Origine del Mondo

ORIGINE DEL MONDO 

a cura di Luigi Moraldi

Questo scritto di singolare importanza fa ancora parte come l’pGv e la Nat Are del cod. II di Nag Hammadi.

Lo scritto, il cui papiro è punteggiato qua e là da buchi, ci è giunto in uno stato molto buono sotto ogni aspetto, fu reso pubblico per la prima volta parzialmente  (le  prime  14  pagine) da Pahor Labib  nel 1956, e poco dopo J. Doresse (nel 1958) diede una breve presentazione di tutto il contenuto acuendo l’interesse degli studiosi.

La prima traduzione parziale — limitata alle 14 pagine allora note — fu fatta da H.-M. Schenke nel 1959.

Dal 1960 in poi l’opera divenne un po’ un campo esclusivo di studi del grande studioso tedesco Alexander Bòhlig il quale dopo tre studi di capitale importanza (negli anni 1960-61), curò con P. LABIB editio princeps di tutto lo scritto.

Lo studio  più  approfondito,  esauriente  e  informato  sulle  fonti (tradizioni, miti, ecc.) alle quali attinse l’autore, o l’ultimo redattore, è dovuto a Michel Tardieu (nel 1974): è per ora l’opera più completa ed esemplare dedicata all’esame  approfondito  di  uno  scritto  di  Nag Hammadi.

Nello    stesso   anno   apparve   The   Facsimile   Edition,   ma   — naturalmente — di essa non potè servirsene il Tardieu il quale segue perciò la numerazione delle pagine secondo l’edizione del Bòhlig.

Il nostro scritto doveva avere una discreta diffusione negli ambienti gnostici: questa è la conclusione di due constatazioni.

è  in un dialetto  diverso dal  sahidico, cioè  in subhamimico;

verosimilmente è una tradizione indipendente dalla precedente dello stesso originale greco, e non il semplice trasferimento da un dialetto copto a un altro;

contiene brevi parole esplicative che, probabilmente, non risalgono all’originale  greco,  ma  al  traduttore;

dato  che  i frammenti corrono lungo tutto il testo, non v’è dubbio che si trattava di una versione completa;

ha una sua importanza per la ricostruzione critica del testo.

La scoperta di Oeyen non è dunque di poco conto.

I problemi che scaturiscono da quasi tutti gli scritti scoperti a Nag Hammadi  sono   qui  condensati in una maniera   lapalissiana   e percepibile anche dal lettore più distratto.

Iniziamo da una visione generale del contenuto.

Il prologo attesta che l’autore è alla ricerca della prima realtà (πρώτον εργον).

Il seguito si  articola  in  quattro  parti.

Un  semplice  accenno  alla  natura  degli «immortali» – per introdurre la figura di Sofia – apre la prima parte

dalla  brama  di  Sofia  ha  origine  la  prima  realtà imperfetta, cioè Pistis, e di qui il sipario che divide gli uomini dagli immortali, l’universo della   deficienza   e   la   primordiale   sua organizzazione con l’ombra, l’invidia, la materia, il caos e, da questo, il grande arconte Jaldabaoth che  assume  la  funzione  di  demiurgo creando il cielo, la terra, gli arconti, ecc., ostentando il suo orgoglio blasfemo;

Pistis Sofia gli  risponde  con  l’annunzio  della  sua  fine escatologica, e  con la ribellione  di uno dei suoi figli (Sabaoth) che viene collocato più in alto di lui;

Jaldabaoth si vendica e crea la morte che a sua volta origina 49 demoni;

Sabaoth e Zoe rispondono dando origine a sette forze buone, mentre il grande arconte dà sfogo alla sua rabbia rinnovando la sua bestemmia: «Io sono dio…».

 

A questo  punto  incominciano  gli eventi riguardanti l’apparizione dell’umanità (seconda parte);

di qui alla fine tutto il testo sviluppa il soggetto centrale, cioè l’uomo e il suo mondo, trattando, nell’ordine, della  apparizione  dell’uomo-luce  sulla terra, dell’origine dell’eros, del paradiso (creato da Sabaoth), della vicenda dell’uomo- luce, della creazione dell’uomo psichico, dell’inno a Eva (l’istruttrice dell’uomo  psichico), della creazione  dell’uomo terrestre;

segue il racconto della «tentazione» e della «caduta», il ciclo della fenice e con esso i due tori, il coccodrillo, e l’Egitto simbolo del paradiso.

Termina così la parte più estesa dello scritto, e inizia la terza parte, costituita da una sezione negativa (l’uomo sotto gli arconti in balia dell’illusione, della discordia, dell’errore, ecc.), e  da un’altra positiva  rappresentata  dagli  «spiriti innocenti»  (nelle  loro quattro categorie);

e, in fine, l’arrivo del logos il quale fa conoscere quanto non è conosciuto.

La  quarta  parte   tratta  della   o consumazione finale, con il trionfo della luce sulle tenebre, del bene sul male: l’eliminazione delle tenebre e del male con la loro definitiva distruzione termina il trattato.

Uno  scritto  così  composito,  a volte  stagnante, ma  generalmente pieno nell’accavallarsi di miti di provenienza palesemente eterogenea e qua e là contrastante, ripropone quanto si è già visto altrove: ha lo scritto   una   linea   logica, oppure  è  una   aberrazione, un testo imbrogliato,  fastidioso,  che  fa rimpiangere «il Vangelo  semplice, franco, gioioso predicato da Gesù Cristo» ci si trova cioè difronte a un «pasticcio» o a un testo che ha la sua logica, la sua coesione e unità?

Vale per tutti i testi gnostici, ma è importante ricordarlo prima della lettura di questo trattato, che l’impressione di incoerenza che si prova davanti a loro deriva dalla nostra volontà di comprenderli seguendo uno schema razionale, sulla base del principio di non contraddizione, mentre essi si sviluppano e organizzano con un pensiero mitico basato sulla  ambiguità, sull’equilibrio  di concetti ambivalenti, su sofisticati contrasti di associazioni di opposti.

Per inciso, è anche per questo che il più delle volte è così contrastata dagli studiosi la divisione — non la ricerca — materiale delle fonti degli scritti gnostici.

È stato subito osservato, dopo la sua pubblicazione, come una delle ragioni della straordinaria  importanza  è  il suo  esteso sincretismo:

esso è palesemente debitore a miti greci, orientali, giudaici e cristiani, miti coordinati secondo il pensiero e lo schema gnostico.

È impressionante il numero delle fonti che cita l’autore e alle quali rimanda, e delle quali sappiamo assai poco: il primo libro di Norea , Arcangelica del profeta Mosè , il libro di Salomone, il libro sacro , ^ Settimo cosmo del profeta Hieralias , gli Schemata della Heimarmene del cielo

Ma di tutte queste opere non sappiamo nulla.

Ecco un breve cenno sui miti, correnti filosofiche, linee di pensiero alle quali l’autore (o redattore) chiaramente attinge e delle quali si dimostra imbevuto.

Dipende dall’Egitto il tratto nel quale l’Egitto è additato come la terra del paradiso e dei mitologici animali ;

i miti greci sul caos, su èros, su Himeros, sul Tartaro, su amore e psiche, sulla voluptas  (ήδονή) ecc.

costituiscono  un  materiale  corrente;

l’Antico Testamento è la falsariga soprattutto per la storia primitiva, ed assai più che dalla NatArc ci è dato qui constatare l’influsso esercitato dallo exaemeron biblico anche nella letteratura gnostica (oltre che in Filone e,  in  seguito,  nella  letteratura  cristiana);

vasta  in fine, e  molto significativa, è l’importanza delle tradizioni giudaiche, anche nei tipici giochi di parole ebraiche e aramaiche;

non meravigliano i molteplici accordi col libro di Enoc, una delle opere predilette dalla letteratura gnostica.

 

L’influsso cristiano è singolarmente ridotto.

In un primo testo «Gesù Cristo» è presentato come creatura di Sabaoth:

è un primogenito, è detto Israele, siede alla destra del trono di Sabaoth, mentre  alla  sinistra, è  assisa  «la vergine  dello  spirito  santo», ed  è l’immagine  del salvatore  che  si trova  sopra  dell’ogdoade  (come  la «chiesa angelica» è l’immagine di quella dell’ogdoade):

i cristiani sono così presentati come veri   psichici,   come   la   loro   chiesa;

e probabilmente, Sabaoth — Gesù Cristo — la vergine rappresentano la grande triade.

In un secondo testo  si parla delle anime di Sabaoth «e del suo Cristo».

In ambedue i testi ci si trova nell’ambito di una teologia giudeo-cristiana, presentata da un gnostico, da un pneumatico, per il quale Sabaoth è il dio dell’Antico Testamento, mentre Gesù Cristo e lo spirito sono suoi assistenti.

Tutte queste tradizioni, filoni dottrinari e miti non si trovano qui affastellati   in   un   complesso   disarticolato   ma   in   uno   scritto sufficientemente unitario nel  quale  si  possono  individuare  brevi digressioni e commenti (gli gnostici ritoccavano continuamente i loro scritti, non avevano un «textus receptus»): le notevoli difficoltà che presenta sono più facilmente superabili se si ha presente lo schema generale  nel  quale  sono  sistemati  i molti  miti  dei  quali  si  serve l’autore.

Il tema attorno al quale ha lavorato è l’uomo nei vari aspetti della sua  origine,  delle  sue  tendenze naturali,  delle  sue  lotte;

l’uomo  al centro di una guerra assai più antica di lui e nella quale egli si trova immerso, cioè  l’antagonismo tra la luce  e  le  tenebre, tra il mondo superiore, il vero e unico, e l’inferiore, scimiottatura temporanea di quello.

Dai  miti  e  tradizioni, dallo sfondo  culturale  ellenistico-giudaico-egiziano l’autore ha creato un’opera unitaria nuova nella sua dottrina: spiega la visione gnostica del mondo esponendo un prezioso compendio  di  idee  gnostiche  con  una  vasta  base  di  materiale soprattutto giudaico ed ellenistico, ma anche — parzialmente -cristiano e manicheo.

Nel profondo ottimismo che caratterizza lo scritto, l’autore dà una dimostrazione    palese   della   libertà   che   avevano   gli  gnostici nell’attingere   alle   più   svariate   fonti   a loro disposizione per sistematizzare e diffondere le  loro  idee  e  attestare  come  la  loro dottrina,  attingendo  da  tutti,  poteva  ben  sostituirsi ad altre più particolaristiche.

Lo scritto è una chiara attestazione della «cattolicità» dello gnosticismo.

L’opera non ha titolo.

Per molto tempo fu designata come «Scritto senza titolo» ;

ma poco alla volta si fece strada la titolatura proposta da H.-M.  Schenke nel  1959 e accolta oggi  anche dall’opera in collaborazione  The Nag Hammadi Library  in  English (1977);

Schenke aveva allora a sua disposizione la prima metà circa dello scritto e il titolo fu dato in considerazione del prologo;

tuttavia, se  il termine  «mondo» è  inteso  come  designante l’universo alla  portata diretta  e  indiretta  dell’uomo, il titolo  resta parzialmente valido;

«parzialmente» poiché il trattato non si arresta all’origine del mondo, ma si estende ampiamente alla vicenda terrena dell’uomo  e  termina  con la  consumazione»,  o apocatastasi del mondo e dell’uomo.

Il prologo è,  forse,  solo  in apparenza  polemico  in quanto l’autore non si prefigge di «dimostrare» che il mondo non ebbe origine dal caos, bensì di rilevare che al di sopra del caos primordiale vi è la «luce», che essa è la prima realtà alla quale, in fine, ritornerà tutta la «luce» discesa quaggiù, mentre tutto il resto si dissolverà

Prima parte.

Gli esseri intermedi e il mondo: 

Dall’entità suprema, da «colui che non ha fine — luce esistente fin dall’inizio — eòne  della verità» derivano gli immortali dei quali fa parte  anche  Pistis;

e  da  Pistis,  ultima  nella serie degli immortali, scaturisce un’immagine chiamata Sofia;

e con Sofia si esce fuori dalla pienezza, dagli immortali, e ha inizio l’universo della deficienza

Sofia non era soddisfatta della sorte toccatale e volle operare come l’entità suprema:

nello  gnosticismo  i sentimenti  si  concretizzano  in esseri, ed ecco che appare l’oggetto del suo desiderio, della sua volontà :

era un grande essere celeste che si interpose tra gli immortali e i mortali, tra il cielo divino e la terra (mortali e terra che  verranno  in seguito), era il sipario che  crea la divisione tra la luce e le tenebre;

perciò, dal basso, fu detto «tenebra», «ombra», dalle forze  celesti fu detta «caos infinito», cioè l’abisso,  dal  quale  scaturirà  tutto  l’universo  inferiore;

l’ombra,  si accorge  che  c’è qualcuno  (cioè  l’abisso) superiore  a lei:

sentimento invidioso  che  si  concretizza  nell’invidia  (la quale,  a  sua  volta,  si estenderà a tutti i mondi che sorgeranno dal caos) e nell’odio.

L’operazione dalla quale nasce l’aborto (invidia e odio) è paragonata a una generazione animale che comporta una sostanza acquosa e una placenta:

quest’ultima  sarà  la  materia,  la prima, invece, l’acqua primordiale;

il tutto si trovava nel caos.

La Pistis considera il disastroso effetto  della  sua  inefficienza, ne  rimane  sgomenta,  e questo  suo sgomento dà origine a una nuova realtà, «la paura» (= «una opera paurosa»), che si precipita nel caos e la Pistis vivifica col proprio soffio affinché presiedesse la materia e tutte le sue forze

Le origini primordiali   dell’universo inferiore sono   dunque rappresentate mitologicamente così:

da Pistis ha origine Sofia, dalla sua disordinata Brama deriva il Sipario, sotto di lui l’Ombra-la Tenebra-il  Caos;

dall’Ombra  ha  origine  l’Invidia  e  l’Odio, e  da  essi l’Acqua primordiale e la Materia, di fronte alle quali Pistis origina la Paura.

Dalla luce si va sempre più nelle tenebre, dalla Perfezione alla Inefficienza.

Sofia appare essenzialmente ambigua e bifronte:

la parte di Pistis è rivolta verso l’alto, ma essendo caratterizzata dalla Brama (Desiderio, Volere autosufficiente) l’altra parte è rivolta e appartiene al basso;

tendenza verso la sua origine ed espansione verso il basso, due poli opposti che trasmette all’universo inferiore.

Il dominio sulla materia,   «insufflato»  da   Pistis,   origina   la dominazione (nell’universo inferiore), cioè il grande arconte  che appunto da questa trae il suo nome;

essere bisessuato, aspetto di leone, pieno di potenza, ma ignorante, privo della gnosi:

e qui  è  la  ragione dei  suoi  inutili  e  disastrosi  tentativi  di  dominio cosmico e di scalata verso il cielo superiore.

Quando Pistis gli diede il nome segnò l’inizio la «parola».

Dopo la descrizione di Jaldabaoth, l’autore passa alla sua attività, per mezzo del pensiero e della parola, seguendo, la narrazione della Genesi;

prima agisce come vento sull’acqua  in  mezzo  alla  tenebra,  poi  come  divisore  della  terra dall’acqua, e creatore degli spazi:

con una parte di materia crea il cielo e con un’altra parte la terra, suo «sgabello»;

lieto delle sue azioni, crea tre  figli  bisessuati come  lui;

ne  risultarono  così  le  sette  potenze planetarie, che presiedono i giorni della settimana, nell’ambito delle quali si esercita la sovranità del grande arconte:

essendo bisessuate, ognuna ha un nome maschile e uno femminile, così:

Jaldabaoth — Pronoia Sambathas;

Jao — Signoria;

Sabaoth — Divinità;

Adonaios — Regalità Eloaios — Invidia;

Oraios — Ricchezza;

Astafaios — Sofia (Saggezza).

 

Questa lista si può utilmente confrontare con ApGv, ove leggiamo  anche le corrispondenze animali degli arconti, che qui non sono menzionate.

Annoverando Jaldabaoth con gli altri sei cieli abbiamo sette cieli, mentre distinguendolo, a motivo della sua preminenza, ne abbiamo sei

partendo dal basso il primo cielo è quello di Jaldabaoth  e,  partendo  dall’alto,  è  quello  di  Sofia  la  quale  —  nel settimo (o sesto) cielo — segue immediatamente Pistis che fa parte degli «immortali» come ultima della serie.

Dopo la descrizione degli ornamenti dei cieli a decoro dei singoli arconti, l’autore-redattore introduce  un altro  mito  primordiale, che, forse si ispira alla mitologia dei Titani:

una potenza inferiore anonima scuote tutto il sistema cosmico, e solo l’intervento dell’alito di Pistis Sofia riesce a legarlo, a gettarlo nel Tartaro, e a ristabilire l’ordine,

Mentre da Pistis il grande arconte aveva ricevuto la forza di creare il mondo e di mantenerlo stabile contro l’attacco dello «scuotitore», nella sua ignoranza si giudica padrone di tutto e si reputa dio;

la Pistis allora risponde a questa bestemmia  apostrofandolo  come  essere  «cieco» (ignorante), annunciandogli la sua dissoluzione escatologica per opera di  un  uomo  splendente  e  immortale   , e proiettando nell’acqua la propria immagine.

Né si ferma qui  l’intervento  della  Pistis:

le  sue  parole  indussero  a  penitenza l’arconte  Sabaoth  il quale  dopo  avere  approvato  il suo  padre ( Jaldabaoth), ora lo disapprova ed è riconoscente a Pistis apportatrice della «conoscenza dell’uomo immortale» ;

Pistis Sofìa gli stende il suo dito, cioè gli comunica un po’ della sua luce e lo prepone, con grande potenza,  su tutte  le  forze  del  caos;

egli  diventa  il «signore  delle potenze».

Le potenze del caos si scatenarono contro Sabaoth, ma Pistis Sofìa mette a sua custodia arcangeli e angeli, lo fa trasportare dal terzo al settimo cielo (cioè con Astafaios e Sofia) e gli dà la propria figlia — Zoe  —  come  pedagogo  e maestro;

Sabaoth  si  prepara  una  degna dimora  (trono,  cherubini,  serafini,  ecc.),  crea la  «chiesa angelica», simile  a  quella  celeste,  e  un  primogenito  detto  «Israele»  e  «Gesù Cristo» il quale è come il salvatore celeste;

e con visibile compiacenza è  descritta  la  grande gloria  di Sabaoth attingendo — alla maniera gnostica-giudaica  — a diversi testi dell’Antico Testamento;

Sabaoth è, infatti, il Dio dell’Antico Testamento:

un arconte come gli altri, ma, a differenza degli altri, capace di pentimento;

siede alla destra di Pistis Sofia  e  rappresenta  la  giustizia,  ma  alla  sinistra  di  Sofia  siede Jaldabaoth, l’ingiustizia:

Sabaoth come Sofia sono due entità bivalenti!

Ed ecco farsi sempre più aperta la lotta:

Jaldabaoth, padre del figlio ribelle — Sabaoth —, passa alla controffensiva.

Divorato dall’invidia crea la morte affinché prenda il posto nel terzo cielo lasciato vuoto da Sabaoth,  ed  essa  genera  ancora  sette  figli bisessuati  (cioè  una ebdomade)  rappresentanti  altrettanti  «vizi» che a lor volta ne generano altri fino a raggiungere il numero di quarantanove demoni, cioè

maschili                       femminili
invidia                     collera ira
tristezza pianto                     lussuria sospiro
lamentazione lutto                       maledizione grido di dolore
amarezza lacrime del gemito      discordia

A questi demoni rispondono  Sabaoth e  Zoe  creando  sette  forze buone bisessuate dalle quali derivano «molti spiriti buoni e innocui» ;

queste sette forze sono

maschili                       femminili
assenza d’invidia        pace beato
gioia gioioso                    giubilo veritiero
beatitudine assenza di gelosia       verità amato
amore degno di fede            fede

Il grande arconte ricorda l’immagine di Pistis sulle acque, si accorge che è lei che gli aveva parlato e che prima di lui c’è l’uomo immortale, ma non desiste dalla lotta e, nonostante i sospiri, la vergogna e lo sgomento, rinnova e  accresce  la sua bestemmia: «Io  sono  dio… Se prima di me ce n’è un altro…».

A questo punto inizia il ciclo di Adamo

 

Seconda parte.

 Antropogonia: 

Il materiale della seconda parte è il più vasto, varie e originale del presente  scritto, ma contiene  pure  un buon numero di difficoltà di diversi  generi  dovute in larga misura al  linguaggio  mitico,  così pregnante di significati, e al sincretismo gnostico.

Tutto sommato vi si possono vedere nove sezioni o quadri.

1.

Dopo la seconda sfida lanciata dal grande Arconte:

«Se prima di me c’è un altro…» dall’ogdoade celeste si stacca una luce, attraversa tutti i cieli ed è vista da tutti gli arconti, ma solo Jaldabaoth e la sua compagna, la Pronoia, scorgono nella luce una splendida immagine umana: è l’Adamo-luce;

Pronoia se ne innamorò, avrebbe voluto unirsi a colui il cui nome significa «uomo dal sangue luminoso», ma per la contrapposizione tra luce e  tenebra  (= Pronoia),  l’unione  non  fu possibile;

allora la Pronoia effuse sulla terra  la luce riflessa su di lei dall’immagine umana e questa luce riflessa purificò la terra: giocando opportunamente sulla gamma dei possibili significati di Adam (nella lingua ebraica), la luce riflessa era il sangue luminoso della vergine (cioè  di Adamo);

dunque, come  l’acqua fu purificata dall’immagine riflessa di Pistis Sofia, così la terra viene ora purificata dal sangue della vergine

2.

Il mito dell’Eros.

Impossibilitata a unirsi a Adamo-luce, la Pronoia versò, sulla terra, le particelle luminose o goccie di sangue provenienti da lui e di cui si era caricata desiderandolo;

ma, a un livello parallelo, la  vergine  Pronoia versò sulla terra il  proprio sangue: dalla terra purificata  da  questo  sangue  sarà  formato  l’uomo.

Da  questa luce- sangue e sangue-luce ebbe origine l’Eros: origine che solo in apparenza è  femminile  (Pronoia), in  realtà  è  ambivalente, bisessuato;

la sua mascolinità è Himeros, la femminilità «un’anima di sangue»;

da una origine così qualificata, l’Eros illumina, trascina, brucia tutti gli esseri  creati.

Bisessuato,  bello,  fuoco,  l’Eros  ha  una  posizione intermedia nell’ambito dello spazio cosmico, divide e unisce, è causa di ordine e di disordine;

e dall’Eros ha inizio l’accopiamento, il piacere sensuale sintetizzato  in  cinque  righe  incisive;

donna-terra, matrimonio-donna, matrimonio-procreazione, procreazione-morte.

Ma dall’Eros, sangue versato sulla terra, e dal seme delle potenze crescono i tre alberi legati alla sessualità: la vite, il fico, il melograno

3.

Nella stessa tematica dell’Eros è presentato il paradiso.

Fu creato dalla «giustizia» — quindi, a quanto pare, da Sabaoth — al di là del sole e della luna, non quaggiù;

in esso c’era «l’albero della vita» che qui ha significato escatologico, e cioè dare l’immortalità ai giusti alla fine del mondo;

«l’albero della gnosi» punto di partenza per la salvezza, dando all’uomo la conoscenza di ciò che è suo, portandolo alla rottura con arconti e potenze, e indirizzandolo verso «l’albero della vita».

Ma c’era pure l’albero dell’ulivo — al quale una lunga tradizione  giudaica e giudeocristiana annetteva pure significato escatologico.

In un tratto curioso è sviluppata la relazione Eros-vergini-sangue sulla terra, crescita di piante  gradevoli (prima fra tutte  il «roveto» ardente della storia mosaica), in fine tutte le piante;

dopo l’apparizione di queste, le potenze creano, dall’acqua, pesci, rettili, uccelli

 

4.

Ricollegandosi al testo di 109, cioè prima del mito dell’Eros e del paradiso, l’autore riprende il mito di Adamo-luce.

Restò sulla terra «circa due giorni», poi sistemò la Pronoia in un altro cielo, e iniziò a salire verso la sua luce, lasciando tutto il mondo nelle tenebre: come Sabaoth, anche la Pronoia, è posta in un cielo superiore a quello del suo compagno, Jaldabaoth.

A motivo delle tenebre.

Sofia ricevette una forza da Pistis e così creò i luminari e compì l’opera di organizzazione dello spazio e dei tempi.

Ma avendo riflettuto sulla Prònoia parte della sua luce, l’Adamo-luce, indebolitosi, non è più in condizione di rientrare nell’ogdoade suprema, perciò si crea una sfera tra questa e l’ebdomade degli arconti;

anch’egli ormai fa parte del «mondo della povertà».

Prima che Adamo-luce si allontanasse fu visto dalle potenze, cioè dagli arconti, e derisero il loro capo, che si era proclamato su-superiore a tutti;

temendo l’opera «distruttrice» del loro mondo concertano di formare un uomo dalla terra uguale al loro corpo e il più possibile simile a Adamo-luce: alla vista di un suo simile, lascerà un riflesso della sua luce e non distruggerà il mondo degli arconti, anzi, questi avranno in loro potere una parte di lui;

gli arconti sono potenti, ma ignoranti

 

5.

Ma quello che si sta realizzando con l’ignorante complicità degli arconti, conduce — sul piano divino — proprio a una conclusione che è contro di loro: il sovrano dominio del divino al quale lo scritto volge sempre la sua attenzione

In risposta al disegno degli arconti, Sofia-Zoe forma il «suo uomo» affinché possa «istruire» quello che faranno gli arconti

Dall’ogdoade celeste prende una «goccia» di luce e la getta nell’acqua;

la goccia fa risplendere l’acqua;

dall’unione della luce e dell’acqua nasce un corpo femminile che assume le sembianze di una  madre,  e   dopo  dodici  mesi  genera  un  uomo  bisessuato, Ermafrodite, che sostanzialmente è sempre donna con l’ambiguità e la duplicità della donna primordiale.

L’accostamento luce-acqua-donna-madre ha connessi con la mitologia greca e con quella giudaica.

Ha il compito di istruire: «nella misura in cui l’umanità avrà disprezzato gli arconti nella stessa misura ne sarà liberata»

nel suo sincretismo gnostico  l’autore proietta la duplice polarità della propria visione: questo uomo-donna è Ermafrodite-Afrodite, gli ebrei  lo chiamano  «Eva  della  vita»  cioè «istruttrice della vita», mentre gli arconti lo chiamano «la bestia» (vi è qui tutto un gioco di accostamento mitici e di etimologie più o meno fondate).

Questo trionfo della donna è sintetizzato in un inno — che doveva essere assai comune in ambienti gnostici — nel quale sotto la forma «io sono» la  donna  identifica  i  contrari ed esprime la sua  essenziale tensione verso l’alto, che è il suo doppio.

Il quadro termina con una visione  sostanzialmente   ottimista per le  anime   provenienti  da «Sabaoth e dal suo Cristo»: a loro è noto quanto precede, perciò una «voce santa» (forse di Pistis) disse loro (in senso gnostico!) «crescete, moltiplicatevi…» anche se saranno per un certo tempo prigionieri degli arconti

 

6.

L’uomo ermafrodita creato da Sofia — Zoe, è l’uomo psichico, tuttavia nel tratto a lui dedicato non è mai chiamato con questo nome (anche perché gli si adatta soltanto in modo assai relativo);

è detto così nella sintesi sistematica finale

è detto — una sola volta — «psichico» l’uomo formato dagli arconti

In  una  maniera  parte  originale  e  parte  comune,  gli  arconti realizzano il loro disegno formando l’uomo: gettano il proprio seme nell’ombelico  della  terra  e  poi  plasmano  il corpo  dell’uomo,  che assomigliava a loro ma era a immagine di Adamo-Luce;

ogni arconte coopera per la sua parte, come leggiamo in altri miti del genere

esternamente   assomigliava   all’archetipo,   ma internamente, no: era privo di vita;

perciò l’arconte lo pose dentro un vaso  per  quaranta  giorni  (le  indicazioni  gnostiche tengono  sempre desta  l’attenzione  del  lettore!);

Sofia  gli invia  l’anima  (ψυχή)  e apparentemente realizza il disegno degli arconti in quanto nel corpo arcontico è immessa l’anima, cioè la somiglianza;

l’uomo non poteva stare diritto: avvicinato dagli arconti, rispose alla loro domanda (aveva iniziato la gnosi), ma essi non compresero, lo estrassero dal vaso e lo posero nel paradiso: era il settimo giorno e, sollevati dalla situazione in cui era l’uomo, si riposarono.

Nell’ottavo giorno, Sofia manda la figlia Eva (cioè  il secondo  Adamo, il «suo  uomo») per destare  e  istruire Adamo (notare la linea: Sofia — Zoe — Eva — Adamo);

le potenze decidono di trattenere questa datrice di vita e di luce: «gettiamo in lei il nostro seme affinché… non possa più risalire alla sua luce, e quelli che partorirà saranno soggetti a noi» ;

inducono in Adamo «un sonno d’oblio» e durante il sonno gli fanno credere che Eva deriva da lui, «dalla  sua  costola»  e  che  egli  è  quindi  il suo  signore;

ma  Eva (superiore)  acceca  gli inseguitori.

lascia  presso   Adamo   la  sua immagine,  fugge  e  si  trasforma «nell’albero della  gnosi»;

passato l’accecamento, gli arconti vanno da Adamo, vedono Eva, credono che sia l’Eva superiore, e si uniscono invece con l’Eva terrestre (immagine dell’altra) contaminandola in modo  abominevole;

da questa unione degli arconti e dei suoi angeli con l’Eva terrestre nacquero figli, prima Abele poi gli altri.

L’autore termina con una visione ottimistica sulla discendenza di Eva: il seme degli arconti è ormai amalgamato a tutte le  persone,  nessuno  quindi può  sfuggire  alla  Heimarmene,  ma  il mondo futuro (legato all’ottavo giorno), nella rigenerazione di Adamo, sarà maschio, i nati da Eva saranno d’ora in poi «siepi per la luce» che è in essi, così Eva condannerà gli arconti proprio per mezzo delle loro stesse creature nelle quali è racchiusa quella luce

 

7.

Un complesso ricupero gnostico di temi biblici-giudaici-giudeo cristiani  ed  ellenistici  —  è  offerto  dalla  sintesi  sulla  apparizione dell’uomo:  il primo  giorno  è  contrassegnato  dalla  apparizione  di Adamo-luce;

il quarto  dall’apparizione  dell’uomo  psichico;

l’ottavo giorno  dall’opera dell’Eva superiore  sull’uomo  terrestre, quindi è  il giorno dell’uomo legale, il giorno del riposo dalla povertà e il giorno del sole poiché in esso l’uomo acquistò la posizione eretta

 

8.

Con   brevi    unità   letterarie è presentata la   primordiale sistemazione dell’umanità nella lotta tra luce e tenebre per la schiavitù o per la illuminazione liberatrice dell’umanità.

L’uomo si estese facilmente  sulla  terra,  acquisì  le  conoscenze pratiche  per la vita quotidiana, ma era nella completa ignoranza a proposito del «tutto» («donde vieni, dove vai, chi sei, chi sarai, ecc.) e viveva nell’ignoranza come gli animali.

Gli arconti si resero conto che sarebbero stati sempre sotto l’incubo dell’uomo immortale (Adamo-luce) e sotto il pericolo di colei che si era fatta albero (Eva superiore), pensarono di premunirsi proibendo alla coppia umana di mangiare dell’albero della gnosi sotto minaccia di morte.

Ma «la bestia» (cioè  l’Eva superiore)  indusse  la madre  Eva (sua immagine terrena) a mangiarne;

la donna e l’uomo conobbero la loro nudità gnostica;

conoscenza che destò in loro l’amore reciproco, e la ripugnanza verso gli arconti;

dopo la solita requisitoria e le abituali maledizioni  (contro  l’istruttore,  la  donna  e  l’uomo),  gli arconti conobbero  finalmente  che  c’è  prima  di  loro  «uno  più  forte», e introdussero  nel  mondo  una  grande  invidia;

misero  a  prova  la conoscenza dell’uomo presentandogli tutti gli animali, ma restarono stupiti allorché egli diede il nome a tutti: allora cacciarono Adamo ed Eva dal paradiso in terra affinché non mangiassero dell’albero della vita, e presero ogni misura affinché nessuno gli si accostasse.

Alle azioni degli arconti corrispondono due interventi di Sofia Zoe: scacciò gli arconti dai loro cieli giù in terra, tra i demoni maligni;

mandò la fenice: di essa e altri animali, tratterà la parte seguente

 

9.

La fenice — i due tori — il coccodrillo, cioè il così detto «bestiario dell’Egitto».

Ci si  interroga  su  quale  significato   abbia  quest’ultima sezione: non è  semplice  comprendere  gli intenti che  ebbe  Fautore-redattore.

Penso  che  l’unica  spiegazione  sia  nella  frase  finale,  cioè l’umanità  scacciata  dal  paradiso ha nell’Egitto la  regione   più somigliante al paradiso fino a quando giungerà la fine, il ritorno delle gocce di luce alla fonte della luce.

Ed ecco la simbologia degli animali scelti quali rappresentanti della terra d’Egitto così «calunniata» dalla letteratura ebraica biblica (come terra della schiavitù), dalla letteratura giudaica e giudeo cristiana (ad es. gli «Atti di Tommaso» e in particolare il «Canto della perla» ivi

La  fenice è  simbolo   dell’apocatastasi, della   rigenerazione escatologica  e  del ritorno  all’origine;

nella  concezione  circolare  del tempo, essa  unisce  l’inizio  alla  fine;

è  simbolo  del giusto, cioè del gnostico  in paese  straniero sempre memore della patria lontana;

è quindi il testimone delle tre stirpi umane (terrena, psichica, gnostica;

è simbolo dei tre battesimi (acqua, fuoco, spirito) e della condanna degli arconti.

I due tori sono:  Apis incarnazione di Osiride-occidente-luna;

Mnevis incarnazione del sole-oriente;

sono simboli di Sabaoth e dei salvati, che nel loro viaggio verso il riposo fanno sosta sulla luna e sul sole.

I coccodrilli probabilmente  sono simboli del battesimo — evento mistico a sfondo escatologico — di acqua, della vita acquatica e terrestre con i richiami che acqua e terra hanno nelle origini cosmiche e umane.

L’ultima frase ha certo carattere polemico nel senso sopra accennato

Terza parte.

 L’uomo e il suo mondo quaggiù:  

Si ha l’impressione che l’autore dopo avere lasciato correre, a briglia sciolta, la sua creatività mitologica, di qui alla fine sia molto più sobrio.

Allorché gli arconti e i loro angeli furono scacciati dai loro cieli sulla terra, riempirono gli uomini di errori, divisioni, ingiustizia, ignoranza, oblio;

catena di errori e illusione che seguita fino all’avvento dell’ «( uomo perfetto» che è il contrapposto del grande arconte il cui battesimo coincide con la sua manifestazione

Segue una sezione più complessa.

Il Padre manda nel mondo — in preda  all’errore —  «spiriti  innocenti», «piccoli beati»,  cioè  anime luminose, anch’esse  «prigioniere», ma apportatrici della luce, con a capo l’angelo custode nel quale c’è tutta la gnosi.

Questi «piccoli beati» controbilanciano l’influsso  negativo degli arconti e ne  condannano l’attività,  ma   sono   soprattutto   testimoni   della   gnosi,   svelano l’immortalità del  Padre, illuminano e ammaestrano gli uomini;

Interessante  è  l’accenno alla  diversità  (nella  unità)  tra  i  «piccoli innocenti»  cioè  tra  i gnostici:  tra  paesi,  tempi  e  culture  diverse crearono chiese, dando così  dimostrazione di una larga  recettività, d’altronde constatata negli scritti di Nag Hammadi.

Il salvatore probabilmente  Gesù  Cristo, infatti,  portò  la  liberalizzazione  nella  diversità sicché le stirpi beate sono quattro dato che comprendono il mondo

Oltre ai «piccoli beati», anche il logos fu mandato per fare conoscere ciò che è nascosto.

 

Quarta parte.

 La consumazione finale: 

È la parte escatologica dello scritto ed è contrassegnata dalla solita tematica giudaica.

All’approssimarsi della fine dell’eòne presente, vi saranno terremoti, grida, lamentazioni, guerre, oscuramento della luna e del sole, ecc.

Si scatenerà anche l’ira di Sofia, l’ira escatologica, alla quale seguirà la grande ricapitolazione (apocatastasi) o consumazione (συντέλεια): ognuno  andrà  nel  luogo  dal  quale  è  venuto.

Quindi ritorno dalla molteplicità all’unità, alla salvezza.

 

Prologo

Dato che tutti, gli dèi del mondo e gli uomini, affermano che non esiste nulla prima del caos, io voglio, al contrario, dimostrare che essi hanno sbagliato tutti poiché non hanno conosciuto la formazione del caos  e  la  sua  radice.

Voglio addurne  la dimostrazione.

Se, a proposito del caos, tutti gli uomini concordano sul fatto che esso è tenebra, che si chiama «tenebra» ciò che proviene da un’ombra, e — in fine  —  che  l’ombra deriva  da  una  realtà  esistente fin dall’inizio, è chiaro che questa (realtà) esisteva prima che ci fosse il caos e che esso venne dopo la prima realtà.

Possiamo dunque pervenire alla verità, ma anche  alla prima realtà dalla quale  scaturì il caos: in tal modo apparirà la dimostrazione della verità.

 

GLI ESSERI INTERMEDI: 

L’ogdoade

Allorché  la  natura degli  immortali  fu  terminata  da  colui  che  è infinito, dalla Pistis scaturì un’immagine, che fu chiamata Sofia.

 

Prima realtà imperfetta

Essa volle che venisse all’esistenza una realtà a somiglianza della luce  esistente  fin  dall’inizio.

Subito  apparve  (l’oggetto) della  sua volontà:   era   un’immagine   celeste,   possedeva   una   grandezza inimmaginabile,  si trovava a metà tra gli immortali e tra coloro che esistettero dopo di essi, come ciò che è in alto, che è un sipario che divide gli uomini da quelli che sono in alto.

Ma l’eòne della verità non ha  in  se  ombra  alcuna,  poiché dentro  di  lui  c’è la  luce  illimitata.

Tuttavia, esternamente, è ombra: per questo fu detto «tenebra

Organizzazione dell’universo

Al di sopra delle tenebre apparve una forza.

All’ombra,  apparsa dopo di loro, le forze diedero il nome di «caos infinito» ;

da esso scaturì ogni generazione degli dèi, l’una, l’altra e tutto il luogo.

Perciò l’ombra è posteriore alla prima realtà che apparve.

L’abisso deriva dalla Pistis, della quale abbiamo parlato.

 

Allora l’ombra si accorse che c’era qualcuno più forte di essa: ne fu invidiosa;

da sola rimase incinta, e generò subito l’invidia.

Da quel giorno ebbe inizio l’invidia in tutti gli eòni e nei loro mondi.

 

Ma quell’invidia era come un aborto, privo di spirito;

divenne come  le  ombre,  in  una  grande sostanza acquosa.

Poi  l’odio, sorto dall’ombra, fu gettato in una parte del caos.

Da quel giorno apparve una sostanza acquosa, venne fuori ciò che in essa (nell’ombra) era stato racchiuso, manifestandosi nel caos.

 

Come  colei che  genera un bimbo ha cura di liberarsi di tutto il superfluo, così la materia, scaturita  dall’ombra, fu gettata in una parte (del caos): essa non venne fuori dal caos, bensì si trovava nel caos perché è in una parte di esso.

 

Allorché accadde questo, venne la Pistis;

si manifestò al di sopra della materia del caos, quella che era stata gettata via come un aborto, poiché in esso non c’è spirito;

infatti, è interamente tenebra infinita e acqua senza fondo.

 

Jaldabaoth, il demiurgo

Quando la Pistis  vide quanto era accaduto in seguito alla sua inefficienza, ne fu sgomenta;

lo sgomento originò un’opera paurosa, la quale si precipitò nel caos.

Lei allora si voltò verso di essa per soffiare sul suo volto nell’abisso, che è al di sotto di tutti  i cieli.

Ma dopo che  la  Pistis Sofia  ebbe  il desiderio  che  ciò  che  era  senza  spirito acquisisse una fisionomia e presiedesse la materia e tutte le sue forze, dall’acqua apparve — prima di tutto — un arconte: aveva l’aspetto di leone, era bisessuato, possedeva in se stesso una grande potenza, ma ignorava d’onde era venuto.

 

Allorché  la  Pistis  Sofia  lo  vide  muoversi  nella  profondità  delle acque, gli disse: — Giovinetto, attraversa fino a questi luoghi -.

Donde l’interpretazione «Jaldabaoth».

 

Da quel giorno si manifestò il primo inizio della parola, la quale giunse agli dèi, agli angeli e agli uomini;

gli dèi, gli angeli e gli uomini sono ciò che avvenne per mezzo della parola.

Ora l’arconte Jaldabaoth non conosce la forza della Pistis;

non ha visto il suo aspetto;

ma ha visto, nell’acqua, l’immagine che gli parlava;

e in base a quella voce, egli si chiamò Jaldabaoth.

Ma i perfetti lo chiamano «Ariel», poiché aveva l’aspetto di leone.

Dopo che questo  era venuto all’esistenza e  aveva posto la sua potenza sulla materia, la Pistis Sofia se ne ritornò su nella sua luce.

Allorché  l’arconte   constatò  la  propria   grandezza   —  vide soltanto  se  stesso e  null’altro  che  acqua  e  tenebra  —,  pensò  che esistesse solo lui.

Il suo pensiero si completò per opera della parola.

Egli si manifestava come un vento che si muoveva qua e là al di sopra delle acque.

Dopo la manifestazione di quello spirito, l’arconte divise la sostanza acquosa da una parte, e (la sostanza) secca da un’altra parte;

con una materia si creò una dimora, che chiamò «cielo»;

con l’altra materia l’arconte creò uno sgabello, che chiamò «terra».

 

I figli del demiurgo

L’arconte, poi, pensò secondo la sua natura: per mezzo della parola creò un (essere) bisessuato: aprì la sua bocca, si vantò di se stesso.

Quando aprì gli occhi, vide suo padre e gli disse «j»;

allora suo padre lo chiamò «Jao».

Creò poi un secondo figlio, si vantò di se stesso;

egli aprì gli occhi, disse a suo padre: «e»;

suo padre lo chiamò «Eloai».

Creò ancora il terzo figlio, si vantò di se stesso;

egli aprì gli occhi, disse a suo padre: «as»;

suo padre lo chiamò «Astafaios».

Questi sono i tre figli del loro padre.

 

Sette  apparvero  nel  caos,  come esseri  bisessuati.

Essi  hanno  un nome  maschile  e  un  nome  femminile.

Il nome  femminile  (di Jaldabaoth)  è  «Prònoia Sambathas» cioè  «Ebdomade».

Il figlio chiamato Jao ha come nome femminile «signoria» ;

Sabaoth ha come nome femminile «divinità» ;

Adonaios ha come nome femminile «regalità» ;

Eloaios  ha come nome femminile «invidia» ;

Oraios ha come  nome  femminile  «ricchezza» ;

Astafaios, poi, ha come  nome femminile «Sofia».

Queste sono  le sette forze dei sette cieli del caos.

 

Erano  androgene  conformemente  al prototipo  immortale,  esistito prima di loro, secondo il volere della Pistis, sicché fino alla fine domini l’immagine di colei che esiste fin dall’inizio.

 

L’efficacia  di  questi  nomi  e  la  forza  dei  maschi  la  troverai nell’«Arcangelica» del profeta Mosè;

mentre i nomi delle femmine nel primo «Libro di Norea».

 

Siccome Jaldabaoth, l’archigenitore, possiede  grandi potenze, per ognuno dei suoi figli, con la (sua) parola, creò cieli belli come dimora, e in ogni cielo magnificenze splendide, scelte sette volte: nel proprio cielo, ognuno ha troni, dimore, templi, cocchi, vergini spirituali e le loro glorie (rivolte) in alto verso l’invisibile, ognuno avendo questi nel proprio cielo;

e anche innumerevoli decine di migliaia di eserciti di forze, di dèi, di signori, di angeli, di arcangeli al loro servizio.

 

Precise notizie su di loro troverai nel «Primo Discorso di Norea».

Tutto ciò fu portato a termine in questo modo, su fino al sesto cielo, quello di Sofia.

 

Il cielo e la sua terra furono scossi dallo scuotitore che è sotto di loro;

i sei cieli tremarono.

Infatti,  le forze del caos non conoscevano chi fosse  colui che  aveva distrutto  il cielo  che  è  sotto  di loro.

Ma allorché  la Pistis conobbe  l’oltraggio dello  scuotitore, mandò  il suo alito, lo incatenò e, per mezzo di quell’alito, lo gettò giù nel Tartaro.

Da quel giorno, la Sofia di Jaldabaoth consolidò il cielo e la  sua terra, quello che è sotto tutti loro.

 

Jaldabaoth e Pistis Sofia

Dopo che i cieli, le  loro  potenze  e  l’intera loro  disposizione  si furono consolidate, l’archigenitor si vantò e fu lodato da tutto l’esercito degli angeli;

lo benedissero e lodarono tutti gli dèi e i loro angeli.

Egli se ne rallegrava in cuor suo e si vantava continuamente, dicendo loro: «Non ho bisogno di nulla!».

Diceva: «Io sono dio, e non ne esiste altri all’infuori di me».

Così dicendo peccò contro tutti gli immortali;

ma  essi  accolsero (la  sua  parola) e  gliela  custodirono.

Considerata l’empietà del grande arconte, la Pistis si irritò e, senza essere vista, disse: — Tu sbagli, Samael», cioè «dio cieco», «prima di te esiste uno splendente  uomo  immortale;

egli  si  manifesterà  nei  corpi  da  voi plasmati;

egli ti calpesterà, come questi vasi di argilla che vengono frantumati;

tu — e con te i tuoi — scenderai da tua madre, l’abisso.

Infatti, al termine delle vostre azioni svanirà tutta l’inefficienza, resa manifesta dalla verità: passerà e sarà come ciò che non è mai esistito.

 

Dopo che la Pistis disse questo, svelò nell’acqua l’immagine della propria grandezza.

E se ne ritornò in alto alla sua luce.

 

Sabaoth

Udita la voce della Pistis, Sabaoth, figlio di Jaldabaoth, la venerò e disapprovò il padre e la madre a motivo della parola della Pistis: la venerò perché li aveva portati a conoscenza dell’uomo immortale e del suo splendore.

Pistis Sofia stese, allora, il suo dito, e versò su di lui una luce dalla sua luce, per la disapprovazione di suo padre.

Accolta la luce, Sabaoth ricevette una grande potenza su tutte le forze del caos: da quel giorno fu denominato «signore delle potenze».

Ebbe in odio suo padre,  la  tenebra,  e  sua  madre,  l’abisso;

ebbe  disgusto  verso  sua sorella, il pensiero dell’archigenitore che si muove qua e là al di sopra delle acque.

 

A motivo della sua luce, tutte le potenze del caos furono invidiose di lui.

E, dopo essersi tormentate, scatenarono una guerra nei sette cieli.

Vista  la  guerra,  la  Pistis  Sofia,  dalla propria  luce,  mandò  sette arcangeli a Sabaoth;

essi lo trasportarono nel settimo cielo;

si posero al suo servizio davanti a lui.

Essa gli mandò ancora altri tre arcangeli;

essa stabilì la sua regalità  al  di sopra  di tutti, affinché  fosse  al  di sopra  delle  dodici divinità del caos.

 

Allorché Sabaoth ricevette il luogo del riposo a motivo della sua penitenza, la  Pistis  gli diede  ancora  la  propria  figlia  Zoe, con una grande potenza, affinché lo istruisse su tutto ciò che si trova nella ogdoade (celeste).

Avendo la potenza, egli creò anzitutto per se stesso una dimora grande e splendida, sette volte (superiore) a tutte quelle che si trovano nei sette cieli.

Davanti alla sua dimora creò un grande  trono  posto  su  di  un  cocchio  quadrangolare  chiamato «cherubini» ;

in ognuno dei quattro angeli del cherubin vi sono otto forme: forme di leone, forme di toro, forme d’uomo, e forme di aquila di modo che tutte le forme costituiscono sessantaquattro forme, oltre ai sette arcangeli che stanno davanti a lui.

Egli è l’ottavo, poiché ha  la  potenza.

Tutte  le  forme  sono  settantadue;

poiché  da  questo cocchio  trassero  tipo  le  settantadue  divinità: esse  trassero  tipo  per dominare sulle settantadue lingue delle nazioni.

Al di sopra del trono egli creò ancora degli angeli dall’aspetto di draghi, detti «serafin», che lo lodano in ogni momento.

Poi, creò una chiesa angelica  (alla quale appartengono) migliaia di innumerevoli miriadi senza numero, simile alla chiesa dell’ogdoade, e un primogenito, detto «Israel», cioè «l’uomo che  vede  Dio», (il  quale  ha  pure)  un  altro  nome,  «Gesù Cristo», che è come il Salvatore che si trova al di sopra dell’ogdóade, e siede alla destra del suo magnifico trono;

alla sua sinistra è assisa la vergine dello spirito santo, donde gli dà lode.

Davanti a lei stanno le sette vergini, mentre (altre) trenta (vergini) con in mano cetre, arpe, trombe, gli danno lode.

E tutti gli eserciti degli angeli gli danno lode e lo benedicono.

Egli, poi, siede su di un trono nella luce di una grande nube che lo avvolge.

Nella nube non c’era alcuno con lui, a eccezione della Sofia, la Pistis, che lo ammaestrava su tutto ciò che si trova nell’ogdoade, di modo che ne fossero create copie affinché la regalità rimanga a lui fino al termine dei cieli del caos, e delle loro forze.

La Pistis Sofia lo separò dalle tenebre: essa lo invitò alla sua destra, mentre l’archigenitor lo pose alla propria sinistra.

Da quel giorno, la destra fu detta «giustizia» ;

la sinistra fu detta «ingiustizia».

Perciò tutti hanno ricevuto un mondo della chiesa della giustizia e della ingiustizia, che sta al di sopra della creazione.

 

La reazione del demiurgo

Ma quando l’archigenitor del caos vide suo figlio  Sabaoth, lo splendore nel quale si trovava, e la sua eccellenza rispetto a tutte le potenze del caos, ne ebbe invidia: si irritò e, dalla sua morte, partorì la morte;

la pose sul sesto cielo: in quel luogo donde era stato allontanato Sabaoth.

Così fu completato  il  numero  delle  sei potenze  del  caos.

Allora la morte, bisessuata, si amalgamò con la sua natura e partorì sette figli bisessuati.

I nomi dei maschi sono: invidia, ira, pianto, sospiro,  lutto,  grido di  dolore,  lacrime  del  gemito.

I nomi  delle femmine sono: collera, tristezza, lussuria, lamentazione, maledizione, amarezza, discordia.

Questi si unirono l’un l’altro e ognuno ne generò sette, di modo che sono  quarantanove  demoni bisessuati.

I loro nomi e le loro attività li troverai nel «Libro di Salomone».

 

La reazione di Zoe

Contro  costoro, Zoe, che  è  con Sabaoth, creò  sette  forze  buone bisessuate.

I nomi dei maschi, sono: assenza d’invidia, beato, gioioso, veritiero, assenza di gelosia, amato, degno di fede.

I nomi delle femmine, sono: pace, gioia, giubilo, beatitudine, verità, amore, fede.

Da costoro provengono molti spiriti buoni e innocui.

I loro effetti e le loro attività li troverai negli «Schemata» della Heimarmene del cielo, che si trova al di sotto dei dodici.

 

Allorché  l’archigenitor vide, nelle acque, l’immagine della Pistis, ne  rimase  molto  triste, e  più ancora  quando  sentì la  sua  voce, rassomigliante alla prima voce, quella che l’aveva chiamato fuori dalle acque.

E quando si avvide che era stata lei a dargli un nome, sospirò e si vergognò della sua  trasgressione.

E  quando  avvertì  che  c’è veramente un uomo luminoso immortale, il quale esiste prima di lui, rimase molto sgomento per il fatto che, davanti a tutti gli dèi e ai loro angeli, aveva detto: «Io sono dio.

Al di fuori di me non ce n’è altri».

Egli temeva che qualora essi avessero conosciuto l’esistenza di un altro anteriore  a  lui,  lo avrebbero  disapprovato.

Ma  egli,  insensato, disprezzò la condanna e osò dire: «Se prima di me c’è un altro, si manifesti, affinché vediamo la sua luce».

 

ANTROPOGONIA: 

Adamo-luce

Ed ecco che subito una luce scaturì dall’ogdoade di lassù, attraversò tutti i cieli della terra.

Quando l’archigenitor vide che la luce era bella, mentre splendeva, ne rimase affascinato ed ebbe vergogna.

Durante   la   manifestazione   di   questa   luce   apparve   in   essa un’immagine  umana  molto meravigliosa, che  nessuno  vide  a eccezione dell’archigenitor e della prònoia che è con lui.

Ma la sua luce si manifestò a tutte le forze dei cieli;

perciò furono tutte eccitate da essa.

 

Allorché la prònoia vide l’angelo, gli si affezionò;

ma lui l’odiava poiché  essa  era  nella  tenebra.

Essa  voleva  unirsi a  lui;

ma  non le riusciva.

Non potendo essa appagare il suo amore, effuse la propria luce sulla terra.

 

Da  quel  giorno,  quell’angelo  fu  chiamato  Adamo-luce,  il cui significato è «l’uomo dal sangue luminoso» ;

e la terra si distese su di lui, (sul) santo Adamas, il cui significato è «terra santa adamantina».

 

Da quel giorno, tutte le potenze venerarono il sangue della vergine;

e  dal sangue  della vergine, la terra fu purificata;

inoltre  l’acqua fu purificata dalla immagine  della Pistis  Sofia, apparsa  sulle  acque all’archigenitor.

 

Giustamente, dunque, fu detto: «dalle acque».

L’acqua santa, infatti, vivifica  tutto, e lo purifica.

 

Eros

Da questo primo sangue apparve l’eros, che è bisessuato.

La sua mascolinità è Himeros: un fuoco che viene dalla luce.

 

La femminilità, che è in lui, è un’anima di sangue: essa deriva dalla sostanza della prònoia.

 

Nella sua bellezza, esso è molto bello, poiché possiede più grazia lui di tutte le creature del caos.

Perciò tutti gli dèi e i loro angeli quando videro l’eros, se ne innamorarono.

Ma appena si manifestò a tutti loro, li infiammò.

 

Come da una sola lampada si accendono molte lampade e ne risulta un’unica luce, ma la lampada non scema, così si diffuse l’eros tra tutte le creature del caos senza scemare.

 

Allorché dal luogo di mezzo, posto tra la luce e le tenebre, si  manifestò  l’eros  tra  gli  angeli  e  gli uomini,  si  compì l’accoppiamento dell’eros.

Così, sulla terra, nacque  il primo piacere sensuale.

 

La donna seguì la terra, il matrimonio seguì la donna, la procreazione seguì il matrimonio, la morte seguì la procreazione.

 

Dopo quell’eros, dal sangue che era stato versato sulla terra, crebbe la vite;

perciò coloro che lo (il vino) bevono fanno sorgere in se stessi il desiderio all’accoppiamento.

 

I Dopo la vite, sulla terra crebbe il fico e il melograno, e gli altri alberi secondo la loro specie aventi in se stessi i propri  semi, dal seme delle potenze e dei loro angeli.

 

Paradiso

La giustizia, allora, creò il bel paradiso, al di fuori del cielo della luna e del ciclo del sole, in una regione rigogliosa, a oriente, sita in mezzo alle pietre;

e in mezzo ad alberi belli e alti, c’era il desiderio.

 

L’albero della vita degli immortali, manifestato dal volere di Dio, è sito nella parte settentrionale del paradiso, per rendere immortali le anime  dei  santi,  quelle  che  provengono  dalle opere della povertà, allorché avverrà il termine dell’eòne.

 

Il colore dell’albero della vita è come il sole;

i suoi rami sono belli;

le sue foglie sono come quelle del cipresso;

il suo frutto è splendente come grappoli d’uva;

la sua altezza raggiunge il cielo.

Vicino a esso si trova l’albero della gnosi, il quale ha la forza di Dio;

il suo splendore è come la luna, quando è molto splendente;

i suoi rami sono belli;

le sue foglie sono come le foglie di fico;

il suo frutto è come i buoni e magnifici datteri.

 

Esso è sito nella parte settentrionale del paradiso per scuotere le anime dal sonno dei demoni, affinché vengano dall’albero della vita, mangino del suo frutto, e condannino le potenze e i loro angeli.

 

L’effetto (prodotto) da quest’albero è descritto (così) nel «Libro sacro»:

Tu sei l’albero della gnosi, quello che è nel paradiso quello dal quale ha mangiato il primo uomo.

Esso aprì la sua intelligenza, esso amò la sua co-immagine condannò  le altre immagini estranee, e ne ebbe ripugnanza.

 

E dopo di questo spuntò l’ulivo, che purificherà i re e i sommi sacerdoti  della  giustizia  che  si  manifesteranno negli  ultimi  giorni;

l’ulivo  si  era  manifestato  dalla  luce  del  primo  Adamo, a  motivo dell’unzione che se ne riceve.

 

Ma la prima anima amò l’eros che si trovava con lei: per amor suo ella versò il proprio sangue su di lui e anche sulla terra.

Prima di tutto, da quel sangue spuntò sulla terra, dal roveto, la rosa, per la gioia della luce che si manifesterà nel roveto;

poi, da ogni vergine delle figlie di prònoia, spuntarono ancora sulla terra giorni belli e profumati secondo le loro speci.

In seguito, avendo amato Eros, esse versarono il loro sangue  su di lui e anche sulla terra.

 

Dopo, spuntarono sulla terra tutte le piante, secondo le loro speci, aventi i-semi delle potenze e dei loro angeli.

 

Dopo, le potenze crearono dall’acqua tutti gli animali secondo le loro speci, i rettili e gli uccelli secondo le loro speci, aventi i semi delle potenze e dei loro angeli.

 

Ritorno di Adamo-luce

Ma prima di tutto ciò, egli (Adamo-luce) si era manifestato nel primo giorno ed era rimasto sulla terra circa due giorni;

lasciò nei cieli la Prònoia inferiore, e iniziò l’ascesa alla sua luce;

e subito la tenebra venne su tutto il mondo.

 

Ora quando Sofia, che era nel cielo inferiore, volle ricevere una potenza (proveniente) dalla Pistis, creò  i grandi luminari e  tutte  le stelle, le pose in cielo affinché illuminino la terra e compiano i segni del tempo, i tempi, gli anni, i mesi, i giorni, le notti, i momenti e tutto il resto.

In cielo, fu così dato ordine a tutto lo spazio.

 

Ma  quando  Adamo-Luce  volle entrare  nella  sua  luce,  cioè nell’ogdoade, non vi riuscì a causa della povertà mescolatasi con la sua luce.

Allora si creò un grande eòne;

in questo eòne creò sei eòni e I loro mondi, cioè un totale di sei, che sono sette volte superiori ai cieli del caos e ai loro mondi.

Tutti questi eòni e i loro mondi si trovano in un luogo illimitato, tra l’ogdoade  e  il caos, che  è  sotto  di essa: appartengono al mondo della povertà.

Se tu vuoi conoscere la loro disposizione,  la  troverai  scritta  nel  «Settimo  cosmo  del  profeta Hieralias».

 

Prima che Adamo-Luce si allontanasse dal caos, le potenze lo videro  e  risero  dell’archigenitor, poiché  era  stato  menzognero, allorché disse: «Io sono dio.

Prima di me non c’è alcuno».

Andate da lui, dissero: «Non è questo il dio che ha distrutto la nostra opera?»

Egli rispose e disse: «Sì! Se volete che non distrugga più la nostra opera, venite, formiamo un uomo, dalla terra, a immagine del nostro corpo, e a somiglianza di quello, affinché sia a.

nostro servizio;

egli, vedendo la sua somiglianza, le vorrà bene, e non distruggerà più la nostra opera;

così per tutto  il tempo  di questo  eòne, ridurremo  al nostro servizio quanti saranno tratti dalla luce».

 

Adamo psichico

Tutto  ciò  avvenne  conformemente alla prescienza  della  Pistis, affinché l’uomo sia manifesto davanti alla sua somiglianza ed egli li condanni attraverso la loro creatura;

e la loro creatura diventò  una  siepe  per  la  luce.

Allora le potenze  ricevettero  la conoscenza (necessaria) per formare l’uomo.

Ma la Sofia Zoe, quella che sta presso Sabaoth, li precedette e derise la  loro  deliberazione,  dicendo:  «Nella  loro  ignoranza,  sono  ciechi! L’hanno formato contro se stessi, ignorano ciò che faranno».

Perciò essa li prevenne e formò prima il suo uomo, affinché egli istruisse la loro creatura.

Nella misura in cui essa li avrà disprezzati, nella stessa misura ne sarà liberata.

La nascita dell’istruttore avvenne in questo modo: quando la Sofia emise una goccia di luce, questa si proiettò sull’acqua, e subito apparve l’uomo  bisessuato.

Questa goccia assunse prima  (sull’acqua)  le sembianze  di un corpo  femminile;

poi assunse  le  sembianze  di un corpo a somiglianza della madre, che era apparsa, e si completò in dodici mesi: nacque  un uomo  bisessuato, che  i Greci chiamano Ermafrodite.

Ma gli Ebrei chiamano sua madre «Eva della vita», cioè «istruttrice della vita».

Suo figlio è la creatura, il signore.

Le potenze lo chiamarono poi «la bestia», perché egli fuorviò le loro creazioni.

Il significato di «la bestia» è «l’istruttore»: apparve infatti che egli era più intelligente di tutti loro.

 

Inno di Eva

Eva, tuttavia, è la prima  vergine;

è  colei  che  generò  senza  il maschio;

è colei che si è guarita da sola.

Per tal motivo si dice che lei abbia detto:

«Io sono la parte di mia madre, e io sono la madre, io sono la femmina, io sono la vergine, io sono la gestante, io sono la medichessa, io sono la consolatrice delle pene.

Il mio uomo è colui che mi ha generato: io sono sua madre, egli è il mio padre e il mio signore, egli è la mia forza, ciò che vuole egli lo dice: a ragione sono nascente, ma ho generato un uomo signore».

Per volere (divino) questo fu svelato alle anime di Sabaoth e del suo Cristo venute per le creature delle potenze, ed è a loro riguardo che la voce santa disse: «Crescete e moltiplicatevi ! Siate signori di tutte le  creature».

E  queste,  ognuna  secondo  la  sua  sorte,  furono  fatte prigioniere dall’archigenitor e rinchiuse nelle prigioni delle creature fino alla fine dell’eòne.

 

Adamo terrestre

In quel tempo, a coloro che erano con lui, l’archigenitor comunicò una deliberazione a proposito dell’uomo;

allora ognuno di loro gettò il proprio seme in mezzo all’ombelico della terra.

Da quel giorno, i sette arconti plasmarono l’uomo: il suo corpo assomigliava al loro corpo, ma la sua immagine assomigliava a quella dell’uomo che era stato loro manifestato.

La sua creazione ebbe luogo secondo le singole parti di ognuno (di loro);

allora il loro capo formò il cervello e le midolla;

poi apparve come colui che era prima di lui.

Egli diventò un uomo psichico e fu chiamato «Adamo», cioè «il padre» conforme al nome di colui che era prima di lui.

Quando ebbero finito Adamo, egli lo mise in un vaso, poiché aveva l’aspetto di un aborto, non essendoci in lui lo spirito.

Perciò il grande arconte, riflettendo alla parola della  Pistis, ebbe  paura  che  il  vero (uomo) entrasse nella sua creatura e ne diventasse padrone.

Quindi, lasciò la sua creatura, per quaranta giorni, priva di anima: si ritrasse e la lasciò.

Ma  in questi quaranta  giorni la  Sofia  Zoe  mandò  il suo  alito  a Adamo nel quale non c’era anima: egli iniziò a muoversi sulla terra, ma non poteva tenersi ritto.

Giunti i sette arconti, lo videro e ne rimasero sbalorditissimi: gli si avvicinarono, lo afferrarono, ed egli ( Jaldabaoth) domandò  all’alito che era in lui: «Chi sei tu? E donde sei venuto in questi luoghi ?» Egli rispose e disse: «Sono venuto per mezzo della forza dell’uomo, per annientare la vostra opera».

Udito ciò, lo lodarono, avendo egli dato loro  quiete  in  luogo della  paura  e  della  preoccupazione in cui si trovavano.

Chiamarono  quel  giorno «il riposo», poiché  avevano trovato la quiete dalla fatica.

Allorché si accorsero che Adamo non poteva tenersi ritto, se ne rallegrarono, lo portarono via, lo posero nel paradiso e se ne ritornarono nei loro cieli.

Dopo il giorno del riposo, Sofia Zoe mandò sua figlia, chiamata Eva, come  istruttrice  per  destare Adamo, nel  quale  non  v’era  anima, affinché  coloro  che egli  avrebbe  generato,  e  sono  molti,  fossero recipienti di luce.

Quando Eva vide giacere la sua co-immagine, ne ebbe compassione, e disse: «Adamo, vivi ! Alzati da terra !» La sua parola diventò realtà.

Adamo, infatti, s’alzò e  aprì subito gli occhi.

Allorché la vide, disse: — Sarai chiamata «la madre dei viventi», poiché tu mi hai dato la vita —.

Alle potenze, fu allora comunicato che la loro creatura  viveva   e  s’era  alzata: ne rimasero  sbalorditissime;

mandarono sette arcangeli per vedere ciò che era accaduto.

Andarono da Adamo.

Allorché videro Eva che parlava con lui, dissero l’un l’altro: «Che cos’è  questa  luce?  Essa,  infatti,  rassomiglia  all’immagine che  ci  è apparsa nella luce.

Orsù, afferriamola, gettiamo in lei il nostro seme affinché, una volta macchiata, non possa più risalire alla sua luce, e quelli  che  partorirà  saranno  soggetti    a  noi.

Ma  non  diciamo  a Adamo che ella non proviene da noi;

adduciamo su di lui un sonno d’oblio, e durante il suo sonno insegnamogli che essa è sorta dalla sua costola, affinché  la femmina gli sia soggetta ed egli sia signore su di lei».

Allora Eva, divenuta forza, derise la loro deliberazione.

Velò i loro occhi, lasciò la propria immagine nascosta presso Adamo, entrò nel l’albero della gnosi e vi rimase.

Essi (tentarono)  di inseguirla;

ed essa manifestò loro che era entrata nell’albero ed era diventata un albero.

Colpiti da grande paura, / ciechi  fuggirono.

Destatisi poi dal sonno, si recarono da Adamo e, vedendo presso di lui l’immagine di lei, rimasero sbalorditi poiché pensavano che questa fosse la vera Eva;

pieni di audacia, le si avvicinarono, la afferrarono, gettarono in lei il loro  seme:  compirono tanti trucchi  contaminandola  non  solo  in modo naturale, ma in modo abominevole, contaminando il sigillo della sua prima voce, che aveva parlato loro, dicendo: — Che cos’è che esiste prima di voi? — Ma è impossibile che essi possano contaminare quanti affermano  di essere  generati  nel  compimento  ( συντέλεια  ) dell’uomo vero, per mezzo della parola.

Essi incorsero in errore poiché ignoravano  di avere  contaminato  i loro  corpi.

Le  potenze  e  i loro angeli contaminarono, in ogni maniera, l’immagine.

Anzitutto lei restò incinta di Abele, dal primo arconte;

poi degli altri figli che partorì dalle sette potenze e dai loro angeli.

Ora, tutto ciò avvenne  conformemente  alla  prescienza  del- l’archigenitor,  affinché la  prima  madre  generasse  in se  stessa  ogni seme  mescolato  e  adattato  alla  Heimarméne  del  mondo,  ai  suoi «Schemata», alla sua giustizia.

Per Eva fu disposto un piano di modo che le creature delle potenze diventassero siepi per la luce.

Allora essa le condannerà attraverso le loro creature.

 

Octamerone

Ora, il primo Adamo  della luce è pneumatico: egli fu manifestato nel primo giorno.

Il secondo Adamo è psichico: egli fu manifestato nel quarto giorno, detto il giorno di Afrodite.

Il terzo Adamo è terreno, cioè legale: egli fu manifestato nell’ottavo giorno, cioè il riposo dalla indigenza, detto «giorno del sole».

 

Tentazione e «caduta»

La posterità dell’Adamo  terreno  fu  numerosa  e  completò  (la terra);

produsse in se stessa tutte le conoscenze dell’Adamo psichico.

Ma (quanto) al tutto era nell’ignoranza.

Allora io proseguo: quando gli arconti videro che egli e quella che era  con  lui  vagavano  nell’ignoranza, come gli  animali,  se  ne rallegrarono molto.

Ma allorché capirono che l’uomo immortale non solo non li avrebbe trascurati, ma che essi avrebbero temuto anche colei che si era fatta albero, rimasero costernati;

dissero: «Non sarà costui il vero uomo che ci ha accecato e ci ha fatto conoscere quella che fu contaminata e gli assomigliava, per poterci vincere?».

Tennero allora consiglio i sette (arconti).

Andarono timorosi da Adamo ed Eva;

dissero a lui: «Tutti gli alberi che si trovano nel paradiso sono stati creati  per  voi,  mangiatene  i frutti  ma  guardatevi  dall’albero  della gnosi;

non mangiatene.

Se ne mangerete, morirete».

Instillata loro una grande paura, se ne ritornarono alle loro potenze.

Venne,  allora,  colui  che  è  più saggio di tutti loro,  chiamato  «la bestia».

E quando vide l’immagine della loro madre Eva, disse a lei: — Che  cos’è  che vi ha  detto  dio:  non  mangiate  dell’albero   della gnosi?».

Lei rispose: «Ha detto: Non solo “non mangiatene”, ma: non toccatelo, affinché non moriate».

Egli disse loro: Non abbiate paura! Non morirete.

Sappiate  infatti  che  se  ne  mangerete   la  vostra intelligenza si desterà  e  sarete  come  gli dèi, poiché  conoscerete  la differenza che c’è tra gli uomini buoni e i cattivi.

Essendo invidioso, vi ha detto questo affinché non ne mangiate.

Eva ebbe fiducia nelle parole dell’istruttore.

Guardò l’albero, vide che era bello, alto e lo desiderò;

prese del suo frutto, mangiò ne diede pure a suo marito, il quale ne mangiò.

La loro intelligenza allora si aprì.

Infatti, dopo che ne ebbero mangiato, la luce della gnosi li illuminò.

Allorché si vestirono di vergogna, si accorsero di essere nudi rispetto alla gnosi.

Allorché si destarono, videro che erano nudi e si innamorarono l’uno dell’altra.

Quando videro quelli che  li avevano plasmati, ne ebbero disgusto, poiché avevano forma di animali;

essi impararono molte cose.

Quando gli arconti seppero che avevano trasgredito il loro ordine, con fracasso e minaccia grande si recarono da Adamo ed Eva, nel paradiso,  per  vedere  l’effetto  dell’aiuto.

Adamo  ed Eva  ne  furono atterriti: si nascosero  sotto  gli alberi del paradiso.

Gli arconti, non sapendo dove si trovavano, dissero: – Adamo, dove sei? – Egli rispose: Sono qui.

Dalla paura che ho di voi, mi nascosi, avendo vergogna – Essi, nell’ignoranza, gli dissero: – Chi ti ha parlato della vergogna di cui ti sei vestito se non (il fatto) che hai mangiato di quest’albero? – Egli rispose: – La donna che mi hai dato, me l’ha offerto: io ho mangiato – Dissero allora (alla donna): – Che hai fatto ? -Lei rispose: – Mi ha incitata l’istruttore, e io ho mangiato.

Gli arconti andarono allora dall’istruttore.

Ma i loro occhi furono da lui   accecati;

non  poterono   fargli   nulla;

essendo impotenti, lo maledissero.

Si recarono quindi dalla donna: maledirono lei e i suoi figli.

Dopo la donna, maledissero Adamo, la terra, per causa sua, e i frutti;

maledissero  tutte  le  cose  che  avevano  formato.

In loro  non rimase alcuna benedizione:  a causa del male, non ebbero più forza alcuna per generare il bene.

Da  quel  giorno,  le  potenze  si  accorsero  che  prima  di  loro  c’è realmente  uno  più  forte  di  loro;

conobbero  soltanto  che  essi  non avevano osservato il loro comandamento.

Introdussero nel mondo una grande invidia esclusivamente a motivo dell’uomo immortale.

Ma quando gli arconti videro che il loro Adamo era pervenuto a un’altra  gnosi,  vollero  metterlo  alla  prova.

Radunarono  tutti  gli animali, le bestie  della terra e  gli uccelli del cielo: li portarono da Adamo  per vedere  come  li avrebbe  chiamati.

Quando  egli li vide, diede i nomi alle loro creature: essi si stupirono che Adamo si fosse destato da tutto il torpore.

Si radunarono, deliberarono, e dissero: – Ecco, Adamo è diventato come uno di noi.

Ormai conosce la differenza tra la luce e le tenebre;

ora, affinché non sia ingannato come fu per l’albero della gnosi, e non si accosti all’albero della vita, ne mangi, diventi immortale, abbia il dominio, ci disprezzi, consideri follia noi e tutte la nostra gloria, condanni noi e il mondo, orsù scacciamolo dal paradiso giù sulla terra dalla quale fu tratto, affinché d’ora in poi non possa conoscere qualcosa meglio di noi -.

E così cacciarono dal paradiso Adamo e sua moglie.

Ma non contenti di quanto avevano fatto, pieni di paura, andarono dall’albero della vita, lo cinsero di grande spavento, di esseri infuocati, detti cherubini, e posero in mezzo una spada infuocata che gira in ogni momento (incuotendo)  un  terribile spavento, affinché  nessuno  dei terrestri (osi) più recarsi in quel luogo.

Dopo di ciò allorché gli  arconti, invidiosi di Adamo,  vollero ridurre il tempo della durata della loro vita, non riuscirono a causa della Heimarmene, che è stabilita fin dall’inizio;

i tempi della loro vita, infatti, erano stati fissati: per ogni (uomo) mille anni, conforme al corso dei luminari.

Ma  siccome  gli arconti non riuscirono  a  fare  questo, ognuno  di coloro che operano il male, toglie dieci anni (al corso della propria vita);

sicché tutto questo tempo ammonta a novecentotrenta anni: e

questi nella tristezza, nella fragilità, e in penose agitazioni.

In tal modo, da quel giorno in poi, il corso della vita va diminuendo fino al termine dell’eòne.

Allorché la Sofia Zoe vide che gli arconti delle tenebre avevano maledetto la sua co-immagine, ne fu sdegnata.

Uscita dal primo cielo con tutte le forze, allontanò gli arconti fuori dai loro cieli e li scacciò giù nel mondo peccatore affinché quivi, sulla terra, diventassero come i demoni maligni.

 

Fenice, due tori, coccodrillo

Lei  mandò un uccello affinché fossero nel loro mondo i mille anni del paradiso, un animale pieno di vita, detto la fenice.

Esso muore e si ravviva quale testimonio del giudizio contro di essi, poiché agirono ingiustamente verso Adamo e la sua stirpe fino al termine dell’eòne.

Fino al termine del mondo vi sono tre uomini con le loro stirpi: il pneumatico dell’eòne, lo psichico, e il terrestre.

Allo stesso  modo  tre  sono  le  fenici  del  paradiso:  la  prima  è immortale;

la seconda dura mille anni;

della terza è scritto, nel Libro Sacro, che sarà consumata.

Allo stesso modo, vi sono tre battesimi: il primo è pneumatico;

il secondo è di fuoco;

il terzo è di acqua.

Come la fenice è un evidente testimonio contro gli angeli, così, in Egitto, i coccodrilli  sono come testimoni di coloro che discendono per il battesimo di un vero uomo.

I due tori, che si trovano in Egitto, hanno come mistero il sole e la luna, poiché sono i testimoni di Sabaoth, il quale è al di sopra di essi, Sofia infatti ha ricevuto il mondo, dal giorno in cui essa ha creato il sole e la luna, e ha posto il sigillo sul suo cielo fino al (termine di questo) eòne.

Ma il verme generato dalla fenice è anche un uomo;

a suo riguardo sta scritto: «Il giusto crescerà come una fenice» ;

ora la fenice prima appare viva, poi muore, e risorge nuovamente, essendo essa un segno per colui che si manifesterà al termine dell’eòne.

Questi grandi segni apparvero soltanto in Egitto.

Nessun’altra regione è contrassegnata così da assomigliare al paradiso di Dio.

 

L’UOMO E IL SUO MONDO: Illusione

Ma ritorniamo agli arconti, dei quali abbiamo parlato, per offrirne una esposizione.

Quando, infatti, questi sette arconti furono scacciati dai loro cieli sulla terra, si crearono degli angeli, cioè molti demoni, al loro servizio;

e  costoro  insegnarono agli uomini tanti  errori: magia, incantesimi, idolatria, spargimento di sangue, altari, templi, sacrifici, e libagioni per tutti  i dèmoni  della  terra,  i quali  hanno  come  collaboratrice  la Heimarmene     creata    conformemente    all’accordo    degli    dèi dell’ingiustizia e della giustizia.

Il mondo incorse così nella divisione, e cadde nell’errore.

Mentre, infatti, dalla creazione fino alla fine, in ogni tempo, tutti gli uomini che erano  sulla  terra  servivano  i demoni  –  gli angeli  (servivano) la giustizia, e gli uomini (servivano) l’ingiustizia -, il mondo cadde nella divisione, nell’ignoranza e  nell’oblio.

Tutti incorsero  nell’errore  fino all’arrivo  del  vero  uomo.

Ecco  quanto  basta,  per  voi,  su  questo argomento.

 

Verso il compimento

Veniamo  ora  nel  nostro  mondo  per  portare  a  termine,  con precisione,  (la  discussione  circa)  la  sua  struttura  e  il  suo  governo.

Allora si manifesterà nella misura in cui si troverà la fede in ciò che è nascosto, e manifestato dalla creazione fino al termine dell’eòne.

 

l piccoli beati, il logos

Vengo  però  ai  punti  centrali a  proposito dell’uomo  immortale.

Parlerò di tutti i suoi, del perché si trovano in questi luoghi.

Una moltitudine di uomini derivano dall’Adamo, che essi hanno plasmato.

In conseguenza della materia, gli arconti diventarono signori del  mondo,  allorché  esso  si  riempì,  cioè  lo hanno  trattenuto nell’ignoranza.

Per qual motivo? È perché il Padre immortale sa che dalla verità scaturì una deficienza negli eòni e nei loro mondi;

perciò allorché volle esautorare gli arconti della rovina nelle loro creazioni, ha mandato nel mondo  della rovina le  vostre  immagini, cioè  gli spiriti innocenti, i piccoli beati.

Questi non sono estranei alla gnosi.

Tutta la gnosi è, infatti, in un angelo, il quale appare davanti a loro.

Costui sta davanti al Padre, e non è impotente a dare a essi la gnosi.

[Tutta la gnosi è, infatti, in un angelo il quale appare davanti a loro.

Costui sta davanti al Padre, e non è impotente a dare a essi la gnosi].

Ora che si manifestano nel mondo della rovina, svelano anzitutto il prototipo dell’immortalità, a condanna degli arconti e delle loro forze.

Allorché i beati apparvero nelle creazioni delle potenze, queste ne ebbero invidia;

e, a motivo dell’invidia, le potenze vollero mescolare con essi il proprio seme per contaminarli.

Ma non riuscirono.

Allorché i beati si manifestarono agenti di luce, si manifestarono in modo diverso;

ognuno di essi, dalla propria terra, svelò la sua gnosi della  chiesa,  che  si  era  manifestata  nelle  creature  della  rovina:  si constatò che essa ha tutti i semi, a motivo del seme delle potenze che era mescolato con essa.

Il salvatore, infatti, creò una liberazione da ognuno di tutti loro, e gli spiriti di costoro manifestano di essere scelti e beati, ma diversi a seconda della elezione: molti altri, che non hanno re, sono più scelti di quanti  furono  prima  di  loro.

Sicché  vi  sono quattro stirpi.

Tre appartengono ai re dell’ogdoade;

la quarta stirpe, invece, è senza re e perfetta, dato che è al di sopra di tutte le altre.

Queste entreranno, infatti, nel luogo santo del Padre loro, avranno pace nel riposo, eterna e inesprimibile gloria, interminabile gioia.

Ma esse, come immortali, sono (già) re sul (regno) mortale.

Condanneranno gli dèi del caos e le loro forze.

Il logos, che è al di sopra di tutti, fu perciò mandato esclusivamente a questo scopo: proclamare quanto non è conosciuto.

Egli disse: «Nulla c’è di nascosto che non sia manifestato, e quanto non è conosciuto, sarà conosciuto».

Queste furono mandate per  manifestare  ciò  che  è nascosto, anche le sette potenze del caos e la loro empietà: in tal modo le hanno condannate a morte.

 

LA CONSUMAZIONE FINALE: Escatologia

Allorché  tutti  i perfetti  apparvero nelle creature degli  arconti  e svelarono l’incomparabile verità, essi umiliarono tutta la sapienza degli dèi, e la loro Heimarmene apparve come una condanna;

la loro forza si spense;

il loro dominio fu sciolto;

la loro prescienza (pronoia) e le loro glorie divennero inesistenti.

 

Prima della fine dell’eòne, in seguito a un grande terremoto, tutto il luogo vacillerà.

Allora gli arconti piangeranno e  gemeranno  sulla loro  morte;

gli angeli  compiangeranno  i loro  uomini,  i dèmoni compiangeranno  i  loro  tempi,  e  i loro  uomini  si  lamenteranno  e grideranno sulla loro morte.

 

Poi avrà inizio l’eòne ed essi saranno sbalorditi.

I suoi re saranno ebbri dalla spada di fuoco, e combatteranno gli uni contro gli altri, tanto  che  la terra sarà ebbra dal sangue  versato  e  i mari saranno sconvolti da quelle guerre.

Il sole, allora, si oscurerà e la luna perderà la sua luce;

le stelle del cielo violeranno il loro corso e da una grande forza,  che  è  al  di  sopra  di  tutte  le  forze  del  caos  ove  si  trova  il firmamento della donna, verrà un tuono possente.

 

Questa (la donna) che ha creato la prima realtà, deporrà l’astuto fuoco dell’intelligenza, indosserà la collera della follia.

Scaccerà gli dèi del  caos,  da  essa  creati,  e  l’archigenitor;

li getterà  giù  nell’abisso;

saranno annientati a motivo delle loro ingiustizie, diverranno come vulcani in eruzione e si divoreranno l’un l’altro, fino a che saranno distrutti dal loro archigenitor.

 

Dopo averli distrutti, (l’archigenitor) si volgerà contro se stesso per distruggersi fino a scomparire: i loro cieli, cadranno l’uno sull’altro e le loro  forze  bruceranno.

Anche  i  loro  eòni  saranno  sconfitti.

Il suo (dell’archigenitor) cielo cadrà e si spaccherà in due, il suo mondo cadrà sulla  terra  ed  essa  non  potrà  reggerli:  cadranno  giù  nell’abisso  e Vabisso ne rimarrà distrutto.

 

La luce stroncherà le tenebre e le annienterà: diverranno come ciò che non è mai esistito;

la realtà che aveva seguito le tenebre si dissolverà, la deficienza sarà estirpata alla radice (e gettata) giù nelle tenebre;

e la luce ritornerà alla sua radice.

 

Apparirà la gloria del non  generato e colmerà tutti gli  eòni, allorquando saranno svelate la profezia e l’annunzio di coloro che sono re, e avranno compimento  attraverso coloro che sono  chiamati «perfetti».

 

Quelli  che  non  sono  divenuti  perfetti  nel  Padre  non  generato, riceveranno le loro glorie nei loro eòni e nei regni degli immortali;

ma non arriveranno mai all’assenza di re.

 

È necessario, infatti, che ciascuno vada nel luogo dal quale è venuto.

 

Poiché  con la  sua condotta  e  con la  sua  gnosi,  ognuno  svelerà  la propria natura.