a cura di Hans Jonas
- a) Il principio speculativo del valentinianis
Valentino e la sua scuola rappresentano il culmine di ciò che abbiamo chiamato in questo studio, in mancanza di un termine migliore, il tipo siro-egiziano di speculazione gnostica.
Il principio distintivo di codesto tipo è il tentativo di porre l’origine delle tenebre e quindi della frattura dualistica dell’essere “all’interno” della divinità stessa, e quindi di sviluppare la tragedia divina, la necessità di salvezza che ne deriva, e la dinamica di questa stessa salvezza, come una sequenza di eventi all’interno del divino.
Inteso in senso radicale, questo principio fa sorgere il compito di derivare non soltanto fatti spirituali quali la passione, l’ignoranza, la malvagità, ma la natura stessa della “materia”, in contrasto con lo spirito, da una sorgente spirituale primitiva:
la sua esistenza stessa va spiegata in termini di storia divina;
e ciò significa in termini “mentali”, e, in considerazione della natura del prodotto finale, più particolarmente in termini di errore e fallimento divino.
In tal modo, la materia apparirebbe una funzione piuttosto che una sostanza in se stessa, uno stato o «affezione» dell’essere assoluto, e l’espressione esterna solidificata di quello stato:
la sua esteriorità stabile in realtà non è altro che un prodotto residuo di un movimento deteriorante di “introversione”, che rappresenta e stabilizza il livello più basso della defezione dell’assoluto da se stesso.
Ora, a parte l’interesse teoretico, il significato religioso di tale compito speculativo sta nel fatto che, in questo sistema, «conoscenza» e il suo opposto privativo «ignoranza» sono situati in una posizione “ontologica” di prim’ordine:
entrambi sono princìpi di esistenza totale e oggettiva, non semplicemente di esperienza privata e soggettiva.
La loro funzione è costitutiva della realtà nel suo insieme.
L’«ignoranza», anziché essere, come è in genere nel pensiero gnostico, un “risultato” dell’immersione divina nel basso mondo, qui essa è piuttosto la causa prima dell’esistenza stessa del basso mondo, il suo principio originante come pure la sua “sostanza” permanente:
per quanto numerosi possano essere gli stadi intermedi attraverso cui la materia, questo stadio in apparenza ultimo, è collegata con l’unica sorgente suprema, nella sua essenza non è altro che la forma oscurata ed estraniata da sé di ciò con cui essa sembra essere in opposizione – “proprio come ignoranza”, suo principio sottostante, “è la maniera oscurata del suo opposto, la conoscenza”.
Perché la conoscenza è la condizione originaria dell’Assoluto, il fatto primordiale, e l’ignoranza non ne è soltanto l’assenza in un soggetto senza connessione con la conoscenza, ma è una perturbazione che ha colpito una parte dell’Assoluto, che proviene da motivi suoi propri e sfocia in una condizione negativa ancora collegata a quella originaria di conoscenza in quanto rappresenta la mancanza o pervertimento di essa.
E’ perciò uno stato derivato, quindi revocabile, e così è anche la sua manifestazione esterna o prodotto ipostatizzato:
la materialità.
Ma se è questa la funzione ontologica dell’«ignoranza», allora anche la «conoscenza» assume uno stato ontologico che va molto oltre la semplice importanza morale e psicologica che le viene attribuita;
e la pretesa di redenzione avanzata in virtù di essa in ogni religione gnostica, riceve qui un fondamento metafisico nella dottrina dell’esistenza totale che la fa diventare, in modo convincente, il solo e sufficiente veicolo di salvezza, e questa salvezza stessa in ogni anima diviene un “evento cosmico”.
Perché se non soltanto la condizione spirituale della persona umana, ma anche la stessa esistenza dell’universo è costituita dai risultati dell’ignoranza e come sostanzializzazione dell’ignoranza, allora ogni illuminazione individuale tramite la «conoscenza» aiuta ad annullare di nuovo il sistema totale sostenuto da quel principio;
e, poiché tale conoscenza trasferisce infine l’io individuale nel regno divino, ha anche una funzione nella reintegrazione della stessa divinità sminuita.
Così questo tipo di soluzione del problema teoretico dei primi inizi e delle cause del dualismo, se avesse successo, stabilirebbe la posizione assoluta della gnosi nello schema soteriologico:
dall’essere una condizione adatta per la salvezza, pur richiedendo la cooperazione della grazia divina e dei sacramenti, dall’essere un mezzo tra altri mezzi, essa diventa la forma adeguata della salvezza stessa.
Un’aspirazione originale di tutto il pensiero gnostico viene qui ad essere realizzata.
Che la conoscenza influisca non solo sul conoscente, ma sul conosciuto stesso;
che il fondamento oggettivo dell’essere sia alterato e modificato da ogni atto «privato» di conoscenza;
che soggetto ed oggetto siano gli stessi in essenza (sebbene non nello stesso grado) – sono, questi, princìpi di una concezione mistica della «conoscenza» che può ancora avere una base razionale in adatte premesse metafisiche.
Con la pretesa orgogliosa che il loro sistema rappresentasse di fatto la soluzione al compito speculativo così inteso e fornisse le basi teoretiche per la sufficienza mistica della «sola gnosi», i Valentiniani potevano dire, respingendo tutto il rituale misterico e i sacramenti:
«Non si deve compiere il mistero del potere ineffabile e invisibile per mezzo delle cose visibili e corruttibili della creazione, né quello degli esseri impensabili e immateriali per mezzo delle cose sensibili e corporee.
La “salvezza perfetta” è la “conoscenza” stessa dell’ineffabile grandezza:
perché essendo venuti attraverso l”Ignoranza’, il ‘Difetto’ e la ‘Passione’, tutto il sistema generato dall’Ignoranza è dissolto dalla conoscenza.
Perciò la conoscenza è la salvezza dell’uomo interiore;
e non è corporea, perché il corpo e corruttibile;
non è psichica, perché anche l’anima è un prodotto del difetto ed è come un abitacolo per lo spirito:
spirituale deve essere perciò anche la [forma della] salvezza.
Per mezzo della conoscenza l’uomo interiore, spirituale, è salvato;
perciò “a noi è sufficiente la conoscenza dell’essere universale”:
questa è la vera salvezza»
Questa è la grande «equazione pneumatica» del pensiero valentiniano:
l’evento umano individuale della conoscenza pneumatica è l’inverso equivalente dell’evento precosmico universale dell’ignoranza divina, e nel suo effetto redentivo è dello stesso ordine ontologico.
L’attualizzazione della conoscenza nella persona è nello stesso tempo un atto che si ripercuote nel fondamento generale dell’essere.
Abbiamo anticipato il risultato della speculazione valentiniana ed ora come argomento probante tale risultato presentiamo il sistema stesso.
Precedentemente nel pensiero gnostico abbiamo incontrato due diverse figure simboliche che rappresentano nel loro fato la caduta divina:
I’Uomo Primordiale, maschile;
il Pensiero di Dio, femminile.
Nei sistemi tipici della gnosi siro-egiziana è quest’ultima che personifica l’aspetto defettibile di Dio, in genere sotto il nome di «Sophia», ossia «Sapienza», nome paradossale in considerazione della storia di follia di cui essa è fatta protagonista.
Un’ipostasi divina si trova già nella speculazione giudaica post- biblica, la «Sapienza» (“hokmah”), che vi era considerata come aiuto di Dio o agente nella creazione del mondo, simile all’altra ipostasi della «Parola».
In che modo questa figura, o almeno il suo nome, sia stato combinato nel pensiero gnostico con la dea-luna, la dea-madre e la dea dell’amore della religione del Vicino Oriente, per formare quella figura ambigua che abbraccia l’intera scala dal più alto al più basso gradino, dal più spirituale al più sensuale (come è espresso dalla combinazione «Sophia-Prunikos», «Sapienza-Prostituta»), non possiamo sapere e in mancanza di documenti di qualsiasi stadio intermedio non possiamo nemmeno ricostruirne un’ipotesi.
Già fin dal tempo di Simone la figura è pienamente sviluppata in senso gnostico.
Ma l’elaborazione psicologica del suo destino è qui ancora rudimentale, la causa della sua caduta è più nel senso di un accidente capitato su di lei per motivo della sua progenie che nel senso di una motivazione interna.
In altri sistemi che si avvicinano alla forma valentiniana, il racconto della Sophia diviene il soggetto di elaborazioni sempre più estese, e la sua partecipazione psicologica diviene sempre più preminente.
L’approssimazione maggiore alla forma valentiniana è rappresentata dai Barbelognostici descritti da Ireneo, ora molto più conosciuti per mezzo dell’”Apocrifo di Giovanni”.
Essi, come gli Ofiti , hanno sentito la necessità, per poter spiegare tutta la grande estensione di condizioni rappresentate dall’aspetto femminile di Dio, di differenziare tale aspetto in una Sophia superiore e una Sophia inferiore, quest’ultima come forma decaduta della prima e portatrice di tutta la calamità divina e delle indegnità provenienti dalla caduta.
In entrambi i sistemi la differenziazione è espressa da nomi separati:
l’aspetto femminile originario di Dio è chiamato dai Barbelognostici «Barbelo» (forse «Vergine») e «Ennoia», dagli Ofiti «Spirito Santo» (questo per i Barbelognostici è uno dei nomi della forma decaduta);
il nome «Sophia» è riservato da entrambi i sistemi alla sua sfortunata emanazione chiamata anche «Prunikos» e «La Sinistra».
Questo sdoppiamento della Sophia è più completamente elaborato nel sistema valentiniano.
La particolare somiglianza dei Barbelognostici con i Valentiniani consiste nel fatto che entrambi hanno sviluppato una dottrina del Pleroma e usato il concetto di emanazione in coppie per la progressiva produzione fuori dell’unità divina, della quale i vari membri per i loro nomi astratti mostrano di essere aspetti differenti.
E’ con gli stessi mezzi formali, ma ad un livello superiore di scienza teoretica e di differenziazione spirituale, che Valentino ed i suoi seguaci hanno intrapreso la trattazione dello stesso tema speculativo.
Le nostre osservazioni analitiche all’inizio di questo capitolo hanno indicato il doppio compito che si è assunto la speculazione valentiniana:
da una parte quello di dimostrare il motivo intrinseco della degradazione divina senza l’intervento e persino partecipazione passiva di un agente esterno, dall’altra parte di spiegare la materia stessa come una condizione spirituale del soggetto universale.
Non pretendiamo che questi due temi fossero i soli interessi teoretici dei Valentiniani (o anche che per essi il fronte intellettuale in genere, piuttosto che quello immaginativo, abbia costituito il significato religioso del loro insegnamento);
ma la trattazione di quei temi particolari è certamente la parte più originale del loro pensiero che rappresenta quel contributo alla dottrina gnostica generale che giustifica il nostro modo di vedere in essi i rappresentanti più completi di tutto un tipo.
Valentino, il fondatore della scuola, nacque in Egitto e fu educato ad Alessandria;
insegnò a Roma all’incirca tra il 135 e il 160 d.C.
Egli è l’unico degli Gnostici che ebbe tutta una serie di discepoli conosciuti per nome, tra cui i più importanti furono Tolomeo e Marco.
I quali furono anch’essi capiscuola e insegnarono la loro versione personale della dottrina valentiniana.
Il principio speculativo del valentinianesimo di fatto invitava a sviluppi indipendenti dell’idea fondamentale da parte dei suoi aderenti;
e in realtà conosciamo meglio la dottrina nelle molteplici versioni ed elaborazioni della seconda generazione che nell’insegnamento autentico di Valentino stesso, di cui è rimasto molto poco nelle trattazioni dei Padri.
Quanto la speculazione della scuola fosse sbrigliata e fertile, quanto grande la ricchezza della sua differenziazione dottrinale, lo si può costatare dal fatto che si hanno almeno sette versioni (senza contare quella di Marco) solo dello svolgimento della dottrina del Pleroma in Ireneo, Ippolito, Epifanio e negli estratti di Teodoto, le quali divergono notevolmente in alcune parti e rivelano una grande indipendenza di pensiero individuale.
Ci sono note controversie teoretiche su alcuni punti intorno ai quali la scuola era divisa in parecchi rami.
E’ a proposito dei Valentiniani che Ireneo nota:
«Ogni giorno ciascuno di loro inventa qualche cosa di nuovo, e nessuno è considerato perfetto se non è produttivo in tal senso».
E lo si comprende bene dalla natura stessa del compito imposto dal tipo valentiniano di teoria gnostica.
E’ probabile che la pienezza della speculazione sia stata raggiunta soltanto nell’opera dei discepoli più importanti.
Per quel che riguarda i vari rami che abbiamo ricordato, si sa di un ramo anatolico, conosciuto da noi soprattutto attraverso gli estratti di Teodoto, oltre il ramo italico, più ampiamente documentato, al quale appartenne Tolomeo, forse il più notevole dei fondatori del sistema.
Nella ricostruzione abbreviata che facciamo seguire, ci atterremo nell’insieme alla trattazione generale di Ireneo (completata da quella di Ippolito) sui «Valentiniani», cioè probabilmente soprattutto su Tolomeo, e soltanto occasionalmente faremo un confronto con delle versioni divergenti.
Ove occorra, daremo delle citazioni dall’”Evangelium Veritatis”, recentemente scoperto, il quale nel suo stile succinto dà un colorito nuovo e poetico alla trattazione dottrinale.
Non possiamo tentare una completa interpretazione del materiale spesso enigmatico e sempre profondamente simbolico, perché ciò richiederebbe un volume a parte.
Speriamo soltanto che le indicazioni generali date nelle osservazioni introduttive e i commenti occasionali nel corso del capitolo stesso aiuteranno il lettore ad apprezzare gli aspetti notevoli di questo sistema ingegnoso e affascinante, nonostante la sua eccentricità.
b) Il sistema
– Lo svolgimento del Pleroma.
I misteri dei primi inizi vengono introdotti con queste parole solenni:
«Lo Spirito indistruttibile saluta gli indistruttibili!
A voi svelo segreti senza nome, ineffabili, sopracelesti, che non possono essere compresi né dalle dominazioni, né dalle potenze, né dagli esseri inferiori, o dalla completa mescolanza, ma sono stati rivelati solo all’Ennoia dell’Immutabile»
Ed è questa la dottrina segreta.
Nelle altezze invisibili e senza nome c’era un perfetto Eone preesistente.
Il suo nome è Primo-Principio, Progenitore e Abisso.
Nessuna cosa può comprenderlo.
Per innumerevoli eternità egli rimase nel più profondo riposo.
Con lui era l’Ennoia (Pensiero), chiamata anche Grazia e Silenzio.
E un tempo questo Abisso pensò di proiettare fuori di sé l’inizio di tutte le cose, e gettò questo progetto come un seme nella matrice del Silenzio che era con lui, ed essa concepì e generò la Mente (“Nous”, maschile), il quale è simile ed eguale al suo genitore e solo comprende la grandezza del Padre.
Egli è chiamato anche Unigenito, Padre e Principio di tutti gli esseri.
Insieme con lui fu generata la Verità (“Aletheia”, femminile), e questa è la prima Tetrade:
Abisso e Silenzio, quindi Mente e Verità.
L’Unigenito, comprendendo con quale proposito era stato generato, da parte sua produsse con la sua consorte la coppia Logos e Vita, rispettivamente padre di tutte le cose venute dopo di lui, e principio e forma-madre di tutto il Pleroma.
Da essi venne l’Uomo e la Chiesa (“Ecclesia”, femminile), e questo è l’Ogdoade originaria.
Questi Eoni, prodotti per la gloria del Padre, vollero glorificare il Padre con la loro propria creazione e produssero ulteriori emanazioni.
Da Parola e Vita provennero dieci Eoni supplementari, da Uomo e Chiesa dodici, cosicché da Otto e Dieci e Dodici viene costituita la Pienezza (Pleroma) di trenta Eoni in quindici coppie.
Tralasciamo i particolari di questo processo generativo dopo l’Ogdoade, e facciamo soltanto osservare che i nomi dei successivi ventidue Eoni sono tutte astrazioni del tipo dei primi otto, ossia costruzioni artificiali e non nomi propri dalla tradizione mitologica.
L’ultimo Eone femminile nella catena di emanazioni è la Sophia.
«Pleroma» è il termine tipo per la molteplicità totalmente dispiegata di caratteristiche divine, il cui numero ordinario è trenta, formanti una gerarchia e costituenti nel loro insieme il regno divino.
Generalmente il Progenitore o Abisso è contato nel numero, ma anche questa regola ammette delle eccezioni.
– La crisi nel Pleroma.
Il Pleroma non è un insieme omogeneo.
L’Unigenito Nous soltanto, essendo uscito direttamente da lui, può conoscere il Progenitore:
per tutti gli altri Eoni egli rimane invisibile e incomprensibile.
«Era un grande prodigio che essi fossero nel Padre senza conoscerlo»
Così soltanto il Nous gode la contemplazione del Padre e si diletta nella visione della sua infinita grandezza.
Ora egli desiderava comunicare la grandezza del Padre anche agli altri Eoni, ma il Silenzio lo trattenne per la volontà del Padre, il quale voleva condurli tutti a considerare il loro Progenitore e cercarlo.
Così gli Eoni ardevano in segreto dal desiderio di vedere il generatore del loro seme e ricercare la radice senza principio.
«In verità il Tutto [il mondo degli Eoni = Pleroma] era alla ricerca di Colui dal quale essi provenivano.
Ma il Tutto era in Lui, quell’Uno Incomprensibile, Inconcepibile, che è superiore ad ogni pensiero»
(Questo è il principio di una crisi nel Pleroma, dal momento che la sua armonia riposa sul suo ordine naturale, e questo nell’osservanza da parte dei suoi membri dei loro propri limiti – i quali membri tuttavia, essendo soggetti spirituali non possono rinunziare all’aspirazione di conoscere più di quanto i loro limiti permettano e così abolire la distanza che li separa dall’Assoluto.
L’ultimo e il più giovane (e perciò il più esterno) degli Eoni, la Sophia, si slanciò più lontano e fu presa da una passione fuori dall’abbraccio del suo consorte.
Tale passione era diventata e si era diffusa per la vicinanza della Mente e della Verità, ma colpì ora la Sophia e penetrò in lei cosicché essa andò fuori di mente, in apparenza per amore, ma di fatto per follia o presunzione, perché non aveva la medesima comunione col Padre quale l’Unigenita Mente.
«La dimenticanza non venne all’esistenza in prossimità del Padre, sebbene sia venuta all’esistenza a causa di Lui»
La passione era una ricerca del Padre, perché essa si sforzava di comprenderne la grandezza.
Tuttavia fallì in questo proposito, perché ciò che tentava era impossibile, e si ritrovò in grande agonia;
a causa della profondità dell’Abisso, nel quale per il suo desiderio era penetrata sempre di più, essa infine sarebbe stata assorbita dalla sua dolcezza e dissolta nell’essere generale, se non si fosse scontrata col potere che rende stabile il Tutto e lo tiene separato dall’ineffabile Grandezza.
Questo potere è chiamato Limite (“horos”):
da lui essa fu trattenuta, consolidata, ricondotta in sé, e convinta che il Padre è incomprensibile.
Così essa abbandonò la sua primitiva intenzione e la passione da questa generata.
Codeste passioni tuttavia ora sussistono per se stesse come «entità senza forma».
– Conseguenze della crisi.
Funzione del Limite.
La passione e il ristabilimento della Sophia hanno un effetto che si estende al di fuori del Pleroma.
L’entità informe che essa ha fatto nascere nel suo sforzo verso l’impossibile è l’oggettivazione della sua passione;
e alla vista di ciò e riflettendo sul suo fato, essa è scossa da varie emozioni:
angoscia, paura, sorpresa e conflitto, pentimento.
Anche queste emozioni sono incorporate nell’informità, e la loro serie completa, sviluppata in sempre nuove varianti dai singoli pensatori, ha un’importante funzione ontologica nel sistema:
«Da qui, dall’angoscia, dalla paura e dal conflitto, ha avuto la sua prima origine la sostanza materiale»
«E’ stata questa ignoranza riguardo al Padre che ha prodotto Angoscia e Terrore.
L’Angoscia divenne densa come nebbia, cosicché nessuno poteva vedere.
Perciò l’Errore si fortificò [ossia assunse sussistenza].
Elaborò la sua Materia nel Vuoto»
L’attuale passaggio alla materia avviene soltanto nello stadio rappresentato dalla Sophia inferiore, come vedremo quando tratteremo di essa.
La prima Sophia, come riferiscono i testi citati, venne purificata e consolidata dal Limite e quindi riunita al suo consorte, e così l’integrità del Pleroma fu ristabilita.
Ma la sua Intenzione, una volta concepita e divenuta effettiva, non poteva essere annullata:
insieme con la Passione che aveva provocato, fu separata da lei e, mentre essa stessa rimaneva all’interno del Pleroma, fu cacciata fuori dal Limite.
Come impulso naturale di un Eone, questo complesso separato di stati mentali è ora una sostanza spirituale ipostatizzata, ma senza forma, essendo un «aborto» prodotto senza concepimento.
Perciò essi chiamano ciò anche «frutto impotente e femminile».
Il Limite ha dunque una doppia funzione, una stabilizzante e una separatrice:
nel primo caso egli è chiamato Croce, nel secondo Limite.
Le due funzioni sono esercitate in posti differenti:
tra l’Abisso e il resto del Pleroma per delimitare gli Eoni generati dal Padre ingenerato – è nell’adempiere a tale capacità che esso incontra la Sophia nella sua cieca ricerca -;
e come Limite agisce tra il Pleroma nel suo insieme e il di fuori, cioè la sostanza espulsa della passione, per salvaguardare il Pleroma dal rientro della perturbazione dall’esterno .
Nel seguito del dramma, soltanto la sua funzione ai confini esterni viene sottolineata:
«Egli divide il cosmo dal Pleroma»
Le sue funzioni più spirituali, come il ristabilimento del Pleroma nella sua armonia, passano in seguito a Cristo, mentre la funzione del Limite rimane soprattutto quella preservatrice.
Il significato di questa figura particolare che fa la sua apparizione soltanto in seguito all’errore della Sophia, non avendo avuto origine col Pleroma stesso, è precisamente questo, che a causa dell’aberrazione della Sophia un cambiamento decisivo è avvenuto nell’ordine divino che rende necessaria una tale funzione:
esso non possiede più la sua integrità semplicemente e senza contrasto, ma soltanto in opposizione ad una negatività posta all’esterno.
Tale negatività è il residuo di una perturbazione che attraverso la “conversione” della Sophia e la “separazione” che ha implicato, si è ipostatizzata come regno positivo a sé.
Solamente a questo prezzo il Pleroma ha potuto liberarsene.
Perciò il Limite non era progettato nella costituzione originale della Pienezza, ossia della libera e adeguata espressione della divinità, ma si è reso necessario per la crisi come principio di consolidazione e di separazione protettiva.
L’apparizione della figura stessa è quindi un simbolo dell’iniziale dualismo quale sorge dialetticamente dall’Essere originario.
– Restaurazione del Pleroma.
Come l’ignoranza e l’informità apparvero all’interno del Pleroma, un profondo turbamento corse tra gli Eoni, i quali non si sentirono più in sicurezza, temendo avvenimenti simili anche per loro stessi.
Inoltre l’esistenza continuata del prodotto dell’ignoranza corretta, dello stato informe, anche se espulso, è nella sua presente condizione un costante rimprovero per la Sophia, la quale è piena di afflizione a riguardo dell’«aborto» e molesta gli Eoni con i suoi sospiri.
Essi perciò si uniscono per pregare il Padre e ottenere da lui l’emanazione di una nuova coppia di Eoni, Cristo e lo Spirito Santo, che hanno questo duplice ufficio:
di ristabilire all’interno del Pleroma una vera serenità;
e, come conseguenza di ciò, di prendersi cura del residuo informe e dargli forma.
Perciò Cristo (come rappresentante la parte maschile della coppia) è il primo e solo Eone ad avere una funzione sia da una parte che dall’altra del Limite, mentre l’Eone Gesù, emanato ancora dopo, è già interamente destinato alla missione esterna.
In tal modo lo svolgimento conduce grado a grado all’esterno sotto la necessità imposta dal decadimento, che una volta avvenuto mantiene ora realtà e richiede riparazione.
Per prima cosa per garantire che nessuno degli Eoni abbia a soffrire un fato analogo, Cristo stabilisce una nuova armonia nel Pleroma illuminando gli Eoni circa l’inconoscibilità del Padre, cioè portando loro la gnosi («invero di che cosa aveva bisogno il Tutto se non della gnosi del Padre?, e riconciliandoli coi ranghi loro assegnati, di modo che la consapevolezza dell’unità spirituale comprendente le loro diversità non permettesse il sorgere di aspirazioni individuali.
Così essi raggiungono il perfetto riposo.
Come frutto della loro nuova unità, tutti insieme, ciascuno dando il meglio della propria essenza, producono un Eone addizionale (e non in coppia), Gesù, nel quale la Pienezza per così dire è riunita insieme e nel quale è simbolizzata l’unità riconquistata degli Eoni.
Questo «frutto perfetto del Pleroma», che contiene tutti i suoi elementi, deve in seguito portare nella sua persona la Pienezza al di fuori nel Vuoto, in cui il residuo della perturbazione passata, nel frattempo «formato» da Cristo, attende ancora la salvezza.
– Accadimenti all’esterno del Pleroma.
Dapprima è Cristo che si prende cura del residuo informe, facendo ciò parte del compito suo proprio di ristabilire la pace del Pleroma, pace che non poteva essere duratura per la triste condizione dell’«aborto» e l’angoscia della sua colpevole madre.
Non era possibile annullare semplicemente ciò che era stato fatto, perché anche nell’errore il pensiero di un Eone costituisce una realtà e continua a vivere nei suoi effetti.
Ora l’Intenzione o Desiderio della Sophia, ipostatizzato nella sua separazione da lei, è un nuovo essere personale:
la Sophia inferiore o Achamoth.
Abbiamo visto precedentemente che tale Intenzione, insieme con la Passione, doveva essere «gettata fuori dentro gli spazi dell’Ombra e del Vuoto» e che essa è ora, fuori della Luce e della Pienezza, un aborto senza forma.
Cristo, disteso sulla Croce, per mezzo del suo potere le impartì una prima forma, solo un inizio di sostanzialità, non ancora «l’informazione» della conoscenza, dopo di che ritornò nel Pleroma all’interno del Limite, lasciandola col risveglio della coscienza della sua separazione dal Pleroma e col desiderio in lei suscitato di raggiungerlo.
Ciò inizia un compito redentivo il cui adempimento richiede una lunga strada di sofferenze e di successivi interventi divini.
Poiché Cristo non doveva più abbandonare il Pleroma, in quanto il suo compito principale era all’interno di esso, e poiché d’altra parte l’ipostasi femminile imperfetta non poteva divenire perfetta che per mezzo di un permanente accoppiamento spirituale, la sua prima formazione sulla Croce era tutto ciò che il Cristo poteva fare per lei.
– Sofferenza della Sophia inferiore.
Essendo divenuta cosciente per la formazione impartita da Cristo, la Sophia abbandonata si mette con tutto l’impeto alla ricerca della luce svanita, ma non può raggiungerla perché il Limite impedisce la sua corsa precipitosa.
Essa non può attraversarlo a causa della sua contaminazione con la Passione originaria, e costretta a rimanere sola nell’oscurità esterna, cade in preda ad ogni specie di sofferenze esistenti.
In ciò essa ripete al suo livello la scala di emozioni che sua madre provò nel Pleroma, con la sola differenza che ora tali passioni assumono la forma di stati definitivi di essere e come tali possono diventare la sostanza del mondo.
Tale sostanza dunque, psichica e materiale, non è altro che la forma estraniata da sé e decaduta dello Spirito, solidificata da atti in condizioni abituali e trasformata da processo interno in fatto esterno.
Quanto questo punto fosse fondamentale nella speculazione dei Valentiniani è dimostrato dalla considerazione del numero di varianti in cui la scala di emozioni è stata sviluppata e dai rispettivi corrispondenti assegnati a ciascuna di esse in termini di «sostanza».
Il fatto stesso che la correlazione tra emozioni ed elementi non è stata fissata nei particolari ma varia da autore ad autore, e forse anche nel pensiero di un solo e medesimo autore, mostra quanto si sia a più riprese meditato su tale soggetto.
La narrazione sulla quale ci soffermiamo in modo principale offre a questo punto la seguente serie di emozioni:
“dolore”, perché essa non poteva prendere possesso della luce;
“timore”, che oltre la luce anche la vita potesse abbandonarla;
“confusione”, in aggiunta alle altre;
e tutte queste unite nella qualità fondamentale di “ignoranza” (essa stessa considerata come una «affezione»).
E, come risultante, ancora un altro stato mentale:
il “volgersi” (conversione) verso il Datore di Vita.
«Questa, dunque, divenne la composizione e la sostanza della Materia, in cui consiste questo mondo;
dalla conversione hanno avuto origine tutte le anime del mondo e del Demiurgo;
dal timore e dall’angoscia ha avuto inizio tutto il resto».
In termini numerici, che sono la sola costante in questa parte della speculazione, abbiamo cinque «affezioni» in tutto, quattro negative o del tutto tenebrose («passioni» nel senso più ristretto), una positiva o semiluminosa.
L’ultima, chiamata qui «conversione», altrove (in Ippolito) anche «supplicazione» e «preghiera», è l’origine di tutto ciò che è psichico nel mondo e sta in un grado intermedio tra materia e spirito.
Le quattro passioni cieche sono naturalmente le sorgenti dei quattro elementi tradizionali della materia.
Vedremo in seguito in che modo la posizione speciale dell’«ignoranza» come denominatore comune delle altre “tre” è situata in tale correlazione.
Per quanto riguarda le altre tre, «angoscia» e «timore» sono più di continuo menzionate nelle enumerazioni, «confusione» (“aporia”) è talvolta sostituita da «costernazione» o «spavento» (“ekplexis”), e a volte la triade diventa una tetrade per l’aggiunta di «riso», il cui correlativo fisico è la sostanza luminosa dell’universo (ossia quella del sole e delle stelle, che è considerata differente dal fuoco):
«Ora essa pianse e si angosciò perché era stata lasciata sola nella Tenebra e nel Vuoto;
ora, considerandosi parte della Luce che l’aveva abbandonata, essa divenne allegra e sorridente;
ora cadde di nuovo nel timore e altre volte essa era sconvolta e stordita»
– Origine della Materia.
Dopo che la Madre ebbe provato tutte le passioni e, appena emersa, si fu rivolta in giro supplichevole cercando la luce scomparsa di Cristo, gli Eoni ebbero pietà di lei, e poiché Cristo stesso non avrebbe abbandonato di nuovo il Pleroma, essi mandarono il «frutto comune» del Pleroma, Gesù, come consorte della Sophia esteriore (essendo egli il solo Eone prodotto senza sposa) per curarla dalle passioni per le quali soffriva nella ricerca del Cristo.
Con lui c’erano gli angeli che erano stati emanati con lui come sua scorta.
Uscendo dal Pleroma, egli trovò la Sophia nelle quattro primitive passioni:
timore, angoscia, confusione e supplica, e la curò da esse impartendole in quel momento la «formazione» di conoscenza (essendo stata la sua precedente «formazione» da parte del Cristo soltanto di sostanza).
Egli separò da lei quelle passioni, ma non le abbandonò a loro stesse come era stato fatto con quelle della Sophia superiore;
d’altra parte egli non poteva semplicemente annullarle, essendo già diventate «stati abituali ed effettivi», a loro modo eterne e specifiche della Sophia.
Perciò egli le distaccò soltanto dalla Sophia, cioè le rese esterne e le solidificò in sostanze indipendenti.
Così, mediante l’apparizione del Salvatore, da una parte la Sophia è liberata dalle sue passioni e dall’altra le cose esterne hanno avuto il loro fondamento;
e con ciò il Salvatore produce (rende possibile) «in potenza» la susseguente creazione demiurgica.
Da affezioni incorporee e accidenti egli trasformò le passioni in materia, che era ancora non corporea;
ma poi impartì loro la capacità e la tendenza naturale di entrare in composizione e formare corpi, cosicché ebbero origine due tipi di sostanze:
quella cattiva delle passioni, quella suscettibile (di bene) dalla conversione.
E Achamoth, liberata dalle sue affezioni, con gioia «ricevette» la visione delle luci attorno al Salvatore, ossia dei suoi angeli di scorta, e da tale concezione generò un frutto pneumatico a loro immagine.
Questa è l’origine dell’elemento pneumatico nel mondo inferiore.
– Derivazione degli elementi singoli.
Come abbiamo già notato, la correlazione rispettiva degli elementi con le passioni varia grandemente nelle molteplici versioni di questa parte della dottrina.
In genere vi è accordo sul fatto che dalla conversione o supplica è risultata l’«anima» del mondo e del Demiurgo e tutto ciò che è psichico, e dal rimanente delle passioni gli elementi materiali:
ossia, dalle lacrime la sostanza umida, dal riso quella luminosa, dall’angoscia e sgomento gli elementi più solidi del cosmo;
oppure, «dallo sgomento (terrore) e dalla perplessità come condizione più confusa, gli elementi corporei del cosmo:
precisamente, la “terra” in conformità con l’irrigidimento del terrore;
quindi l’”acqua”, in conformità col movimento del timore;
l’”aria” in conformità con la mobilità dell’angoscia;
il “fuoco”, però, è inerente a tutti questi come morte e corruzione, allo stesso modo che l’ignoranza è nascosta nelle tre passioni»
In conclusione, tre essenze ebbero origine dalle esperienze della Sophia:
dalla sua passione, la materia;
dalla sua conversione, l’anima;
dalla sua ricezione della luce del Salvatore dopo la purificazione, il pneuma.
Quest’ultima essenza non può essere soggetta ad alcuna formazione da parte sua, essendo identica alla propria.
Perciò essa si volse a formare l’essenza psichica che era stata prodotta dalla sua conversione.
– Il Demiurgo e la creazione del mondo.
Oltre la sostanza psichica la Sophia inferiore forma il padre e re di tutte le cose psichiche e materiali;
questi infatti ha creato tutto ciò che viene dopo di lui, guidato, pur senza saperlo, da sua madre.
Egli è chiamato «padre» delle realtà della destra, ossia quelle psichiche, «artefice» (demiurgo) delle realtà della sinistra, cioè quelle materiali, e «re» di tutte le cose che sono fuori del Pleroma.
«L’Errore ha elaborato la sua Materia propria nel Vuoto, senza conoscere la Verità.
Esso si è applicato a modellare una forma, cercando di produrre in bellezza un sostituto della Verità… Non avendo alcuna radice, esso rimase immerso nella nebulosità riguardo al Padre mentre era occupato a preparare Opere, Dimenticanze e Terrori per attirare col loro aiuto quelli del Mezzo e imprigionarli»
Egli crea sette cieli, che sono angeli nello stesso tempo, al di sopra dei quali risiede.
Perciò è chiamato anche «Heptade» e la Madre sopra di lui «Ogdoade».
In tale posizione egli è il «Luogo del Mezzo», avendo al di sopra la Sophia e al di sotto il mondo materiale da lui formato.
Sotto altro aspetto la Madre, l’Ogdoade, è nel mezzo, ossia sopra il Demiurgo, ma sotto il Pleroma, da cui è tenuta fuori «fino alla consumazione».
La relazione ontologica tra Sophia e Demiurgo è espressa meglio dall’affermazione:
«La Sophia è chiamata ‘pneuma’, il Demiurgo ‘anima’
Per il resto, nel Demiurgo dei Valentiniani riscontriamo tutte le caratteristiche del dio del mondo col quale siamo già familiarizzati e di cui perciò possiamo trattare qui brevemente:
per primo la sua “ignoranza”, che i Valentiniani sottolineano con enfasi e che in primo luogo riguarda le cose al di sopra di lui.
Queste, compresa sua madre, gli sono del tutto sconosciute;
ma anche per quel che riguarda la creazione al di sotto di lui egli «è inconsapevole e pazzo, e non sa quello che fa e quello che produce», il che permette a sua madre di far penetrare i propri disegni in quello che egli crede di fare da sé.
Ed ecco che sull’ignoranza poggia la seconda caratteristica principale che egli condivide con la concezione gnostica generale del Demiurgo:
l’”orgoglio” e la presunzione con cui crede di essere e si dichiara il solo Dio unico e supremo.
Perciò bisognoso di correzione, egli è finalmente illuminato dalla Sophia e per mezzo della sua istruzione è portato alla conoscenza e alla consapevolezza di ciò che è sopra di lui;
tuttavia egli conserva per sé il grande mistero del Padre e degli Eoni al quale la Sophia lo ha iniziato e non lo trasmette a nessuno dei suoi profeti:
che ciò avvenga per volontà della Sophia o per propria volontà non è affermato, ma molto probabilmente per il fatto che il messaggio pneumatico e l’illuminazione non possono essere comunicati tramite un agente psichico.
Per comunicare la gnosi salvifica agli elementi pneumatici nella creazione, la Sophia deve perciò ricorrere ad un agente della sua specie, l’incarnazione degli Eoni di Gesù e Cristo provenienti dal Pleroma nella persona del Gesù storico.
Il suo avvento, in modo paradossale, è preparato dai profeti, che erano quelli del Demiurgo ma per bocca dei quali la Madre, a lui sconosciuta, comunicava i suoi messaggi, che perciò erano inseriti in quelli del dio del mondo.
Non sempre i profeti sono trattati con tanta tolleranza, anzi in un luogo vengono chiamati insieme con la Legge in modo alquanto rude «pazzi ignoranti che parlano per un Dio pazzo»
Un atteggiamento di maggiore moderazione e considerazione nei riguardi della Legge mosaica si trova, d’altra parte, nella “Lettera a Flora” di Tolomeo, scritta per alleviare gli scrupoli di una signora educata cristianamente.
L’autore si dà un gran da fare per chiarire fin dall’inizio che la Legge di Mosè, sebbene certamente non provenga dal Padre perfetto, non è nemmeno da Satana, e così pure il mondo:
entrambi sono opera di un dio di giustizia.
Coloro che attribuiscono la creazione e la legislazione a un dio malvagio sono altrettanto in errore quanto quelli che attribuiscono la Legge al Dio supremo:
i primi errano perché non conoscono il dio di giustizia, i secondi perché non conoscono il Padre del Tutto.
Da una posizione intermedia riguardo al dio legislatore segue un atteggiamento di mezzo verso la sua Legge, che tuttavia non è identica con l’intero corpo del Pentateuco.
Quest’ultimo contiene tre elementi:
prescrizioni formulate da «Dio», da Mosè e dagli anziani.
Quelle da «Dio» sono a loro volta di tre generi:
la pura legislazione non contaminata dal male, che il Salvatore non è venuto ad abolire ma a perfezionare, perché era ancora imperfetta (per esempio, il decalogo);
la legislazione corrotta dalla cattiveria e dall’ingiustizia, che il Salvatore ha abolito perché è estranea alla sua natura e a quella del Padre (per esempio: «occhio per occhio»);
la legislazione simbolica di realtà pneumatiche e ultramondane, che il Salvatore ha trasposto dal significato letterale e sensibile al significato spirituale (i precetti rituali).
Il «Dio» che ha ordinato questa Legge non può essere né il Padre perfetto né il demonio, perciò non può essere che il Demiurgo, il creatore di questo universo, differente nella sostanza da entrambi, il quale detiene un rango intermedio tra di essi e quindi è chiamato «il principio di mezzo».
Egli è inferiore al Padre perfetto ingenerato;
superiore all’avversario, né buono come il primo né malvagio e ingiusto come il secondo, ma propriamente chiamato «giusto» e arbitro del suo tipo di giustizia (inferiore a quella del Padre).
Questo è il punto di vista più caritatevole assunto nei riguardi del Creatore in tutta la Sophia-gnosi, nell’ambito e al di fuori della scuola valentiniana.
Il sinistro Ialdabaoth dei Barbelognostici, per esempio, è molto vicino a identificarsi con la figura dell’avversario.
Tuttavia in ultima analisi queste non sono che leggere variazioni di atteggiamento nello sviluppo di un tema fondamentale, e più o meno le caratteristiche che abbiamo riscontrato finora in rapporto alla «teologia» gnostica del dio del mondo sono anche quelle del demiurgo valentiniano.
In genere riguardo alla creazione del mondo la speculazione valentiniana si unisce alla corrente generale di concezioni gnostiche, solamente con pochi lineamenti secondari specifici alla scuola.
Due di essi, collegati al Demiurgo, vanno qui ricordati.
Come il Demiurgo è una creatura della Madre formato dalla sostanza psichica, così il Demonio, chiamato anche «Cosmocrator», è una creatura del Demiurgo formato dalla «sostanza spirituale di malvagità», che a sua volta ha origine dall’«angoscia» (altrove, dalla «perplessità»):
e qui abbiamo l’insegnamento sconcertante che Satana (con i demoni) essendo lo “spirito” (“pneuma”) di malvagità, “conosce” le cose che sono al di sopra, mentre il Demiurgo, essendo soltanto psichico, non le conosce
Se il lettore ha difficoltà a capire come la concezione di uno «spirito» di “malvagità” che gode del privilegio genuino dello spirito, la conoscenza, sia compatibile con la posizione ontologica del pneuma nel sistema, e quella di una gnosi superiore senza santificazione del conoscente con la concezione salvifica di gnosi in quanto tale, non si trova in una condizione peggiore dello scrittore.
Un’altra caratteristica originale nell’esposizione valentiniana della creazione è istruttiva circa la questione tanto dibattuta del «platonismo» degli Gnostici.
Il mondo è stato creato ad immagine del mondo invisibile del Pleroma da un Demiurgo che attua senza saperlo il proposito di sua madre.
La sua ignoranza tuttavia era incompleta, come è dimostrato dalla seguente citazione, che implica da parte sua almeno una certa idea del mondo superiore, per quanto inadeguata e distorta:
«Quando il Demiurgo volle inoltre imitare anche la natura senza limiti eterna, infinita e senza tempo dell’Ogdoade superiore (gli otto Eoni originari del Pleroma), ma non poteva esprimere la loro immutabile eternità, essendo egli stesso un prodotto dell’imperfezione, incarnò la loro eternità in tempi, epoche e gran numero di anni, nell’illusione che con la quantità di tempi avrebbe potuto rappresentare la loro infinità.
Così gli sfuggì la verità e seguì la falsità.
Perciò la sua opera passerà quando i tempi saranno compiuti»
Questa è naturalmente una parodia del famoso passo del “Timeo” dove Platone descrive la creazione del tempo come «l’immagine mutevole dell’eternità».
E’ evidente per chiunque voglia paragonare i due passi l’abisso profondo che divide lo spirito di questa imitazione dal suo originale.
– La salvezza.
La speculazione intorno alle origini, che fornisce l’ontologia sulla quale si basano tutte le altre parti dell’insegnamento valentiniano, è l’aspetto essenziale del valentinianesimo.
La teoria valentiniana sull’uomo e sull’etica sarà mostrata in seguito in un contesto diverso.
Per quel che riguarda la dottrina della salvezza ne abbiamo indicato l’idea principale nell’introduzione di questo capitolo e mostrato la connessione con l’essenza della speculazione stessa.
Si può perciò comprendere ora in concreto come i Valentiniani fondassero la sufficienza metafisica della gnosi rispetto alla salvezza nella natura stessa dell’essere universale, facendo derivare l’esistenza e la condizione del mondo inferiore, e con esso l’esistenza e la condizione dell’entità composta «uomo», dall’”ignoranza” di un Eone e riducendo tutto il sistema fisico a categorie spirituali.
La speculazione valentiniana stessa, intesa nel suo spirito proprio, riassume in forma di conoscenza il processo della caduta, l’odissea dell’ignoranza, e con ciò fa provenire l’esistenza, che è la vittima dell’una e l’agente dell’altra, dalla profondità di cui descrive la generazione.
Possiamo ora aggiungere alcune linee del “Vangelo della Verità” la cui descrizione ellittica del concetto, rivolta agli iniziati, sarebbe di per sé difficilmente comprensibile in tutte le sue implicanze speculative.
«Poiché la Dimenticanza [il mondo inferiore] è venuta all’esistenza per il fatto che essi [gli Eoni] non hanno conosciuto il Padre, perciò se essi raggiungono la conoscenza del Padre, la Dimenticanza in quello stesso istante diventa non-esistente.
Quello, dunque, è il Vangelo di Colui che essi cercano e che [Gesù] ha rivelato al Perfetto»
Ci resta soltanto da aggiungere qualche cosa circa il perché ci sono degli uomini che devono essere salvati.
Torniamo alla precedente affermazione che delle tre sostanze, materia, anima e spirito, che erano venute all’essere, la Sophia poteva «formare» soltanto le prime due, ma non il pneuma, perché era della sua medesima essenza.
Questo frutto perciò proveniente da lei doveva passare nel mondo e attraverso il mondo per essere «formato» nel suo corso.
Il Demiurgo è uno strumento inconsapevole in tale processo.
Come parte e in adempimento della sua creazione egli forma l’uomo terreno e spira in lui l’uomo psichico.
L’elemento pneumatico, che la Madre aveva prodotto dalla visione degli angeli, non poteva essere percepito da lui perché della stessa essenza della Madre, e pertanto non poteva che essere segretamente depositato nella sua creatura.
Così per mezzo di un agente inconsapevole il seme spirituale veniva immesso nell’anima e nel corpo umano per esservi portato come in una matrice fino a che fosse cresciuto sufficientemente per ricevere il Logos.
Il pneuma soggiorna nel mondo in modo da essere preformato là per la finale «formazione» per mezzo della gnosi.
Questo era lo scopo segreto che la Madre si proponeva con la creazione demiurgica.
La gnosi stessa viene infine portata giù, per quella parte del genere umano sufficientemente preparata a riceverla, da Gesù unito al Cristo, che discende nel Gesù umano durante il battesimo nel Giordano e si diparte da lui prima della sua passione, cosicché la Morte è ingannata.
La sofferenza del Gesù mortale non aveva altro significato che quello di uno stratagemma.
La «passione» reale era quella precosmica della Sophia superiore e inferiore, ed è stato ciò che ha reso necessaria la salvezza, non ciò che ha portato la salvezza.
Né c’era mai stato un «peccato originale» dell’uomo, una colpa dell’anima umana:
c’era stata invece la colpa, prima del tempo, di un Eone, un sovvertimento divino, la cui riparazione richiedeva a sua volta la creazione del mondo e quella dell’uomo.
Perciò il mondo, sconosciuto al suo autore immediato, esiste per la salvezza, e non la salvezza per ciò che è avvenuto nell’ambito della creazione e alla creazione.
E l’oggetto reale della salvezza è la divinità stessa, il suo scopo l’integrità divina.
Gli spiriti trasformati dalla conoscenza rimangono nella regione mediana dell’Ogdoade, dove la loro Madre, la Sophia, rivestita di essi attende la consumazione del mondo.
La sua salvezza finale ha luogo quando tutti gli elementi pneumatici nel mondo sono stati «formati» dalla conoscenza e perfezionati.
Allora gli spiriti spogliati delle loro anime, con la loro Madre entrano nel Pleroma, che diviene la camera nuziale dove ha luogo il matrimonio della Sophia con Gesù e quello degli spiriti con i loro sposi, gli angeli intorno a Gesù.
Con ciò, la Pienezza è ristabilita nella sua integrità, la violazione originaria infine riparata, la perdita pretemporale recuperata;
materia e anima, espressione della caduta, col loro sistema organizzato, il mondo, cessano di esistere.
Per concludere, ancora una volta, citiamo il “Vangelo della Verità”.
«Il Padre… rivela ciò che di Se stesso era stato nascosto (ciò che di Se stesso era nascosto era suo Figlio), cosicché mediante la compassione del Padre gli Eoni possano conoscerlo e cessare di affannarsi nella ricerca del Padre, riposando in Lui, conoscendo che il riposo consiste in questo:
avendo colmato la Deficienza, Egli abolì la Forma.
La sua Forma è il cosmo, al quale egli (il Figlio?) era stato assoggettato.
Perché il luogo in cui c’è invidia e dissenso, è la Deficienza ma il luogo che è Unità è la Pienezza.
Essendo la Deficienza venuta all’esistenza perché essi non conoscevano il Padre, così quando conoscono il Padre, la Deficienza scompare nello stesso istante.
Come l’ignoranza di una persona, nel momento che essa viene a conoscere scompare spontaneamente;
come la tenebra si dissolve all’apparire della luce, così anche la Deficienza si dissolve di fronte al fatto della Pienezza.
Quindi da quel momento in poi, la Forma non è più apparente, ma scompare nella fusione con l’Unità – perché ora le loro opere sono divenute uguali l’una all’altra – nel momento in cui l’Unità perfeziona gli spazi»
a cura di Hans Jonas