è sicuro se essa sia diversa o identica all’«Anima»] si è volta verso il basso… e con essa sono discese le altre anime:
queste, come fossero ‘membri’ della Sapienza, assunsero corpi… Ma poi di nuovo essi dicono che colei per la quale le anime sono discese non è, in un altro senso, discesa essa stessa e in qualche modo non si è realmente volta al basso, ma ha soltanto illuminato la Tenebra, dal che ha avuto origine una ‘immagine’ (“eidolon”) nella Materia.
Poi essi fingono un’ulteriore ‘immagine dell’immagine’ che si forma in qualche parte quaggiù per mezzo della Materia o Materialità… e fanno così generare colui che chiamano Demiurgo e lo fanno separare dalla Madre, continuando a far procedere da lui il mondo fino all’ultima delle ‘immagini’»
La differenza principale, e in verità cruciale, su questo punto tra gli Gnostici e Plotino è che i primi deplorano la «discesa» per immagine-riflessione come causa della tragedia divina e della passione, mentre Plotino l’afferma come autoespressione necessaria e positiva dell’efficacia della prima sorgente.
Ma la struttura verticale di questa scala di sviluppo, cioè la direzione verso il basso di tutta la generazione metafisica che perciò non può essere che deteriorazione, è comune ad entrambi.
Ora, questa apparizione della Luce dall’alto in un riflesso dal basso può anche servire come spiegazione dell’errore divino.
Tutta la tragedia della Pistis Sophia, il suo vagabondare, la sua miseria, il suo pentimento nel mondo della tenebra, è conseguenza del fatto iniziale che essa ha scambiato la luce che ha visto in basso per la «Luce delle Luci» per la quale si struggeva dal desiderio, e l’ha seguita fino nelle profondità.
Troviamo inoltre, particolarmente nella speculazione di Mani, l’uso frequente di una similitudine divina come esca per allettare e trattenere la sostanza divina da parte degli arconti, oppure al contrario adoperata da parte dei messaggeri della divinità per sottrarre la luce-sostanza catturata dalla prigionia degli arconti.
Possiamo ora renderci conto che il tema di Narciso nell’errore – amore di Anthropos nel “Poimandres” – è una sottile variante e combinazione di parecchi dei temi cui abbiamo accennato.
Egli non è così colpevole come quell’Anima primordiale che soccombe al desiderio dei piaceri del corpo, perché è la bellezza della sua propria forma divina, essa stessa somiglianza perfetta del Dio supremo, che lo trascina in basso.
Egli è più colpevole della Pistis Sophia che è semplicemente ingannata, perché egli vuole agire indipendentemente e non avrebbe potuto confondere il riflesso quaggiù con la luce del Padre dal quale egli si era separato di proposito.
Tuttavia egli è per metà scusato del suo errore per il fatto che ignorava la vera natura degli elementi inferiori, avvolti com’erano nel suo proprio riflesso.
Perciò la proiezione della sua forma sulla terra e sull’acqua ha perso il carattere di un evento in sé sostanziale, e nella manipolazione di questo autore ellenistico è diventato il mezzo per motivare piuttosto che costituire l’immersione di un’emanazione divina nel basso mondo.
– L’ascesa dell’anima.
Veniamo ora all’ascesa dopo la morte dell’anima che ha acquistato conoscenza, principale prospettiva offerta al vero gnostico o pneumatico, nella cui anticipazione egli indirizza la sua vita.
Dopo ciò che abbiamo visto circa le dottrine prevalenti collegate con la discesa astrale dell’anima, la descrizione dell’ascesa nel “Poimandres” non richiede ulteriori spiegazioni;
essa è il rovescio della prima.
Ma alcuni paralleli e variazioni presi da altre scuole di speculazione gnostica possono sottolineare la vasta diffusione e la grande importanza di questo tema in tutto l’ordine della religione gnostica.
Il viaggio celeste dell’anima che ritorna è invero una delle caratteristiche più comuni e costanti in sistemi che per altri aspetti divergono grandemente, e il suo significato per la mente gnostica è valorizzato dal fatto che esso rappresenta una fede non soltanto essenziale nella teoria e aspettativa gnostica, e inoltre espressiva della concezione della relazione dell’uomo con il mondo, ma anche di importanza “pratica” immediata per il credente gnostico, poiché il senso della gnosi è quello di preparare per l’evento finale e tutta la sua istruzione etica, rituale, tecnica, è intesa ad assicurare il suo adempimento completo.
Storicamente c’è un aspetto di portata ancora maggiore del significato letterale per le dottrine dell’ascesa.
In uno stadio posteriore di sviluppo «gnostico» (sebbene non più denominato gnosticismo), la topologia esterna dell’ascesa attraverso le sfere, col progressivo spogliamento dell’anima dai suoi viluppi mondani e il ricupero della sua originale natura acosmica, poté essere «interiorizzato» e trovare il suo analogo, in una tecnica psicologica di trasformazione interiore per la quale l’io, “mentre è ancora nel corpo”, può raggiungere l’Assoluto come condizione immanente, seppure temporanea:
una scala ascendente di stati mentali sostituisce le stazioni dell’itinerario mitico:
la dinamica della progressiva trasformazione spirituale di sé sostituisce la spinta spaziale attraverso le sfere.
Per tal modo la stessa trascendenza è volta in immanenza, tutto il processo viene spiritualizzato e posto entro il potere e l’ambito del soggetto.
Con questa trasposizione di uno schema mitologico nell’interiorità della persona, con la trasposizione dei suoi stadi oggettivi in fasi soggettive di un’esperienza attuabile il cui punto culminante ha la forma di estasi, il mito gnostico si è trasformato in misticismo (neoplatonico e monastico), e in questo nuovo mezzo continua la sua vita molto dopo la sparizione delle originali credenze mitologiche.
Nel “Poimandres” l’ascesa è descritta come una serie di successive sottrazioni che lasciano il vero sé «nudo», esempio dell’Uomo Primordiale qual era prima della sua caduta cosmica, libero di entrare nel regno divino e diventare di nuovo una sola cosa con Dio.
Abbiamo visto precedentemente una versione diversa dell’ascesa in cui la caratteristica principale del viaggio non è lo spogliamento dell’anima, ma il suo passaggio come tale.
Codesta versione sottintende che ciò che inizia l’ascesa è già il puro pneuma sciolto dai suoi ingombri terreni, e inoltre, che i governanti delle sfere sono poteri ostili che cercano di impedirne il passaggio allo scopo di trattenerlo nel mondo.
Entrambe queste versioni sono ampiamente documentate negli scritti gnostici.
Ovunque si legge di svestire, di rivestire, di scioglimento di nodi, di apertura di ceppi lungo il viaggio verso l’alto, si hanno analogie con passi del “Poimandres”.
L’insieme di tali nodi, ecc., è chiamato «psiche»:
che è l’anima di cui lo pneuma si libera
In questo senso l’ascesa non è soltanto un processo topologico, ma anche qualitativo, quello di abbandonare la natura mondana.
E’ degno di nota che in taluni culti questo processo ultimo veniva anticipato da esecuzioni rituali che a modo di sacramenti dovevano effettuare una trasformazione provvisoria o simbolica già in questa vita e garantirne la definitiva consumazione in quella futura.
Così i misteri di Mitra imponevano ai loro iniziati il cerimoniale del passaggio attraverso sette porte disposte su scalini ascendenti che rappresentavano i sette pianeti
in quelli di Iside troviamo un successivo vestire e svestire di sette (o dodici) abiti o travestimenti animali.
Il risultato raggiunto da tutto il rituale prolungato e talvolta tormentoso era chiamato rinascita (“palingenesia”):
si riteneva che l’iniziato stesso fosse rinato come il dio.
La terminologia di «rinascita», «trasformazione» (“metamorphosis”), «trasfigurazione», fu coniata, nel contesto di questi rituali, come parte del linguaggio dei culti misterici.
I significati e le applicazioni che si potevano dare a queste metafore erano abbastanza estesi perché si adattassero a numerosi sistemi teologici;
infatti il loro era anzitutto un richiamo «religioso» in senso generale piuttosto che dogmatico specifico.
Ma sebbene né per l’origine né per la validità fossero legati all’inquadratura gnostica dottrinale, essi erano notevolmente adatti per gli scopi gnostici.
Nel contesto del culto misterico, o in sue sostituzioni private e spiritualizzate, ispirate dal modello generico, il «viaggio celeste» poteva diventare di fatto un’esperienza visiva raggiungibile durante il breve stato estatico.
La cosiddetta Liturgia di Mitra dà una descrizione circostanziata di tale esperienza, preceduta da istruzioni sul modo di prepararsi allo stato di visione e come effettuarlo.
(Il sistema teologico in questo caso è cosmico-panteistico, non dualistico;
lo scopo è l’immortalità per mezzo dell’unione col principio cosmico, anziché la liberazione dalla schiavitù cosmica.
La concezione del viaggio più specificamente gnostica come spogliamento graduale durante l’ascesa attraverso le sfere è sopravvissuta a lungo nell’esperienza mistica e nelle composizioni letterarie.
Mille anni dopo il “Poimandres”, Omar Khayyám canta:
«Dal centro della terra attraverso la settima porta mi sono innalzato, e sul trono di Saturno mi sono seduto, e molti nodi ho sciolto lungo il cammino;
ma non il nodo maestro del destino umano.
C’era una porta per la quale non ho trovato chiave;
c’era un velo attraverso il quale non potevo vedere:
c’eran momenti di breve discorso tra Me e Te, e poi non più né Te né Me».
L’altra versione dell’ascesa, meno spiritualizzata, ha un aspetto più sinistro.
L’anima con ansietà e timore anticipa il suo futuro incontro con i terribili Arconti di questo mondo decisi ad impedirne la fuga.
In questo caso la gnosi ha due compiti:
da una parte, quello di conferire all’anima una qualità magica per la quale diventa inespugnabile e forse persino invisibile agli Arconti in agguato (i sacramenti compiuti in questa vita possono assicurare questo scopo);
dall’altra, quello di istruire l’anima per fornire all’uomo i nomi e le formule efficaci con le quali aprirsi il passaggio, e tale «conoscenza» è uno dei significati del termine «gnosi».
E’ necessario conoscere i nomi segreti degli Arconti perché questo è un mezzo indispensabile per vincerli.
L’autore pagano Celso che ha scritto su tali credenze mette in ridicolo coloro che «con meschinità hanno imparato a memoria i nomi dei guardiani delle porte»
Se questa parte della «gnosi» è magia grossolana, le formule che si rivolgono agli Arconti manifestano aspetti significativi della teologia gnostica.
Ne abbiamo citato una più su e aggiungiamo qui alcuni altri esempi.
Epifanio riferisce da un vangelo gnostico di Filippo:
«Il Signore mi ha rivelato ciò che l’anima deve dire quando ascende in cielo, e come deve rispondere a ciascuno dei poteri superiori:
‘Sono giunto a conoscere me stesso ed ho raccolto me stesso da ogni parte, e non ho seminato figli per l’Arconte, ma ho estirpato le sue radici e raccolto i membri dispersi, e conosco chi sei tu:
perché io sono di coloro che sono dall’alto’.
E così essa è liberata»
Origene, nella sua preziosa trattazione degli Ofiti, riferisce la lista completa delle risposte che devono essere date «alle porte eternamente sbarrate degli Arconti».
Ne riportiamo le due seguenti.
A Ialdabaoth, «primo e settimo»:
«Io, essendo una parola del puro Nous, opera perfetta per il Figlio e il Padre, in possesso di un simbolo impresso col carattere della Vita, apro la porta del mondo che tu hai chiuso col tuo eone, e passo attraverso il tuo potere di nuovo libero.
Possa la grazia essere con me, sì, Padre, che sia con me».
A Sabaoth:
«Arconte del quinto potere, governatore Sabaoth, avvocato della legge della tua creazione, ora disfatta da una grazia che è più possente del tuo quintuplice potere, osserva il simbolo inespugnabile da parte della tua arte e lasciami passare oltre»
E’ evidente che tali formule hanno la forza di parole d’ordine.
Qual è dunque l’interesse degli Arconti nell’ostacolare l’esodo dell’anima dal mondo?
La risposta gnostica è così riferita da Epifanio:
«Essi dicono che l’anima è il nutrimento degli Arconti e delle Potenze senza il quale non possono vivere, perché essa proviene dalla rugiada dall’alto e dà loro forza.
Quando si è impregnata di conoscenza… essa ascende in cielo e si difende dinanzi a ciascun potere e sale al di là di essi fino alla Madre eccelsa e al Padre del Tutto da dove essa è discesa in questo mondo»
– I primi inizi.
Nel “Poimandres” non è detto che i Governanti siano malvagi, sebbene il fatto di essere soggetti al loro governo, chiamato Destino, sia considerato chiaramente come un’avversità per l’Uomo e una violazione della sua sovranità originaria.
Il che suscita la questione circa la qualità teologica della creazione, e si giunge così alla sconcertante prima parte della visione, che tratta delle fasi iniziali della cosmogonia.
Tutta la parte della rivelazione che precede la generazione dell’Uomo presenta le seguenti suddivisioni:
visione diretta della prima fase della cosmogonia, che precede la creazione reale;
spiegazione del suo contenuto da parte di Poimandres;
riassunto e completamento della visione, che rivela il mondo intelligibile in Dio secondo il quale è stato formato quello sensibile .
In seguito la visione diventa ascolto, ossia la storia della creazione reale è verbalmente spiegata da Poimandres all’intelligenza ora illuminata dell’ascoltatore.
Il paragrafo 8 tratta dell’origine degli elementi di natura:
il rapporto di questa istruzione con la prima fase della visione presenta l’enigma sul quale ora ci soffermeremo in modo particolare.
I paragrafi 9-11 riferiscono la generazione del Demiurgo dal primo Dio, la formazione da parte sua delle sette potenze planetarie e delle loro sfere, la messa in moto di questo sistema, e in conseguenza della sua rivoluzione la produzione di animali irragionevoli provocata dagli elementi inferiori della natura.
Degli eventi che seguono l’apparizione del Demiurgo nello schema teologico, soltanto lo slanciarsi della Parola dalla Natura nelle sfere superiori richiede una spiegazione.
Quanto al resto, tratteremo soltanto delle fasi predemiurgiche.
Anzitutto fisseremo l’attenzione sul contenuto visivo della rivelazione iniziale, che fa dello spettatore un testimone oculare dei primi inizi.
La Luce divina e l’orribile Tenebra simile ad un serpente, come primi princìpi, sono ormai familiari al lettore.
Due tratti caratteristici, tuttavia, si possono notare nella descrizione che stiamo considerando.
Il primo è che il campo della visione, per cominciare da questo, è formato di pura luce e soltanto «dopo un po’» appare in una parte di esso una tenebra che è portata in giù:
il che ammette solo la conclusione che questa tenebra non è un principio originario coevo alla luce, ma che in qualche modo ha avuto origine da essa.
L’altra caratteristica è l’osservazione misteriosa che un grido triste e lamentoso sorge dalla tenebra agitata.
Ci occuperemo sotto delle questioni che entrambe queste affermazioni fanno nascere.
Come prima ipostasi separata del Nous supremo, la “Parola” procede dalla Luce divina e «arriva sulla» natura umida:
da ciò che avviene in seguito, bisogna intendere questo «arrivare sopra» come un’intima unione del Logos con la natura umida, nella quale la Parola è trattenuta finché non viene di nuovo liberato dall’opera del Demiurgo.
Per il momento, l’effetto della presenza della Parola nella natura tenebrosa è che quest’ultima viene separata in elementi più leggeri ed elementi più pesanti (non in modo completo rispetto a terra e acqua, che sono separate soltanto nella fase demiurgica):
tale azione differenziatrice sulla materia caotica è la principale funzione cosmogonica del Logos (Parola), ma per mantenere questa differenziazione fino alla sua consolidazione finale per opera dell’Artefice (Demiurgo), il Logos deve restare “all’interno” della natura così divisa.
E’ chiaro che qui il Logos ha il senso greco di principio di ordine, ma nello stesso tempo è un’entità divina e come tale sostanzialmente implicata in ciò che tocca.
Nel paragrafo 7 colui che ha la visione, ricevuto il comando di guardare attentamente alla luce, distingue in essa innumerevoli poteri e scopre che essa da parte sua non è una distesa uniforme, ma è organizzata come un cosmo, che Poimandres gli dice essere la forma archetipa;
allo stesso tempo vede il fuoco «trattenuto da un grande potere» e tale potere non può essere che il Logos il quale mantiene gli elementi separati nel loro posto agendo dall’interno , mentre il fuoco è la circonferenza più esterna che si è costituita per il balzo del fuoco fuori dalla natura umida.
Secondo questa spiegazione, l’inizio della seconda visione non presenta una nuova fase del processo cosmogonico, ma una ricapitolazione, ad un grado più elevato di comprensione, di ciò che si è svolto nella prima visione;
il che, se l’ipotesi è corretta, è di importanza decisiva per l’interpretazione del paragrafo seguente [8], in ogni ipotesi, enigmatico.
Come nel paragrafo 7 colui che ha la visione impara qualche cosa di più circa la luce che ha visto per prima, così in questo paragrafo egli chiede e riceve istruzioni su quello che ha già formato il soggetto visivo della prima visione:
l’origine degli elementi della natura.
Alla domanda che egli rivolge:
Da dove hanno avuto origine?
, è facile aspettarsi la risposta:
Dalla natura umida per l’azione separatrice della Parola;
e, se si spinge oltre la domanda, la natura umida proviene dalla tenebra odiosa per sua stessa trasformazione;
e allora la domanda seguente sarebbe:
Da dove è venuta quella, se non c’era già all’inizio?
e secondo la prima visione non c’era – e questa sarebbe la questione delle questioni che qualsiasi dualismo gnostico non iranico deve affrontare e che trova risposta nelle ingegnose speculazioni di tipo valentiniano, di cui forma l’argomento principale.
La tesi loro comune è che una frattura o oscuramento all’interno della divinità possa in qualche modo spiegare l’esistente suddivisione della realtà.
Ora, l’ipotesi allettante da proporre, visto che ogni altra spiegazione ci lascia più insoddisfatti, è per me che la Boulé (Volontà) di Dio, introdotta in questo paragrafo e abbandonata poi di colpo per non essere più menzionata, sia una variante della Tenebra infernale della prima visione, e come tale sia un elemento isolato del tipo siriaco di speculazione penetrata in qualche modo in questa esposizione.
La conferma principale della mia ipotesi è la funzione del Logos in entrambi gli esempi.
Allo stesso modo della natura umida, la quale dopo che il Logos «è venuto sopra di lei» si separa negli elementi, così la Volontà di Dio, di genere femminile, avendo «ricevuto» in sé il Logos si organizza «secondo gli elementi che le sono propri».
La caratteristica che si aggiunge nell’ultimo caso è che la Boulé ordina se stessa «ad imitazione» dell’ordine archetipo che ha scoperto per mezzo del Logos;
ossia, la Boulé è più un agente indipendente di quanto non lo sia la natura umida della prima visione.
Di più, oltre gli «elementi» che formano oggetto della domanda, è ricordata una «progenie» psichica della Boulé, che si può ritenere uno dei suoi contributi alla futura creazione.
Entrambe le caratteristiche le danno una notevole affinità con la figura della Sophia della gnosi siriaca.
In altre parole, avremmo nella Boulé una versione di quel personaggio divino problematico, capace di ogni degradazione, che abbiamo incontrato per la prima volta nell’Ennoia di Simon Mago.
Un punto cruciale nell’analogia che abbiamo proposto della Boulé con la «natura umida» è il significato dell’espressione:
essa «ricevette» il Logos.
Fortunatamente questa stessa espressione ricorre a proposito dell’unione della Natura con l’Uomo, dove non soltanto comporta un evidente significato sessuale, ma vi è un’elaborata descrizione del come in questa unione la Natura assorbe nella sua totalità colui che essa così «riceve».
Se questo è ciò che avviene anche per il Logos «ricevuto» dalla Boulé, allora egli, come Anthropos dopo di lui, ha bisogno di essere liberato da questa immersione.
E infatti troviamo che il primo effetto dell’organizzazione sferica del macrocosmo da parte del Demiurgo è lo slancio del Logos dalla Natura inferiore verso lo spirito a lui affine nella sfera superiore.
Ora, questo risultato dell’opera del Demiurgo coincide perfettamente con una dottrina, diffusa soprattutto nel manicheismo, ma che si trova anche in altri luoghi nello gnosticismo, la quale afferma che l’organizzazione cosmica è stata effettuata allo “scopo” di liberare un principio divino caduto in potere del regno inferiore nello stadio precosmico.
Mi sembra inevitabile ritenere che tutto ciò pone la «Volontà di Dio», femminile, in una posizione intercambiabile con la «natura umida»:
è nella prima che il Logos è stato «ricevuto» nel significato di quel termine sostenuto per il nostro trattato;
è dalla seconda che esso si slancia in alto verso la sua vera affinità tramite la costruzione dell’universo, la quale costruzione era dunque del genere di una «salvezza» primordiale.
L’autore del “Poimandres” non ha ammesso nella sua composizione che poche tracce di questa dottrina.
La liberazione del Logos attraverso la creazione del Demiurgo è perfettamente spiegabile, nei termini stessi del “Poimandres”, come conseguenza del fatto che con l’organizzazione stabile e definita del cosmo la sua presenza non è più richiesta nella Natura inferiore allo scopo di tenere gli elementi separati, cosicché si può piuttosto affermare che egli è liberato da un compito anziché da legami.
Resta ancora il fatto che la sua comunione con la Boulé corrisponde in senso terminologico a quella dell’Uomo con la Natura, di cui è menzionata anche una «progenie»:
le «anime» come prodotto della Boulé – una rassomiglianza impressionante con ciò che i Valentiniani affermano della loro Sophia
Se allora consideriamo le due entità che pretendiamo siano versioni alternantisi dello stesso principio metafisico, la Volontà di Dio e la prima Tenebra, osserviamo che può naturalmente sorgere l’obiezione che alcuni attributi di quest’ultima, quali il terrore, l’odiosità e la sua rassomiglianza con un serpente, si adattano soltanto ad una Tenebra originaria, antidivina, di tipo iranico e non ad una divina Sophia per quanto oscurata ed estraniata dalla sua sorgente.
Ma è degno di nota che questa Tenebra appare “dopo” la Luce e deve essere nata “da” essa (contrariamente al tipo iranico), ed inoltre che si «lamenta»:
due tratti caratteristici più secondo la speculazione della Sophia che secondo quella del dualismo primitivo.
Si trova perciò nel corpo del “Poimandres”, più come semplice interposizione che come tema autonomo della composizione, un pallido riflesso di quel tipo di speculazione maggiormente rappresentativa che passeremo ora ad esaminare.
a cura di Hans Jonas