ORIGINE DEL MONDO
a cura di Luigi Moraldi
Questo scritto di singolare importanza fa ancora parte come l’pGv e la Nat Are del cod. II di Nag Hammadi.
Lo scritto, il cui papiro è punteggiato qua e là da buchi, ci è giunto in uno stato molto buono sotto ogni aspetto, fu reso pubblico per la prima volta parzialmente (le prime 14 pagine) da Pahor Labib nel 1956, e poco dopo J. Doresse (nel 1958) diede una breve presentazione di tutto il contenuto acuendo l’interesse degli studiosi.
La prima traduzione parziale — limitata alle 14 pagine allora note — fu fatta da H.-M. Schenke nel 1959.
Dal 1960 in poi l’opera divenne un po’ un campo esclusivo di studi del grande studioso tedesco Alexander Bòhlig il quale dopo tre studi di capitale importanza (negli anni 1960-61), curò con P. LABIB editio princeps di tutto lo scritto.
Lo studio più approfondito, esauriente e informato sulle fonti (tradizioni, miti, ecc.) alle quali attinse l’autore, o l’ultimo redattore, è dovuto a Michel Tardieu (nel 1974): è per ora l’opera più completa ed esemplare dedicata all’esame approfondito di uno scritto di Nag Hammadi.
Nello stesso anno apparve The Facsimile Edition, ma — naturalmente — di essa non potè servirsene il Tardieu il quale segue perciò la numerazione delle pagine secondo l’edizione del Bòhlig.
Il nostro scritto doveva avere una discreta diffusione negli ambienti gnostici: questa è la conclusione di due constatazioni.
è in un dialetto diverso dal sahidico, cioè in subhamimico;
verosimilmente è una tradizione indipendente dalla precedente dello stesso originale greco, e non il semplice trasferimento da un dialetto copto a un altro;
contiene brevi parole esplicative che, probabilmente, non risalgono all’originale greco, ma al traduttore;
dato che i frammenti corrono lungo tutto il testo, non v’è dubbio che si trattava di una versione completa;
ha una sua importanza per la ricostruzione critica del testo.
La scoperta di Oeyen non è dunque di poco conto.
I problemi che scaturiscono da quasi tutti gli scritti scoperti a Nag Hammadi sono qui condensati in una maniera lapalissiana e percepibile anche dal lettore più distratto.
Iniziamo da una visione generale del contenuto.
Il prologo attesta che l’autore è alla ricerca della prima realtà (πρώτον εργον).
Il seguito si articola in quattro parti.
Un semplice accenno alla natura degli «immortali» – per introdurre la figura di Sofia – apre la prima parte
dalla brama di Sofia ha origine la prima realtà imperfetta, cioè Pistis, e di qui il sipario che divide gli uomini dagli immortali, l’universo della deficienza e la primordiale sua organizzazione con l’ombra, l’invidia, la materia, il caos e, da questo, il grande arconte Jaldabaoth che assume la funzione di demiurgo creando il cielo, la terra, gli arconti, ecc., ostentando il suo orgoglio blasfemo;
Pistis Sofia gli risponde con l’annunzio della sua fine escatologica, e con la ribellione di uno dei suoi figli (Sabaoth) che viene collocato più in alto di lui;
Jaldabaoth si vendica e crea la morte che a sua volta origina 49 demoni;
Sabaoth e Zoe rispondono dando origine a sette forze buone, mentre il grande arconte dà sfogo alla sua rabbia rinnovando la sua bestemmia: «Io sono dio…».
A questo punto incominciano gli eventi riguardanti l’apparizione dell’umanità (seconda parte);
di qui alla fine tutto il testo sviluppa il soggetto centrale, cioè l’uomo e il suo mondo, trattando, nell’ordine, della apparizione dell’uomo-luce sulla terra, dell’origine dell’eros, del paradiso (creato da Sabaoth), della vicenda dell’uomo- luce, della creazione dell’uomo psichico, dell’inno a Eva (l’istruttrice dell’uomo psichico), della creazione dell’uomo terrestre;
segue il racconto della «tentazione» e della «caduta», il ciclo della fenice e con esso i due tori, il coccodrillo, e l’Egitto simbolo del paradiso.
Termina così la parte più estesa dello scritto, e inizia la terza parte, costituita da una sezione negativa (l’uomo sotto gli arconti in balia dell’illusione, della discordia, dell’errore, ecc.), e da un’altra positiva rappresentata dagli «spiriti innocenti» (nelle loro quattro categorie);
e, in fine, l’arrivo del logos il quale fa conoscere quanto non è conosciuto.
La quarta parte tratta della o consumazione finale, con il trionfo della luce sulle tenebre, del bene sul male: l’eliminazione delle tenebre e del male con la loro definitiva distruzione termina il trattato.
Uno scritto così composito, a volte stagnante, ma generalmente pieno nell’accavallarsi di miti di provenienza palesemente eterogenea e qua e là contrastante, ripropone quanto si è già visto altrove: ha lo scritto una linea logica, oppure è una aberrazione, un testo imbrogliato, fastidioso, che fa rimpiangere «il Vangelo semplice, franco, gioioso predicato da Gesù Cristo» ci si trova cioè difronte a un «pasticcio» o a un testo che ha la sua logica, la sua coesione e unità?
Vale per tutti i testi gnostici, ma è importante ricordarlo prima della lettura di questo trattato, che l’impressione di incoerenza che si prova davanti a loro deriva dalla nostra volontà di comprenderli seguendo uno schema razionale, sulla base del principio di non contraddizione, mentre essi si sviluppano e organizzano con un pensiero mitico basato sulla ambiguità, sull’equilibrio di concetti ambivalenti, su sofisticati contrasti di associazioni di opposti.
Per inciso, è anche per questo che il più delle volte è così contrastata dagli studiosi la divisione — non la ricerca — materiale delle fonti degli scritti gnostici.
È stato subito osservato, dopo la sua pubblicazione, come una delle ragioni della straordinaria importanza è il suo esteso sincretismo:
esso è palesemente debitore a miti greci, orientali, giudaici e cristiani, miti coordinati secondo il pensiero e lo schema gnostico.
È impressionante il numero delle fonti che cita l’autore e alle quali rimanda, e delle quali sappiamo assai poco: il primo libro di Norea , Arcangelica del profeta Mosè , il libro di Salomone, il libro sacro , ^ Settimo cosmo del profeta Hieralias , gli Schemata della Heimarmene del cielo
Ma di tutte queste opere non sappiamo nulla.
Ecco un breve cenno sui miti, correnti filosofiche, linee di pensiero alle quali l’autore (o redattore) chiaramente attinge e delle quali si dimostra imbevuto.
Dipende dall’Egitto il tratto nel quale l’Egitto è additato come la terra del paradiso e dei mitologici animali ;
i miti greci sul caos, su èros, su Himeros, sul Tartaro, su amore e psiche, sulla voluptas (ήδονή) ecc.
costituiscono un materiale corrente;
l’Antico Testamento è la falsariga soprattutto per la storia primitiva, ed assai più che dalla NatArc ci è dato qui constatare l’influsso esercitato dallo exaemeron biblico anche nella letteratura gnostica (oltre che in Filone e, in seguito, nella letteratura cristiana);
vasta in fine, e molto significativa, è l’importanza delle tradizioni giudaiche, anche nei tipici giochi di parole ebraiche e aramaiche;
non meravigliano i molteplici accordi col libro di Enoc, una delle opere predilette dalla letteratura gnostica.
L’influsso cristiano è singolarmente ridotto.
In un primo testo «Gesù Cristo» è presentato come creatura di Sabaoth:
è un primogenito, è detto Israele, siede alla destra del trono di Sabaoth, mentre alla sinistra, è assisa «la vergine dello spirito santo», ed è l’immagine del salvatore che si trova sopra dell’ogdoade (come la «chiesa angelica» è l’immagine di quella dell’ogdoade):
i cristiani sono così presentati come veri psichici, come la loro chiesa;
e probabilmente, Sabaoth — Gesù Cristo — la vergine rappresentano la grande triade.
In un secondo testo si parla delle anime di Sabaoth «e del suo Cristo».
In ambedue i testi ci si trova nell’ambito di una teologia giudeo-cristiana, presentata da un gnostico, da un pneumatico, per il quale Sabaoth è il dio dell’Antico Testamento, mentre Gesù Cristo e lo spirito sono suoi assistenti.
Tutte queste tradizioni, filoni dottrinari e miti non si trovano qui affastellati in un complesso disarticolato ma in uno scritto sufficientemente unitario nel quale si possono individuare brevi digressioni e commenti (gli gnostici ritoccavano continuamente i loro scritti, non avevano un «textus receptus»): le notevoli difficoltà che presenta sono più facilmente superabili se si ha presente lo schema generale nel quale sono sistemati i molti miti dei quali si serve l’autore.
Il tema attorno al quale ha lavorato è l’uomo nei vari aspetti della sua origine, delle sue tendenze naturali, delle sue lotte;
l’uomo al centro di una guerra assai più antica di lui e nella quale egli si trova immerso, cioè l’antagonismo tra la luce e le tenebre, tra il mondo superiore, il vero e unico, e l’inferiore, scimiottatura temporanea di quello.
Dai miti e tradizioni, dallo sfondo culturale ellenistico-giudaico-egiziano l’autore ha creato un’opera unitaria nuova nella sua dottrina: spiega la visione gnostica del mondo esponendo un prezioso compendio di idee gnostiche con una vasta base di materiale soprattutto giudaico ed ellenistico, ma anche — parzialmente -cristiano e manicheo.
Nel profondo ottimismo che caratterizza lo scritto, l’autore dà una dimostrazione palese della libertà che avevano gli gnostici nell’attingere alle più svariate fonti a loro disposizione per sistematizzare e diffondere le loro idee e attestare come la loro dottrina, attingendo da tutti, poteva ben sostituirsi ad altre più particolaristiche.
Lo scritto è una chiara attestazione della «cattolicità» dello gnosticismo.
L’opera non ha titolo.
Per molto tempo fu designata come «Scritto senza titolo» ;
ma poco alla volta si fece strada la titolatura proposta da H.-M. Schenke nel 1959 e accolta oggi anche dall’opera in collaborazione The Nag Hammadi Library in English (1977);
Schenke aveva allora a sua disposizione la prima metà circa dello scritto e il titolo fu dato in considerazione del prologo;
tuttavia, se il termine «mondo» è inteso come designante l’universo alla portata diretta e indiretta dell’uomo, il titolo resta parzialmente valido;
«parzialmente» poiché il trattato non si arresta all’origine del mondo, ma si estende ampiamente alla vicenda terrena dell’uomo e termina con la consumazione», o apocatastasi del mondo e dell’uomo.
Il prologo è, forse, solo in apparenza polemico in quanto l’autore non si prefigge di «dimostrare» che il mondo non ebbe origine dal caos, bensì di rilevare che al di sopra del caos primordiale vi è la «luce», che essa è la prima realtà alla quale, in fine, ritornerà tutta la «luce» discesa quaggiù, mentre tutto il resto si dissolverà
Prima parte.
Gli esseri intermedi e il mondo:
Dall’entità suprema, da «colui che non ha fine — luce esistente fin dall’inizio — eòne della verità» derivano gli immortali dei quali fa parte anche Pistis;
e da Pistis, ultima nella serie degli immortali, scaturisce un’immagine chiamata Sofia;
e con Sofia si esce fuori dalla pienezza, dagli immortali, e ha inizio l’universo della deficienza
Sofia non era soddisfatta della sorte toccatale e volle operare come l’entità suprema:
nello gnosticismo i sentimenti si concretizzano in esseri, ed ecco che appare l’oggetto del suo desiderio, della sua volontà :
era un grande essere celeste che si interpose tra gli immortali e i mortali, tra il cielo divino e la terra (mortali e terra che verranno in seguito), era il sipario che crea la divisione tra la luce e le tenebre;
perciò, dal basso, fu detto «tenebra», «ombra», dalle forze celesti fu detta «caos infinito», cioè l’abisso, dal quale scaturirà tutto l’universo inferiore;
l’ombra, si accorge che c’è qualcuno (cioè l’abisso) superiore a lei:
sentimento invidioso che si concretizza nell’invidia (la quale, a sua volta, si estenderà a tutti i mondi che sorgeranno dal caos) e nell’odio.
L’operazione dalla quale nasce l’aborto (invidia e odio) è paragonata a una generazione animale che comporta una sostanza acquosa e una placenta:
quest’ultima sarà la materia, la prima, invece, l’acqua primordiale;
il tutto si trovava nel caos.
La Pistis considera il disastroso effetto della sua inefficienza, ne rimane sgomenta, e questo suo sgomento dà origine a una nuova realtà, «la paura» (= «una opera paurosa»), che si precipita nel caos e la Pistis vivifica col proprio soffio affinché presiedesse la materia e tutte le sue forze
Le origini primordiali dell’universo inferiore sono dunque rappresentate mitologicamente così:
da Pistis ha origine Sofia, dalla sua disordinata Brama deriva il Sipario, sotto di lui l’Ombra-la Tenebra-il Caos;
dall’Ombra ha origine l’Invidia e l’Odio, e da essi l’Acqua primordiale e la Materia, di fronte alle quali Pistis origina la Paura.
Dalla luce si va sempre più nelle tenebre, dalla Perfezione alla Inefficienza.
Sofia appare essenzialmente ambigua e bifronte:
la parte di Pistis è rivolta verso l’alto, ma essendo caratterizzata dalla Brama (Desiderio, Volere autosufficiente) l’altra parte è rivolta e appartiene al basso;
tendenza verso la sua origine ed espansione verso il basso, due poli opposti che trasmette all’universo inferiore.
Il dominio sulla materia, «insufflato» da Pistis, origina la dominazione (nell’universo inferiore), cioè il grande arconte che appunto da questa trae il suo nome;
essere bisessuato, aspetto di leone, pieno di potenza, ma ignorante, privo della gnosi:
e qui è la ragione dei suoi inutili e disastrosi tentativi di dominio cosmico e di scalata verso il cielo superiore.
Quando Pistis gli diede il nome segnò l’inizio la «parola».
Dopo la descrizione di Jaldabaoth, l’autore passa alla sua attività, per mezzo del pensiero e della parola, seguendo, la narrazione della Genesi;
prima agisce come vento sull’acqua in mezzo alla tenebra, poi come divisore della terra dall’acqua, e creatore degli spazi:
con una parte di materia crea il cielo e con un’altra parte la terra, suo «sgabello»;
lieto delle sue azioni, crea tre figli bisessuati come lui;
ne risultarono così le sette potenze planetarie, che presiedono i giorni della settimana, nell’ambito delle quali si esercita la sovranità del grande arconte:
essendo bisessuate, ognuna ha un nome maschile e uno femminile, così:
Jaldabaoth — Pronoia Sambathas;
Jao — Signoria;
Sabaoth — Divinità;
Adonaios — Regalità Eloaios — Invidia;
Oraios — Ricchezza;
Astafaios — Sofia (Saggezza).
Questa lista si può utilmente confrontare con ApGv, ove leggiamo anche le corrispondenze animali degli arconti, che qui non sono menzionate.
Annoverando Jaldabaoth con gli altri sei cieli abbiamo sette cieli, mentre distinguendolo, a motivo della sua preminenza, ne abbiamo sei
partendo dal basso il primo cielo è quello di Jaldabaoth e, partendo dall’alto, è quello di Sofia la quale — nel settimo (o sesto) cielo — segue immediatamente Pistis che fa parte degli «immortali» come ultima della serie.
Dopo la descrizione degli ornamenti dei cieli a decoro dei singoli arconti, l’autore-redattore introduce un altro mito primordiale, che, forse si ispira alla mitologia dei Titani:
una potenza inferiore anonima scuote tutto il sistema cosmico, e solo l’intervento dell’alito di Pistis Sofia riesce a legarlo, a gettarlo nel Tartaro, e a ristabilire l’ordine,
Mentre da Pistis il grande arconte aveva ricevuto la forza di creare il mondo e di mantenerlo stabile contro l’attacco dello «scuotitore», nella sua ignoranza si giudica padrone di tutto e si reputa dio;
la Pistis allora risponde a questa bestemmia apostrofandolo come essere «cieco» (ignorante), annunciandogli la sua dissoluzione escatologica per opera di un uomo splendente e immortale , e proiettando nell’acqua la propria immagine.
Né si ferma qui l’intervento della Pistis:
le sue parole indussero a penitenza l’arconte Sabaoth il quale dopo avere approvato il suo padre ( Jaldabaoth), ora lo disapprova ed è riconoscente a Pistis apportatrice della «conoscenza dell’uomo immortale» ;
Pistis Sofìa gli stende il suo dito, cioè gli comunica un po’ della sua luce e lo prepone, con grande potenza, su tutte le forze del caos;
egli diventa il «signore delle potenze».
Le potenze del caos si scatenarono contro Sabaoth, ma Pistis Sofìa mette a sua custodia arcangeli e angeli, lo fa trasportare dal terzo al settimo cielo (cioè con Astafaios e Sofia) e gli dà la propria figlia — Zoe — come pedagogo e maestro;
Sabaoth si prepara una degna dimora (trono, cherubini, serafini, ecc.), crea la «chiesa angelica», simile a quella celeste, e un primogenito detto «Israele» e «Gesù Cristo» il quale è come il salvatore celeste;
e con visibile compiacenza è descritta la grande gloria di Sabaoth attingendo — alla maniera gnostica-giudaica — a diversi testi dell’Antico Testamento;
Sabaoth è, infatti, il Dio dell’Antico Testamento:
un arconte come gli altri, ma, a differenza degli altri, capace di pentimento;
siede alla destra di Pistis Sofia e rappresenta la giustizia, ma alla sinistra di Sofia siede Jaldabaoth, l’ingiustizia:
Sabaoth come Sofia sono due entità bivalenti!
Ed ecco farsi sempre più aperta la lotta:
Jaldabaoth, padre del figlio ribelle — Sabaoth —, passa alla controffensiva.
Divorato dall’invidia crea la morte affinché prenda il posto nel terzo cielo lasciato vuoto da Sabaoth, ed essa genera ancora sette figli bisessuati (cioè una ebdomade) rappresentanti altrettanti «vizi» che a lor volta ne generano altri fino a raggiungere il numero di quarantanove demoni, cioè
maschili femminili
invidia collera ira
tristezza pianto lussuria sospiro
lamentazione lutto maledizione grido di dolore
amarezza lacrime del gemito discordia
A questi demoni rispondono Sabaoth e Zoe creando sette forze buone bisessuate dalle quali derivano «molti spiriti buoni e innocui» ;
queste sette forze sono
maschili femminili
assenza d’invidia pace beato
gioia gioioso giubilo veritiero
beatitudine assenza di gelosia verità amato
amore degno di fede fede
Il grande arconte ricorda l’immagine di Pistis sulle acque, si accorge che è lei che gli aveva parlato e che prima di lui c’è l’uomo immortale, ma non desiste dalla lotta e, nonostante i sospiri, la vergogna e lo sgomento, rinnova e accresce la sua bestemmia: «Io sono dio… Se prima di me ce n’è un altro…».
A questo punto inizia il ciclo di Adamo
Seconda parte.
Antropogonia:
Il materiale della seconda parte è il più vasto, varie e originale del presente scritto, ma contiene pure un buon numero di difficoltà di diversi generi dovute in larga misura al linguaggio mitico, così pregnante di significati, e al sincretismo gnostico.
Tutto sommato vi si possono vedere nove sezioni o quadri.
1.
Dopo la seconda sfida lanciata dal grande Arconte:
«Se prima di me c’è un altro…» dall’ogdoade celeste si stacca una luce, attraversa tutti i cieli ed è vista da tutti gli arconti, ma solo Jaldabaoth e la sua compagna, la Pronoia, scorgono nella luce una splendida immagine umana: è l’Adamo-luce;
Pronoia se ne innamorò, avrebbe voluto unirsi a colui il cui nome significa «uomo dal sangue luminoso», ma per la contrapposizione tra luce e tenebra (= Pronoia), l’unione non fu possibile;
allora la Pronoia effuse sulla terra la luce riflessa su di lei dall’immagine umana e questa luce riflessa purificò la terra: giocando opportunamente sulla gamma dei possibili significati di Adam (nella lingua ebraica), la luce riflessa era il sangue luminoso della vergine (cioè di Adamo);
dunque, come l’acqua fu purificata dall’immagine riflessa di Pistis Sofia, così la terra viene ora purificata dal sangue della vergine
2.
Il mito dell’Eros.
Impossibilitata a unirsi a Adamo-luce, la Pronoia versò, sulla terra, le particelle luminose o goccie di sangue provenienti da lui e di cui si era caricata desiderandolo;
ma, a un livello parallelo, la vergine Pronoia versò sulla terra il proprio sangue: dalla terra purificata da questo sangue sarà formato l’uomo.
Da questa luce- sangue e sangue-luce ebbe origine l’Eros: origine che solo in apparenza è femminile (Pronoia), in realtà è ambivalente, bisessuato;
la sua mascolinità è Himeros, la femminilità «un’anima di sangue»;
da una origine così qualificata, l’Eros illumina, trascina, brucia tutti gli esseri creati.
Bisessuato, bello, fuoco, l’Eros ha una posizione intermedia nell’ambito dello spazio cosmico, divide e unisce, è causa di ordine e di disordine;
e dall’Eros ha inizio l’accopiamento, il piacere sensuale sintetizzato in cinque righe incisive;
donna-terra, matrimonio-donna, matrimonio-procreazione, procreazione-morte.
Ma dall’Eros, sangue versato sulla terra, e dal seme delle potenze crescono i tre alberi legati alla sessualità: la vite, il fico, il melograno
3.
Nella stessa tematica dell’Eros è presentato il paradiso.
Fu creato dalla «giustizia» — quindi, a quanto pare, da Sabaoth — al di là del sole e della luna, non quaggiù;
in esso c’era «l’albero della vita» che qui ha significato escatologico, e cioè dare l’immortalità ai giusti alla fine del mondo;
«l’albero della gnosi» punto di partenza per la salvezza, dando all’uomo la conoscenza di ciò che è suo, portandolo alla rottura con arconti e potenze, e indirizzandolo verso «l’albero della vita».
Ma c’era pure l’albero dell’ulivo — al quale una lunga tradizione giudaica e giudeocristiana annetteva pure significato escatologico.
In un tratto curioso è sviluppata la relazione Eros-vergini-sangue sulla terra, crescita di piante gradevoli (prima fra tutte il «roveto» ardente della storia mosaica), in fine tutte le piante;
dopo l’apparizione di queste, le potenze creano, dall’acqua, pesci, rettili, uccelli
4.
Ricollegandosi al testo di 109, cioè prima del mito dell’Eros e del paradiso, l’autore riprende il mito di Adamo-luce.
Restò sulla terra «circa due giorni», poi sistemò la Pronoia in un altro cielo, e iniziò a salire verso la sua luce, lasciando tutto il mondo nelle tenebre: come Sabaoth, anche la Pronoia, è posta in un cielo superiore a quello del suo compagno, Jaldabaoth.
A motivo delle tenebre.
Sofia ricevette una forza da Pistis e così creò i luminari e compì l’opera di organizzazione dello spazio e dei tempi.
Ma avendo riflettuto sulla Prònoia parte della sua luce, l’Adamo-luce, indebolitosi, non è più in condizione di rientrare nell’ogdoade suprema, perciò si crea una sfera tra questa e l’ebdomade degli arconti;
anch’egli ormai fa parte del «mondo della povertà».
Prima che Adamo-luce si allontanasse fu visto dalle potenze, cioè dagli arconti, e derisero il loro capo, che si era proclamato su-superiore a tutti;
temendo l’opera «distruttrice» del loro mondo concertano di formare un uomo dalla terra uguale al loro corpo e il più possibile simile a Adamo-luce: alla vista di un suo simile, lascerà un riflesso della sua luce e non distruggerà il mondo degli arconti, anzi, questi avranno in loro potere una parte di lui;
gli arconti sono potenti, ma ignoranti
5.
Ma quello che si sta realizzando con l’ignorante complicità degli arconti, conduce — sul piano divino — proprio a una conclusione che è contro di loro: il sovrano dominio del divino al quale lo scritto volge sempre la sua attenzione
In risposta al disegno degli arconti, Sofia-Zoe forma il «suo uomo» affinché possa «istruire» quello che faranno gli arconti
Dall’ogdoade celeste prende una «goccia» di luce e la getta nell’acqua;
la goccia fa risplendere l’acqua;
dall’unione della luce e dell’acqua nasce un corpo femminile che assume le sembianze di una madre, e dopo dodici mesi genera un uomo bisessuato, Ermafrodite, che sostanzialmente è sempre donna con l’ambiguità e la duplicità della donna primordiale.
L’accostamento luce-acqua-donna-madre ha connessi con la mitologia greca e con quella giudaica.
Ha il compito di istruire: «nella misura in cui l’umanità avrà disprezzato gli arconti nella stessa misura ne sarà liberata»
nel suo sincretismo gnostico l’autore proietta la duplice polarità della propria visione: questo uomo-donna è Ermafrodite-Afrodite, gli ebrei lo chiamano «Eva della vita» cioè «istruttrice della vita», mentre gli arconti lo chiamano «la bestia» (vi è qui tutto un gioco di accostamento mitici e di etimologie più o meno fondate).
Questo trionfo della donna è sintetizzato in un inno — che doveva essere assai comune in ambienti gnostici — nel quale sotto la forma «io sono» la donna identifica i contrari ed esprime la sua essenziale tensione verso l’alto, che è il suo doppio.
Il quadro termina con una visione sostanzialmente ottimista per le anime provenienti da «Sabaoth e dal suo Cristo»: a loro è noto quanto precede, perciò una «voce santa» (forse di Pistis) disse loro (in senso gnostico!) «crescete, moltiplicatevi…» anche se saranno per un certo tempo prigionieri degli arconti
6.
L’uomo ermafrodita creato da Sofia — Zoe, è l’uomo psichico, tuttavia nel tratto a lui dedicato non è mai chiamato con questo nome (anche perché gli si adatta soltanto in modo assai relativo);
è detto così nella sintesi sistematica finale
è detto — una sola volta — «psichico» l’uomo formato dagli arconti
In una maniera parte originale e parte comune, gli arconti realizzano il loro disegno formando l’uomo: gettano il proprio seme nell’ombelico della terra e poi plasmano il corpo dell’uomo, che assomigliava a loro ma era a immagine di Adamo-Luce;
ogni arconte coopera per la sua parte, come leggiamo in altri miti del genere
esternamente assomigliava all’archetipo, ma internamente, no: era privo di vita;
perciò l’arconte lo pose dentro un vaso per quaranta giorni (le indicazioni gnostiche tengono sempre desta l’attenzione del lettore!);
Sofia gli invia l’anima (ψυχή) e apparentemente realizza il disegno degli arconti in quanto nel corpo arcontico è immessa l’anima, cioè la somiglianza;
l’uomo non poteva stare diritto: avvicinato dagli arconti, rispose alla loro domanda (aveva iniziato la gnosi), ma essi non compresero, lo estrassero dal vaso e lo posero nel paradiso: era il settimo giorno e, sollevati dalla situazione in cui era l’uomo, si riposarono.
Nell’ottavo giorno, Sofia manda la figlia Eva (cioè il secondo Adamo, il «suo uomo») per destare e istruire Adamo (notare la linea: Sofia — Zoe — Eva — Adamo);
le potenze decidono di trattenere questa datrice di vita e di luce: «gettiamo in lei il nostro seme affinché… non possa più risalire alla sua luce, e quelli che partorirà saranno soggetti a noi» ;
inducono in Adamo «un sonno d’oblio» e durante il sonno gli fanno credere che Eva deriva da lui, «dalla sua costola» e che egli è quindi il suo signore;
ma Eva (superiore) acceca gli inseguitori.
lascia presso Adamo la sua immagine, fugge e si trasforma «nell’albero della gnosi»;
passato l’accecamento, gli arconti vanno da Adamo, vedono Eva, credono che sia l’Eva superiore, e si uniscono invece con l’Eva terrestre (immagine dell’altra) contaminandola in modo abominevole;
da questa unione degli arconti e dei suoi angeli con l’Eva terrestre nacquero figli, prima Abele poi gli altri.
L’autore termina con una visione ottimistica sulla discendenza di Eva: il seme degli arconti è ormai amalgamato a tutte le persone, nessuno quindi può sfuggire alla Heimarmene, ma il mondo futuro (legato all’ottavo giorno), nella rigenerazione di Adamo, sarà maschio, i nati da Eva saranno d’ora in poi «siepi per la luce» che è in essi, così Eva condannerà gli arconti proprio per mezzo delle loro stesse creature nelle quali è racchiusa quella luce
7.
Un complesso ricupero gnostico di temi biblici-giudaici-giudeo cristiani ed ellenistici — è offerto dalla sintesi sulla apparizione dell’uomo: il primo giorno è contrassegnato dalla apparizione di Adamo-luce;
il quarto dall’apparizione dell’uomo psichico;
l’ottavo giorno dall’opera dell’Eva superiore sull’uomo terrestre, quindi è il giorno dell’uomo legale, il giorno del riposo dalla povertà e il giorno del sole poiché in esso l’uomo acquistò la posizione eretta
8.
Con brevi unità letterarie è presentata la primordiale sistemazione dell’umanità nella lotta tra luce e tenebre per la schiavitù o per la illuminazione liberatrice dell’umanità.
L’uomo si estese facilmente sulla terra, acquisì le conoscenze pratiche per la vita quotidiana, ma era nella completa ignoranza a proposito del «tutto» («donde vieni, dove vai, chi sei, chi sarai, ecc.) e viveva nell’ignoranza come gli animali.
Gli arconti si resero conto che sarebbero stati sempre sotto l’incubo dell’uomo immortale (Adamo-luce) e sotto il pericolo di colei che si era fatta albero (Eva superiore), pensarono di premunirsi proibendo alla coppia umana di mangiare dell’albero della gnosi sotto minaccia di morte.
Ma «la bestia» (cioè l’Eva superiore) indusse la madre Eva (sua immagine terrena) a mangiarne;
la donna e l’uomo conobbero la loro nudità gnostica;
conoscenza che destò in loro l’amore reciproco, e la ripugnanza verso gli arconti;
dopo la solita requisitoria e le abituali maledizioni (contro l’istruttore, la donna e l’uomo), gli arconti conobbero finalmente che c’è prima di loro «uno più forte», e introdussero nel mondo una grande invidia;
misero a prova la conoscenza dell’uomo presentandogli tutti gli animali, ma restarono stupiti allorché egli diede il nome a tutti: allora cacciarono Adamo ed Eva dal paradiso in terra affinché non mangiassero dell’albero della vita, e presero ogni misura affinché nessuno gli si accostasse.
Alle azioni degli arconti corrispondono due interventi di Sofia Zoe: scacciò gli arconti dai loro cieli giù in terra, tra i demoni maligni;
mandò la fenice: di essa e altri animali, tratterà la parte seguente
9.
La fenice — i due tori — il coccodrillo, cioè il così detto «bestiario dell’Egitto».
Ci si interroga su quale significato abbia quest’ultima sezione: non è semplice comprendere gli intenti che ebbe Fautore-redattore.
Penso che l’unica spiegazione sia nella frase finale, cioè l’umanità scacciata dal paradiso ha nell’Egitto la regione più somigliante al paradiso fino a quando giungerà la fine, il ritorno delle gocce di luce alla fonte della luce.
Ed ecco la simbologia degli animali scelti quali rappresentanti della terra d’Egitto così «calunniata» dalla letteratura ebraica biblica (come terra della schiavitù), dalla letteratura giudaica e giudeo cristiana (ad es. gli «Atti di Tommaso» e in particolare il «Canto della perla» ivi
La fenice è simbolo dell’apocatastasi, della rigenerazione escatologica e del ritorno all’origine;
nella concezione circolare del tempo, essa unisce l’inizio alla fine;
è simbolo del giusto, cioè del gnostico in paese straniero sempre memore della patria lontana;
è quindi il testimone delle tre stirpi umane (terrena, psichica, gnostica;
è simbolo dei tre battesimi (acqua, fuoco, spirito) e della condanna degli arconti.
I due tori sono: Apis incarnazione di Osiride-occidente-luna;
Mnevis incarnazione del sole-oriente;
sono simboli di Sabaoth e dei salvati, che nel loro viaggio verso il riposo fanno sosta sulla luna e sul sole.
I coccodrilli probabilmente sono simboli del battesimo — evento mistico a sfondo escatologico — di acqua, della vita acquatica e terrestre con i richiami che acqua e terra hanno nelle origini cosmiche e umane.
L’ultima frase ha certo carattere polemico nel senso sopra accennato
Terza parte.
L’uomo e il suo mondo quaggiù:
Si ha l’impressione che l’autore dopo avere lasciato correre, a briglia sciolta, la sua creatività mitologica, di qui alla fine sia molto più sobrio.
Allorché gli arconti e i loro angeli furono scacciati dai loro cieli sulla terra, riempirono gli uomini di errori, divisioni, ingiustizia, ignoranza, oblio;
catena di errori e illusione che seguita fino all’avvento dell’ «( uomo perfetto» che è il contrapposto del grande arconte il cui battesimo coincide con la sua manifestazione
Segue una sezione più complessa.
Il Padre manda nel mondo — in preda all’errore — «spiriti innocenti», «piccoli beati», cioè anime luminose, anch’esse «prigioniere», ma apportatrici della luce, con a capo l’angelo custode nel quale c’è tutta la gnosi.
Questi «piccoli beati» controbilanciano l’influsso negativo degli arconti e ne condannano l’attività, ma sono soprattutto testimoni della gnosi, svelano l’immortalità del Padre, illuminano e ammaestrano gli uomini;
Interessante è l’accenno alla diversità (nella unità) tra i «piccoli innocenti» cioè tra i gnostici: tra paesi, tempi e culture diverse crearono chiese, dando così dimostrazione di una larga recettività, d’altronde constatata negli scritti di Nag Hammadi.
Il salvatore probabilmente Gesù Cristo, infatti, portò la liberalizzazione nella diversità sicché le stirpi beate sono quattro dato che comprendono il mondo
Oltre ai «piccoli beati», anche il logos fu mandato per fare conoscere ciò che è nascosto.
Quarta parte.
La consumazione finale:
È la parte escatologica dello scritto ed è contrassegnata dalla solita tematica giudaica.
All’approssimarsi della fine dell’eòne presente, vi saranno terremoti, grida, lamentazioni, guerre, oscuramento della luna e del sole, ecc.
Si scatenerà anche l’ira di Sofia, l’ira escatologica, alla quale seguirà la grande ricapitolazione (apocatastasi) o consumazione (συντέλεια): ognuno andrà nel luogo dal quale è venuto.
Quindi ritorno dalla molteplicità all’unità, alla salvezza.
Prologo
Dato che tutti, gli dèi del mondo e gli uomini, affermano che non esiste nulla prima del caos, io voglio, al contrario, dimostrare che essi hanno sbagliato tutti poiché non hanno conosciuto la formazione del caos e la sua radice.
Voglio addurne la dimostrazione.
Se, a proposito del caos, tutti gli uomini concordano sul fatto che esso è tenebra, che si chiama «tenebra» ciò che proviene da un’ombra, e — in fine — che l’ombra deriva da una realtà esistente fin dall’inizio, è chiaro che questa (realtà) esisteva prima che ci fosse il caos e che esso venne dopo la prima realtà.
Possiamo dunque pervenire alla verità, ma anche alla prima realtà dalla quale scaturì il caos: in tal modo apparirà la dimostrazione della verità.
GLI ESSERI INTERMEDI:
L’ogdoade
Allorché la natura degli immortali fu terminata da colui che è infinito, dalla Pistis scaturì un’immagine, che fu chiamata Sofia.
Prima realtà imperfetta
Essa volle che venisse all’esistenza una realtà a somiglianza della luce esistente fin dall’inizio.
Subito apparve (l’oggetto) della sua volontà: era un’immagine celeste, possedeva una grandezza inimmaginabile, si trovava a metà tra gli immortali e tra coloro che esistettero dopo di essi, come ciò che è in alto, che è un sipario che divide gli uomini da quelli che sono in alto.
Ma l’eòne della verità non ha in se ombra alcuna, poiché dentro di lui c’è la luce illimitata.
Tuttavia, esternamente, è ombra: per questo fu detto «tenebra
Organizzazione dell’universo
Al di sopra delle tenebre apparve una forza.
All’ombra, apparsa dopo di loro, le forze diedero il nome di «caos infinito» ;
da esso scaturì ogni generazione degli dèi, l’una, l’altra e tutto il luogo.
Perciò l’ombra è posteriore alla prima realtà che apparve.
L’abisso deriva dalla Pistis, della quale abbiamo parlato.
Allora l’ombra si accorse che c’era qualcuno più forte di essa: ne fu invidiosa;
da sola rimase incinta, e generò subito l’invidia.
Da quel giorno ebbe inizio l’invidia in tutti gli eòni e nei loro mondi.
Ma quell’invidia era come un aborto, privo di spirito;
divenne come le ombre, in una grande sostanza acquosa.
Poi l’odio, sorto dall’ombra, fu gettato in una parte del caos.
Da quel giorno apparve una sostanza acquosa, venne fuori ciò che in essa (nell’ombra) era stato racchiuso, manifestandosi nel caos.
Come colei che genera un bimbo ha cura di liberarsi di tutto il superfluo, così la materia, scaturita dall’ombra, fu gettata in una parte (del caos): essa non venne fuori dal caos, bensì si trovava nel caos perché è in una parte di esso.
Allorché accadde questo, venne la Pistis;
si manifestò al di sopra della materia del caos, quella che era stata gettata via come un aborto, poiché in esso non c’è spirito;
infatti, è interamente tenebra infinita e acqua senza fondo.
Jaldabaoth, il demiurgo
Quando la Pistis vide quanto era accaduto in seguito alla sua inefficienza, ne fu sgomenta;
lo sgomento originò un’opera paurosa, la quale si precipitò nel caos.
Lei allora si voltò verso di essa per soffiare sul suo volto nell’abisso, che è al di sotto di tutti i cieli.
Ma dopo che la Pistis Sofia ebbe il desiderio che ciò che era senza spirito acquisisse una fisionomia e presiedesse la materia e tutte le sue forze, dall’acqua apparve — prima di tutto — un arconte: aveva l’aspetto di leone, era bisessuato, possedeva in se stesso una grande potenza, ma ignorava d’onde era venuto.
Allorché la Pistis Sofia lo vide muoversi nella profondità delle acque, gli disse: — Giovinetto, attraversa fino a questi luoghi -.
Donde l’interpretazione «Jaldabaoth».
Da quel giorno si manifestò il primo inizio della parola, la quale giunse agli dèi, agli angeli e agli uomini;
gli dèi, gli angeli e gli uomini sono ciò che avvenne per mezzo della parola.
Ora l’arconte Jaldabaoth non conosce la forza della Pistis;
non ha visto il suo aspetto;
ma ha visto, nell’acqua, l’immagine che gli parlava;
e in base a quella voce, egli si chiamò Jaldabaoth.
Ma i perfetti lo chiamano «Ariel», poiché aveva l’aspetto di leone.
Dopo che questo era venuto all’esistenza e aveva posto la sua potenza sulla materia, la Pistis Sofia se ne ritornò su nella sua luce.
Allorché l’arconte constatò la propria grandezza — vide soltanto se stesso e null’altro che acqua e tenebra —, pensò che esistesse solo lui.
Il suo pensiero si completò per opera della parola.
Egli si manifestava come un vento che si muoveva qua e là al di sopra delle acque.
Dopo la manifestazione di quello spirito, l’arconte divise la sostanza acquosa da una parte, e (la sostanza) secca da un’altra parte;
con una materia si creò una dimora, che chiamò «cielo»;
con l’altra materia l’arconte creò uno sgabello, che chiamò «terra».
I figli del demiurgo
L’arconte, poi, pensò secondo la sua natura: per mezzo della parola creò un (essere) bisessuato: aprì la sua bocca, si vantò di se stesso.
Quando aprì gli occhi, vide suo padre e gli disse «j»;
allora suo padre lo chiamò «Jao».
Creò poi un secondo figlio, si vantò di se stesso;
egli aprì gli occhi, disse a suo padre: «e»;
suo padre lo chiamò «Eloai».
Creò ancora il terzo figlio, si vantò di se stesso;
egli aprì gli occhi, disse a suo padre: «as»;
suo padre lo chiamò «Astafaios».
Questi sono i tre figli del loro padre.
Sette apparvero nel caos, come esseri bisessuati.
Essi hanno un nome maschile e un nome femminile.
Il nome femminile (di Jaldabaoth) è «Prònoia Sambathas» cioè «Ebdomade».
Il figlio chiamato Jao ha come nome femminile «signoria» ;
Sabaoth ha come nome femminile «divinità» ;
Adonaios ha come nome femminile «regalità» ;
Eloaios ha come nome femminile «invidia» ;
Oraios ha come nome femminile «ricchezza» ;
Astafaios, poi, ha come nome femminile «Sofia».
Queste sono le sette forze dei sette cieli del caos.
Erano androgene conformemente al prototipo immortale, esistito prima di loro, secondo il volere della Pistis, sicché fino alla fine domini l’immagine di colei che esiste fin dall’inizio.
L’efficacia di questi nomi e la forza dei maschi la troverai nell’«Arcangelica» del profeta Mosè;
mentre i nomi delle femmine nel primo «Libro di Norea».
Siccome Jaldabaoth, l’archigenitore, possiede grandi potenze, per ognuno dei suoi figli, con la (sua) parola, creò cieli belli come dimora, e in ogni cielo magnificenze splendide, scelte sette volte: nel proprio cielo, ognuno ha troni, dimore, templi, cocchi, vergini spirituali e le loro glorie (rivolte) in alto verso l’invisibile, ognuno avendo questi nel proprio cielo;
e anche innumerevoli decine di migliaia di eserciti di forze, di dèi, di signori, di angeli, di arcangeli al loro servizio.
Precise notizie su di loro troverai nel «Primo Discorso di Norea».
Tutto ciò fu portato a termine in questo modo, su fino al sesto cielo, quello di Sofia.
Il cielo e la sua terra furono scossi dallo scuotitore che è sotto di loro;
i sei cieli tremarono.
Infatti, le forze del caos non conoscevano chi fosse colui che aveva distrutto il cielo che è sotto di loro.
Ma allorché la Pistis conobbe l’oltraggio dello scuotitore, mandò il suo alito, lo incatenò e, per mezzo di quell’alito, lo gettò giù nel Tartaro.
Da quel giorno, la Sofia di Jaldabaoth consolidò il cielo e la sua terra, quello che è sotto tutti loro.
Jaldabaoth e Pistis Sofia
Dopo che i cieli, le loro potenze e l’intera loro disposizione si furono consolidate, l’archigenitor si vantò e fu lodato da tutto l’esercito degli angeli;
lo benedissero e lodarono tutti gli dèi e i loro angeli.
Egli se ne rallegrava in cuor suo e si vantava continuamente, dicendo loro: «Non ho bisogno di nulla!».
Diceva: «Io sono dio, e non ne esiste altri all’infuori di me».
Così dicendo peccò contro tutti gli immortali;
ma essi accolsero (la sua parola) e gliela custodirono.
Considerata l’empietà del grande arconte, la Pistis si irritò e, senza essere vista, disse: — Tu sbagli, Samael», cioè «dio cieco», «prima di te esiste uno splendente uomo immortale;
egli si manifesterà nei corpi da voi plasmati;
egli ti calpesterà, come questi vasi di argilla che vengono frantumati;
tu — e con te i tuoi — scenderai da tua madre, l’abisso.
Infatti, al termine delle vostre azioni svanirà tutta l’inefficienza, resa manifesta dalla verità: passerà e sarà come ciò che non è mai esistito.
Dopo che la Pistis disse questo, svelò nell’acqua l’immagine della propria grandezza.
E se ne ritornò in alto alla sua luce.
Sabaoth
Udita la voce della Pistis, Sabaoth, figlio di Jaldabaoth, la venerò e disapprovò il padre e la madre a motivo della parola della Pistis: la venerò perché li aveva portati a conoscenza dell’uomo immortale e del suo splendore.
Pistis Sofia stese, allora, il suo dito, e versò su di lui una luce dalla sua luce, per la disapprovazione di suo padre.
Accolta la luce, Sabaoth ricevette una grande potenza su tutte le forze del caos: da quel giorno fu denominato «signore delle potenze».
Ebbe in odio suo padre, la tenebra, e sua madre, l’abisso;
ebbe disgusto verso sua sorella, il pensiero dell’archigenitore che si muove qua e là al di sopra delle acque.
A motivo della sua luce, tutte le potenze del caos furono invidiose di lui.
E, dopo essersi tormentate, scatenarono una guerra nei sette cieli.
Vista la guerra, la Pistis Sofia, dalla propria luce, mandò sette arcangeli a Sabaoth;
essi lo trasportarono nel settimo cielo;
si posero al suo servizio davanti a lui.
Essa gli mandò ancora altri tre arcangeli;
essa stabilì la sua regalità al di sopra di tutti, affinché fosse al di sopra delle dodici divinità del caos.
Allorché Sabaoth ricevette il luogo del riposo a motivo della sua penitenza, la Pistis gli diede ancora la propria figlia Zoe, con una grande potenza, affinché lo istruisse su tutto ciò che si trova nella ogdoade (celeste).
Avendo la potenza, egli creò anzitutto per se stesso una dimora grande e splendida, sette volte (superiore) a tutte quelle che si trovano nei sette cieli.
Davanti alla sua dimora creò un grande trono posto su di un cocchio quadrangolare chiamato «cherubini» ;
in ognuno dei quattro angeli del cherubin vi sono otto forme: forme di leone, forme di toro, forme d’uomo, e forme di aquila di modo che tutte le forme costituiscono sessantaquattro forme, oltre ai sette arcangeli che stanno davanti a lui.
Egli è l’ottavo, poiché ha la potenza.
Tutte le forme sono settantadue;
poiché da questo cocchio trassero tipo le settantadue divinità: esse trassero tipo per dominare sulle settantadue lingue delle nazioni.
Al di sopra del trono egli creò ancora degli angeli dall’aspetto di draghi, detti «serafin», che lo lodano in ogni momento.
Poi, creò una chiesa angelica (alla quale appartengono) migliaia di innumerevoli miriadi senza numero, simile alla chiesa dell’ogdoade, e un primogenito, detto «Israel», cioè «l’uomo che vede Dio», (il quale ha pure) un altro nome, «Gesù Cristo», che è come il Salvatore che si trova al di sopra dell’ogdóade, e siede alla destra del suo magnifico trono;
alla sua sinistra è assisa la vergine dello spirito santo, donde gli dà lode.
Davanti a lei stanno le sette vergini, mentre (altre) trenta (vergini) con in mano cetre, arpe, trombe, gli danno lode.
E tutti gli eserciti degli angeli gli danno lode e lo benedicono.
Egli, poi, siede su di un trono nella luce di una grande nube che lo avvolge.
Nella nube non c’era alcuno con lui, a eccezione della Sofia, la Pistis, che lo ammaestrava su tutto ciò che si trova nell’ogdoade, di modo che ne fossero create copie affinché la regalità rimanga a lui fino al termine dei cieli del caos, e delle loro forze.
La Pistis Sofia lo separò dalle tenebre: essa lo invitò alla sua destra, mentre l’archigenitor lo pose alla propria sinistra.
Da quel giorno, la destra fu detta «giustizia» ;
la sinistra fu detta «ingiustizia».
Perciò tutti hanno ricevuto un mondo della chiesa della giustizia e della ingiustizia, che sta al di sopra della creazione.
La reazione del demiurgo
Ma quando l’archigenitor del caos vide suo figlio Sabaoth, lo splendore nel quale si trovava, e la sua eccellenza rispetto a tutte le potenze del caos, ne ebbe invidia: si irritò e, dalla sua morte, partorì la morte;
la pose sul sesto cielo: in quel luogo donde era stato allontanato Sabaoth.
Così fu completato il numero delle sei potenze del caos.
Allora la morte, bisessuata, si amalgamò con la sua natura e partorì sette figli bisessuati.
I nomi dei maschi sono: invidia, ira, pianto, sospiro, lutto, grido di dolore, lacrime del gemito.
I nomi delle femmine sono: collera, tristezza, lussuria, lamentazione, maledizione, amarezza, discordia.
Questi si unirono l’un l’altro e ognuno ne generò sette, di modo che sono quarantanove demoni bisessuati.
I loro nomi e le loro attività li troverai nel «Libro di Salomone».
La reazione di Zoe
Contro costoro, Zoe, che è con Sabaoth, creò sette forze buone bisessuate.
I nomi dei maschi, sono: assenza d’invidia, beato, gioioso, veritiero, assenza di gelosia, amato, degno di fede.
I nomi delle femmine, sono: pace, gioia, giubilo, beatitudine, verità, amore, fede.
Da costoro provengono molti spiriti buoni e innocui.
I loro effetti e le loro attività li troverai negli «Schemata» della Heimarmene del cielo, che si trova al di sotto dei dodici.
Allorché l’archigenitor vide, nelle acque, l’immagine della Pistis, ne rimase molto triste, e più ancora quando sentì la sua voce, rassomigliante alla prima voce, quella che l’aveva chiamato fuori dalle acque.
E quando si avvide che era stata lei a dargli un nome, sospirò e si vergognò della sua trasgressione.
E quando avvertì che c’è veramente un uomo luminoso immortale, il quale esiste prima di lui, rimase molto sgomento per il fatto che, davanti a tutti gli dèi e ai loro angeli, aveva detto: «Io sono dio.
Al di fuori di me non ce n’è altri».
Egli temeva che qualora essi avessero conosciuto l’esistenza di un altro anteriore a lui, lo avrebbero disapprovato.
Ma egli, insensato, disprezzò la condanna e osò dire: «Se prima di me c’è un altro, si manifesti, affinché vediamo la sua luce».
ANTROPOGONIA:
Adamo-luce
Ed ecco che subito una luce scaturì dall’ogdoade di lassù, attraversò tutti i cieli della terra.
Quando l’archigenitor vide che la luce era bella, mentre splendeva, ne rimase affascinato ed ebbe vergogna.
Durante la manifestazione di questa luce apparve in essa un’immagine umana molto meravigliosa, che nessuno vide a eccezione dell’archigenitor e della prònoia che è con lui.
Ma la sua luce si manifestò a tutte le forze dei cieli;
perciò furono tutte eccitate da essa.
Allorché la prònoia vide l’angelo, gli si affezionò;
ma lui l’odiava poiché essa era nella tenebra.
Essa voleva unirsi a lui;
ma non le riusciva.
Non potendo essa appagare il suo amore, effuse la propria luce sulla terra.
Da quel giorno, quell’angelo fu chiamato Adamo-luce, il cui significato è «l’uomo dal sangue luminoso» ;
e la terra si distese su di lui, (sul) santo Adamas, il cui significato è «terra santa adamantina».
Da quel giorno, tutte le potenze venerarono il sangue della vergine;
e dal sangue della vergine, la terra fu purificata;
inoltre l’acqua fu purificata dalla immagine della Pistis Sofia, apparsa sulle acque all’archigenitor.
Giustamente, dunque, fu detto: «dalle acque».
L’acqua santa, infatti, vivifica tutto, e lo purifica.
Eros
Da questo primo sangue apparve l’eros, che è bisessuato.
La sua mascolinità è Himeros: un fuoco che viene dalla luce.
La femminilità, che è in lui, è un’anima di sangue: essa deriva dalla sostanza della prònoia.
Nella sua bellezza, esso è molto bello, poiché possiede più grazia lui di tutte le creature del caos.
Perciò tutti gli dèi e i loro angeli quando videro l’eros, se ne innamorarono.
Ma appena si manifestò a tutti loro, li infiammò.
Come da una sola lampada si accendono molte lampade e ne risulta un’unica luce, ma la lampada non scema, così si diffuse l’eros tra tutte le creature del caos senza scemare.
Allorché dal luogo di mezzo, posto tra la luce e le tenebre, si manifestò l’eros tra gli angeli e gli uomini, si compì l’accoppiamento dell’eros.
Così, sulla terra, nacque il primo piacere sensuale.
La donna seguì la terra, il matrimonio seguì la donna, la procreazione seguì il matrimonio, la morte seguì la procreazione.
Dopo quell’eros, dal sangue che era stato versato sulla terra, crebbe la vite;
perciò coloro che lo (il vino) bevono fanno sorgere in se stessi il desiderio all’accoppiamento.
I Dopo la vite, sulla terra crebbe il fico e il melograno, e gli altri alberi secondo la loro specie aventi in se stessi i propri semi, dal seme delle potenze e dei loro angeli.
Paradiso
La giustizia, allora, creò il bel paradiso, al di fuori del cielo della luna e del ciclo del sole, in una regione rigogliosa, a oriente, sita in mezzo alle pietre;
e in mezzo ad alberi belli e alti, c’era il desiderio.
L’albero della vita degli immortali, manifestato dal volere di Dio, è sito nella parte settentrionale del paradiso, per rendere immortali le anime dei santi, quelle che provengono dalle opere della povertà, allorché avverrà il termine dell’eòne.
Il colore dell’albero della vita è come il sole;
i suoi rami sono belli;
le sue foglie sono come quelle del cipresso;
il suo frutto è splendente come grappoli d’uva;
la sua altezza raggiunge il cielo.
Vicino a esso si trova l’albero della gnosi, il quale ha la forza di Dio;
il suo splendore è come la luna, quando è molto splendente;
i suoi rami sono belli;
le sue foglie sono come le foglie di fico;
il suo frutto è come i buoni e magnifici datteri.
Esso è sito nella parte settentrionale del paradiso per scuotere le anime dal sonno dei demoni, affinché vengano dall’albero della vita, mangino del suo frutto, e condannino le potenze e i loro angeli.
L’effetto (prodotto) da quest’albero è descritto (così) nel «Libro sacro»:
Tu sei l’albero della gnosi, quello che è nel paradiso quello dal quale ha mangiato il primo uomo.
Esso aprì la sua intelligenza, esso amò la sua co-immagine condannò le altre immagini estranee, e ne ebbe ripugnanza.
E dopo di questo spuntò l’ulivo, che purificherà i re e i sommi sacerdoti della giustizia che si manifesteranno negli ultimi giorni;
l’ulivo si era manifestato dalla luce del primo Adamo, a motivo dell’unzione che se ne riceve.
Ma la prima anima amò l’eros che si trovava con lei: per amor suo ella versò il proprio sangue su di lui e anche sulla terra.
Prima di tutto, da quel sangue spuntò sulla terra, dal roveto, la rosa, per la gioia della luce che si manifesterà nel roveto;
poi, da ogni vergine delle figlie di prònoia, spuntarono ancora sulla terra giorni belli e profumati secondo le loro speci.
In seguito, avendo amato Eros, esse versarono il loro sangue su di lui e anche sulla terra.
Dopo, spuntarono sulla terra tutte le piante, secondo le loro speci, aventi i-semi delle potenze e dei loro angeli.
Dopo, le potenze crearono dall’acqua tutti gli animali secondo le loro speci, i rettili e gli uccelli secondo le loro speci, aventi i semi delle potenze e dei loro angeli.
Ritorno di Adamo-luce
Ma prima di tutto ciò, egli (Adamo-luce) si era manifestato nel primo giorno ed era rimasto sulla terra circa due giorni;
lasciò nei cieli la Prònoia inferiore, e iniziò l’ascesa alla sua luce;
e subito la tenebra venne su tutto il mondo.
Ora quando Sofia, che era nel cielo inferiore, volle ricevere una potenza (proveniente) dalla Pistis, creò i grandi luminari e tutte le stelle, le pose in cielo affinché illuminino la terra e compiano i segni del tempo, i tempi, gli anni, i mesi, i giorni, le notti, i momenti e tutto il resto.
In cielo, fu così dato ordine a tutto lo spazio.
Ma quando Adamo-Luce volle entrare nella sua luce, cioè nell’ogdoade, non vi riuscì a causa della povertà mescolatasi con la sua luce.
Allora si creò un grande eòne;
in questo eòne creò sei eòni e I loro mondi, cioè un totale di sei, che sono sette volte superiori ai cieli del caos e ai loro mondi.
Tutti questi eòni e i loro mondi si trovano in un luogo illimitato, tra l’ogdoade e il caos, che è sotto di essa: appartengono al mondo della povertà.
Se tu vuoi conoscere la loro disposizione, la troverai scritta nel «Settimo cosmo del profeta Hieralias».
Prima che Adamo-Luce si allontanasse dal caos, le potenze lo videro e risero dell’archigenitor, poiché era stato menzognero, allorché disse: «Io sono dio.
Prima di me non c’è alcuno».
Andate da lui, dissero: «Non è questo il dio che ha distrutto la nostra opera?»
Egli rispose e disse: «Sì! Se volete che non distrugga più la nostra opera, venite, formiamo un uomo, dalla terra, a immagine del nostro corpo, e a somiglianza di quello, affinché sia a.
nostro servizio;
egli, vedendo la sua somiglianza, le vorrà bene, e non distruggerà più la nostra opera;
così per tutto il tempo di questo eòne, ridurremo al nostro servizio quanti saranno tratti dalla luce».
Adamo psichico
Tutto ciò avvenne conformemente alla prescienza della Pistis, affinché l’uomo sia manifesto davanti alla sua somiglianza ed egli li condanni attraverso la loro creatura;
e la loro creatura diventò una siepe per la luce.
Allora le potenze ricevettero la conoscenza (necessaria) per formare l’uomo.
Ma la Sofia Zoe, quella che sta presso Sabaoth, li precedette e derise la loro deliberazione, dicendo: «Nella loro ignoranza, sono ciechi! L’hanno formato contro se stessi, ignorano ciò che faranno».
Perciò essa li prevenne e formò prima il suo uomo, affinché egli istruisse la loro creatura.
Nella misura in cui essa li avrà disprezzati, nella stessa misura ne sarà liberata.
La nascita dell’istruttore avvenne in questo modo: quando la Sofia emise una goccia di luce, questa si proiettò sull’acqua, e subito apparve l’uomo bisessuato.
Questa goccia assunse prima (sull’acqua) le sembianze di un corpo femminile;
poi assunse le sembianze di un corpo a somiglianza della madre, che era apparsa, e si completò in dodici mesi: nacque un uomo bisessuato, che i Greci chiamano Ermafrodite.
Ma gli Ebrei chiamano sua madre «Eva della vita», cioè «istruttrice della vita».
Suo figlio è la creatura, il signore.
Le potenze lo chiamarono poi «la bestia», perché egli fuorviò le loro creazioni.
Il significato di «la bestia» è «l’istruttore»: apparve infatti che egli era più intelligente di tutti loro.
Inno di Eva
Eva, tuttavia, è la prima vergine;
è colei che generò senza il maschio;
è colei che si è guarita da sola.
Per tal motivo si dice che lei abbia detto:
«Io sono la parte di mia madre, e io sono la madre, io sono la femmina, io sono la vergine, io sono la gestante, io sono la medichessa, io sono la consolatrice delle pene.
Il mio uomo è colui che mi ha generato: io sono sua madre, egli è il mio padre e il mio signore, egli è la mia forza, ciò che vuole egli lo dice: a ragione sono nascente, ma ho generato un uomo signore».
Per volere (divino) questo fu svelato alle anime di Sabaoth e del suo Cristo venute per le creature delle potenze, ed è a loro riguardo che la voce santa disse: «Crescete e moltiplicatevi ! Siate signori di tutte le creature».
E queste, ognuna secondo la sua sorte, furono fatte prigioniere dall’archigenitor e rinchiuse nelle prigioni delle creature fino alla fine dell’eòne.
Adamo terrestre
In quel tempo, a coloro che erano con lui, l’archigenitor comunicò una deliberazione a proposito dell’uomo;
allora ognuno di loro gettò il proprio seme in mezzo all’ombelico della terra.
Da quel giorno, i sette arconti plasmarono l’uomo: il suo corpo assomigliava al loro corpo, ma la sua immagine assomigliava a quella dell’uomo che era stato loro manifestato.
La sua creazione ebbe luogo secondo le singole parti di ognuno (di loro);
allora il loro capo formò il cervello e le midolla;
poi apparve come colui che era prima di lui.
Egli diventò un uomo psichico e fu chiamato «Adamo», cioè «il padre» conforme al nome di colui che era prima di lui.
Quando ebbero finito Adamo, egli lo mise in un vaso, poiché aveva l’aspetto di un aborto, non essendoci in lui lo spirito.
Perciò il grande arconte, riflettendo alla parola della Pistis, ebbe paura che il vero (uomo) entrasse nella sua creatura e ne diventasse padrone.
Quindi, lasciò la sua creatura, per quaranta giorni, priva di anima: si ritrasse e la lasciò.
Ma in questi quaranta giorni la Sofia Zoe mandò il suo alito a Adamo nel quale non c’era anima: egli iniziò a muoversi sulla terra, ma non poteva tenersi ritto.
Giunti i sette arconti, lo videro e ne rimasero sbalorditissimi: gli si avvicinarono, lo afferrarono, ed egli ( Jaldabaoth) domandò all’alito che era in lui: «Chi sei tu? E donde sei venuto in questi luoghi ?» Egli rispose e disse: «Sono venuto per mezzo della forza dell’uomo, per annientare la vostra opera».
Udito ciò, lo lodarono, avendo egli dato loro quiete in luogo della paura e della preoccupazione in cui si trovavano.
Chiamarono quel giorno «il riposo», poiché avevano trovato la quiete dalla fatica.
Allorché si accorsero che Adamo non poteva tenersi ritto, se ne rallegrarono, lo portarono via, lo posero nel paradiso e se ne ritornarono nei loro cieli.
Dopo il giorno del riposo, Sofia Zoe mandò sua figlia, chiamata Eva, come istruttrice per destare Adamo, nel quale non v’era anima, affinché coloro che egli avrebbe generato, e sono molti, fossero recipienti di luce.
Quando Eva vide giacere la sua co-immagine, ne ebbe compassione, e disse: «Adamo, vivi ! Alzati da terra !» La sua parola diventò realtà.
Adamo, infatti, s’alzò e aprì subito gli occhi.
Allorché la vide, disse: — Sarai chiamata «la madre dei viventi», poiché tu mi hai dato la vita —.
Alle potenze, fu allora comunicato che la loro creatura viveva e s’era alzata: ne rimasero sbalorditissime;
mandarono sette arcangeli per vedere ciò che era accaduto.
Andarono da Adamo.
Allorché videro Eva che parlava con lui, dissero l’un l’altro: «Che cos’è questa luce? Essa, infatti, rassomiglia all’immagine che ci è apparsa nella luce.
Orsù, afferriamola, gettiamo in lei il nostro seme affinché, una volta macchiata, non possa più risalire alla sua luce, e quelli che partorirà saranno soggetti a noi.
Ma non diciamo a Adamo che ella non proviene da noi;
adduciamo su di lui un sonno d’oblio, e durante il suo sonno insegnamogli che essa è sorta dalla sua costola, affinché la femmina gli sia soggetta ed egli sia signore su di lei».
Allora Eva, divenuta forza, derise la loro deliberazione.
Velò i loro occhi, lasciò la propria immagine nascosta presso Adamo, entrò nel l’albero della gnosi e vi rimase.
Essi (tentarono) di inseguirla;
ed essa manifestò loro che era entrata nell’albero ed era diventata un albero.
Colpiti da grande paura, / ciechi fuggirono.
Destatisi poi dal sonno, si recarono da Adamo e, vedendo presso di lui l’immagine di lei, rimasero sbalorditi poiché pensavano che questa fosse la vera Eva;
pieni di audacia, le si avvicinarono, la afferrarono, gettarono in lei il loro seme: compirono tanti trucchi contaminandola non solo in modo naturale, ma in modo abominevole, contaminando il sigillo della sua prima voce, che aveva parlato loro, dicendo: — Che cos’è che esiste prima di voi? — Ma è impossibile che essi possano contaminare quanti affermano di essere generati nel compimento ( συντέλεια ) dell’uomo vero, per mezzo della parola.
Essi incorsero in errore poiché ignoravano di avere contaminato i loro corpi.
Le potenze e i loro angeli contaminarono, in ogni maniera, l’immagine.
Anzitutto lei restò incinta di Abele, dal primo arconte;
poi degli altri figli che partorì dalle sette potenze e dai loro angeli.
Ora, tutto ciò avvenne conformemente alla prescienza del- l’archigenitor, affinché la prima madre generasse in se stessa ogni seme mescolato e adattato alla Heimarméne del mondo, ai suoi «Schemata», alla sua giustizia.
Per Eva fu disposto un piano di modo che le creature delle potenze diventassero siepi per la luce.
Allora essa le condannerà attraverso le loro creature.
Octamerone
Ora, il primo Adamo della luce è pneumatico: egli fu manifestato nel primo giorno.
Il secondo Adamo è psichico: egli fu manifestato nel quarto giorno, detto il giorno di Afrodite.
Il terzo Adamo è terreno, cioè legale: egli fu manifestato nell’ottavo giorno, cioè il riposo dalla indigenza, detto «giorno del sole».
Tentazione e «caduta»
La posterità dell’Adamo terreno fu numerosa e completò (la terra);
produsse in se stessa tutte le conoscenze dell’Adamo psichico.
Ma (quanto) al tutto era nell’ignoranza.
Allora io proseguo: quando gli arconti videro che egli e quella che era con lui vagavano nell’ignoranza, come gli animali, se ne rallegrarono molto.
Ma allorché capirono che l’uomo immortale non solo non li avrebbe trascurati, ma che essi avrebbero temuto anche colei che si era fatta albero, rimasero costernati;
dissero: «Non sarà costui il vero uomo che ci ha accecato e ci ha fatto conoscere quella che fu contaminata e gli assomigliava, per poterci vincere?».
Tennero allora consiglio i sette (arconti).
Andarono timorosi da Adamo ed Eva;
dissero a lui: «Tutti gli alberi che si trovano nel paradiso sono stati creati per voi, mangiatene i frutti ma guardatevi dall’albero della gnosi;
non mangiatene.
Se ne mangerete, morirete».
Instillata loro una grande paura, se ne ritornarono alle loro potenze.
Venne, allora, colui che è più saggio di tutti loro, chiamato «la bestia».
E quando vide l’immagine della loro madre Eva, disse a lei: — Che cos’è che vi ha detto dio: non mangiate dell’albero della gnosi?».
Lei rispose: «Ha detto: Non solo “non mangiatene”, ma: non toccatelo, affinché non moriate».
Egli disse loro: Non abbiate paura! Non morirete.
Sappiate infatti che se ne mangerete la vostra intelligenza si desterà e sarete come gli dèi, poiché conoscerete la differenza che c’è tra gli uomini buoni e i cattivi.
Essendo invidioso, vi ha detto questo affinché non ne mangiate.
Eva ebbe fiducia nelle parole dell’istruttore.
Guardò l’albero, vide che era bello, alto e lo desiderò;
prese del suo frutto, mangiò ne diede pure a suo marito, il quale ne mangiò.
La loro intelligenza allora si aprì.
Infatti, dopo che ne ebbero mangiato, la luce della gnosi li illuminò.
Allorché si vestirono di vergogna, si accorsero di essere nudi rispetto alla gnosi.
Allorché si destarono, videro che erano nudi e si innamorarono l’uno dell’altra.
Quando videro quelli che li avevano plasmati, ne ebbero disgusto, poiché avevano forma di animali;
essi impararono molte cose.
Quando gli arconti seppero che avevano trasgredito il loro ordine, con fracasso e minaccia grande si recarono da Adamo ed Eva, nel paradiso, per vedere l’effetto dell’aiuto.
Adamo ed Eva ne furono atterriti: si nascosero sotto gli alberi del paradiso.
Gli arconti, non sapendo dove si trovavano, dissero: – Adamo, dove sei? – Egli rispose: Sono qui.
Dalla paura che ho di voi, mi nascosi, avendo vergogna – Essi, nell’ignoranza, gli dissero: – Chi ti ha parlato della vergogna di cui ti sei vestito se non (il fatto) che hai mangiato di quest’albero? – Egli rispose: – La donna che mi hai dato, me l’ha offerto: io ho mangiato – Dissero allora (alla donna): – Che hai fatto ? -Lei rispose: – Mi ha incitata l’istruttore, e io ho mangiato.
Gli arconti andarono allora dall’istruttore.
Ma i loro occhi furono da lui accecati;
non poterono fargli nulla;
essendo impotenti, lo maledissero.
Si recarono quindi dalla donna: maledirono lei e i suoi figli.
Dopo la donna, maledissero Adamo, la terra, per causa sua, e i frutti;
maledissero tutte le cose che avevano formato.
In loro non rimase alcuna benedizione: a causa del male, non ebbero più forza alcuna per generare il bene.
Da quel giorno, le potenze si accorsero che prima di loro c’è realmente uno più forte di loro;
conobbero soltanto che essi non avevano osservato il loro comandamento.
Introdussero nel mondo una grande invidia esclusivamente a motivo dell’uomo immortale.
Ma quando gli arconti videro che il loro Adamo era pervenuto a un’altra gnosi, vollero metterlo alla prova.
Radunarono tutti gli animali, le bestie della terra e gli uccelli del cielo: li portarono da Adamo per vedere come li avrebbe chiamati.
Quando egli li vide, diede i nomi alle loro creature: essi si stupirono che Adamo si fosse destato da tutto il torpore.
Si radunarono, deliberarono, e dissero: – Ecco, Adamo è diventato come uno di noi.
Ormai conosce la differenza tra la luce e le tenebre;
ora, affinché non sia ingannato come fu per l’albero della gnosi, e non si accosti all’albero della vita, ne mangi, diventi immortale, abbia il dominio, ci disprezzi, consideri follia noi e tutte la nostra gloria, condanni noi e il mondo, orsù scacciamolo dal paradiso giù sulla terra dalla quale fu tratto, affinché d’ora in poi non possa conoscere qualcosa meglio di noi -.
E così cacciarono dal paradiso Adamo e sua moglie.
Ma non contenti di quanto avevano fatto, pieni di paura, andarono dall’albero della vita, lo cinsero di grande spavento, di esseri infuocati, detti cherubini, e posero in mezzo una spada infuocata che gira in ogni momento (incuotendo) un terribile spavento, affinché nessuno dei terrestri (osi) più recarsi in quel luogo.
Dopo di ciò allorché gli arconti, invidiosi di Adamo, vollero ridurre il tempo della durata della loro vita, non riuscirono a causa della Heimarmene, che è stabilita fin dall’inizio;
i tempi della loro vita, infatti, erano stati fissati: per ogni (uomo) mille anni, conforme al corso dei luminari.
Ma siccome gli arconti non riuscirono a fare questo, ognuno di coloro che operano il male, toglie dieci anni (al corso della propria vita);
sicché tutto questo tempo ammonta a novecentotrenta anni: e
questi nella tristezza, nella fragilità, e in penose agitazioni.
In tal modo, da quel giorno in poi, il corso della vita va diminuendo fino al termine dell’eòne.
Allorché la Sofia Zoe vide che gli arconti delle tenebre avevano maledetto la sua co-immagine, ne fu sdegnata.
Uscita dal primo cielo con tutte le forze, allontanò gli arconti fuori dai loro cieli e li scacciò giù nel mondo peccatore affinché quivi, sulla terra, diventassero come i demoni maligni.
Fenice, due tori, coccodrillo
Lei mandò un uccello affinché fossero nel loro mondo i mille anni del paradiso, un animale pieno di vita, detto la fenice.
Esso muore e si ravviva quale testimonio del giudizio contro di essi, poiché agirono ingiustamente verso Adamo e la sua stirpe fino al termine dell’eòne.
Fino al termine del mondo vi sono tre uomini con le loro stirpi: il pneumatico dell’eòne, lo psichico, e il terrestre.
Allo stesso modo tre sono le fenici del paradiso: la prima è immortale;
la seconda dura mille anni;
della terza è scritto, nel Libro Sacro, che sarà consumata.
Allo stesso modo, vi sono tre battesimi: il primo è pneumatico;
il secondo è di fuoco;
il terzo è di acqua.
Come la fenice è un evidente testimonio contro gli angeli, così, in Egitto, i coccodrilli sono come testimoni di coloro che discendono per il battesimo di un vero uomo.
I due tori, che si trovano in Egitto, hanno come mistero il sole e la luna, poiché sono i testimoni di Sabaoth, il quale è al di sopra di essi, Sofia infatti ha ricevuto il mondo, dal giorno in cui essa ha creato il sole e la luna, e ha posto il sigillo sul suo cielo fino al (termine di questo) eòne.
Ma il verme generato dalla fenice è anche un uomo;
a suo riguardo sta scritto: «Il giusto crescerà come una fenice» ;
ora la fenice prima appare viva, poi muore, e risorge nuovamente, essendo essa un segno per colui che si manifesterà al termine dell’eòne.
Questi grandi segni apparvero soltanto in Egitto.
Nessun’altra regione è contrassegnata così da assomigliare al paradiso di Dio.
L’UOMO E IL SUO MONDO: Illusione
Ma ritorniamo agli arconti, dei quali abbiamo parlato, per offrirne una esposizione.
Quando, infatti, questi sette arconti furono scacciati dai loro cieli sulla terra, si crearono degli angeli, cioè molti demoni, al loro servizio;
e costoro insegnarono agli uomini tanti errori: magia, incantesimi, idolatria, spargimento di sangue, altari, templi, sacrifici, e libagioni per tutti i dèmoni della terra, i quali hanno come collaboratrice la Heimarmene creata conformemente all’accordo degli dèi dell’ingiustizia e della giustizia.
Il mondo incorse così nella divisione, e cadde nell’errore.
Mentre, infatti, dalla creazione fino alla fine, in ogni tempo, tutti gli uomini che erano sulla terra servivano i demoni – gli angeli (servivano) la giustizia, e gli uomini (servivano) l’ingiustizia -, il mondo cadde nella divisione, nell’ignoranza e nell’oblio.
Tutti incorsero nell’errore fino all’arrivo del vero uomo.
Ecco quanto basta, per voi, su questo argomento.
Verso il compimento
Veniamo ora nel nostro mondo per portare a termine, con precisione, (la discussione circa) la sua struttura e il suo governo.
Allora si manifesterà nella misura in cui si troverà la fede in ciò che è nascosto, e manifestato dalla creazione fino al termine dell’eòne.
l piccoli beati, il logos
Vengo però ai punti centrali a proposito dell’uomo immortale.
Parlerò di tutti i suoi, del perché si trovano in questi luoghi.
Una moltitudine di uomini derivano dall’Adamo, che essi hanno plasmato.
In conseguenza della materia, gli arconti diventarono signori del mondo, allorché esso si riempì, cioè lo hanno trattenuto nell’ignoranza.
Per qual motivo? È perché il Padre immortale sa che dalla verità scaturì una deficienza negli eòni e nei loro mondi;
perciò allorché volle esautorare gli arconti della rovina nelle loro creazioni, ha mandato nel mondo della rovina le vostre immagini, cioè gli spiriti innocenti, i piccoli beati.
Questi non sono estranei alla gnosi.
Tutta la gnosi è, infatti, in un angelo, il quale appare davanti a loro.
Costui sta davanti al Padre, e non è impotente a dare a essi la gnosi.
[Tutta la gnosi è, infatti, in un angelo il quale appare davanti a loro.
Costui sta davanti al Padre, e non è impotente a dare a essi la gnosi].
Ora che si manifestano nel mondo della rovina, svelano anzitutto il prototipo dell’immortalità, a condanna degli arconti e delle loro forze.
Allorché i beati apparvero nelle creazioni delle potenze, queste ne ebbero invidia;
e, a motivo dell’invidia, le potenze vollero mescolare con essi il proprio seme per contaminarli.
Ma non riuscirono.
Allorché i beati si manifestarono agenti di luce, si manifestarono in modo diverso;
ognuno di essi, dalla propria terra, svelò la sua gnosi della chiesa, che si era manifestata nelle creature della rovina: si constatò che essa ha tutti i semi, a motivo del seme delle potenze che era mescolato con essa.
Il salvatore, infatti, creò una liberazione da ognuno di tutti loro, e gli spiriti di costoro manifestano di essere scelti e beati, ma diversi a seconda della elezione: molti altri, che non hanno re, sono più scelti di quanti furono prima di loro.
Sicché vi sono quattro stirpi.
Tre appartengono ai re dell’ogdoade;
la quarta stirpe, invece, è senza re e perfetta, dato che è al di sopra di tutte le altre.
Queste entreranno, infatti, nel luogo santo del Padre loro, avranno pace nel riposo, eterna e inesprimibile gloria, interminabile gioia.
Ma esse, come immortali, sono (già) re sul (regno) mortale.
Condanneranno gli dèi del caos e le loro forze.
Il logos, che è al di sopra di tutti, fu perciò mandato esclusivamente a questo scopo: proclamare quanto non è conosciuto.
Egli disse: «Nulla c’è di nascosto che non sia manifestato, e quanto non è conosciuto, sarà conosciuto».
Queste furono mandate per manifestare ciò che è nascosto, anche le sette potenze del caos e la loro empietà: in tal modo le hanno condannate a morte.
LA CONSUMAZIONE FINALE: Escatologia
Allorché tutti i perfetti apparvero nelle creature degli arconti e svelarono l’incomparabile verità, essi umiliarono tutta la sapienza degli dèi, e la loro Heimarmene apparve come una condanna;
la loro forza si spense;
il loro dominio fu sciolto;
la loro prescienza (pronoia) e le loro glorie divennero inesistenti.
Prima della fine dell’eòne, in seguito a un grande terremoto, tutto il luogo vacillerà.
Allora gli arconti piangeranno e gemeranno sulla loro morte;
gli angeli compiangeranno i loro uomini, i dèmoni compiangeranno i loro tempi, e i loro uomini si lamenteranno e grideranno sulla loro morte.
Poi avrà inizio l’eòne ed essi saranno sbalorditi.
I suoi re saranno ebbri dalla spada di fuoco, e combatteranno gli uni contro gli altri, tanto che la terra sarà ebbra dal sangue versato e i mari saranno sconvolti da quelle guerre.
Il sole, allora, si oscurerà e la luna perderà la sua luce;
le stelle del cielo violeranno il loro corso e da una grande forza, che è al di sopra di tutte le forze del caos ove si trova il firmamento della donna, verrà un tuono possente.
Questa (la donna) che ha creato la prima realtà, deporrà l’astuto fuoco dell’intelligenza, indosserà la collera della follia.
Scaccerà gli dèi del caos, da essa creati, e l’archigenitor;
li getterà giù nell’abisso;
saranno annientati a motivo delle loro ingiustizie, diverranno come vulcani in eruzione e si divoreranno l’un l’altro, fino a che saranno distrutti dal loro archigenitor.
Dopo averli distrutti, (l’archigenitor) si volgerà contro se stesso per distruggersi fino a scomparire: i loro cieli, cadranno l’uno sull’altro e le loro forze bruceranno.
Anche i loro eòni saranno sconfitti.
Il suo (dell’archigenitor) cielo cadrà e si spaccherà in due, il suo mondo cadrà sulla terra ed essa non potrà reggerli: cadranno giù nell’abisso e Vabisso ne rimarrà distrutto.
La luce stroncherà le tenebre e le annienterà: diverranno come ciò che non è mai esistito;
la realtà che aveva seguito le tenebre si dissolverà, la deficienza sarà estirpata alla radice (e gettata) giù nelle tenebre;
e la luce ritornerà alla sua radice.
Apparirà la gloria del non generato e colmerà tutti gli eòni, allorquando saranno svelate la profezia e l’annunzio di coloro che sono re, e avranno compimento attraverso coloro che sono chiamati «perfetti».
Quelli che non sono divenuti perfetti nel Padre non generato, riceveranno le loro glorie nei loro eòni e nei regni degli immortali;
ma non arriveranno mai all’assenza di re.
È necessario, infatti, che ciascuno vada nel luogo dal quale è venuto.
Poiché con la sua condotta e con la sua gnosi, ognuno svelerà la propria natura.