a cura di Luigi Moraldi
«Valentino dice di aver visto un piccolo bambino nato da poco e di avergli chiesto chi fosse;
quello rispose di essere il Logos»
«Valentino… dice così:
– Dall’inizio siete immortali e figli della vita eterna, avete voluto che la morte fosse divisa fra voi per conservarla e dissolverla:
e la morte è morta in voi e per voi–»
Valentino in una lettera scrive:
«– Tutto sopportando, Gesù era padrone di sé:
agiva in maniera divina, mangiava e beveva in maniera particolare poiché non evacuava gli alimenti.
Tale era la forza e padronanza di sé che il nutrimento dentro di lui non si corrompeva, poiché egli non tollerava la corruzione –»
«Valentino… così si esprime…:
– Uno solo è buono, la cui libertà è la rivelazione per mezzo del Figlio e solo per opera sua il cuore può diventare puro, dopo che da lui è stato cacciato ogni spirito malvagio.
Mi sembra che al cuore accada qualcosa di simile a ciò che succede a un albergo;
questo, infatti, viene rovinato, sforacchiato, spesso riempito di sterco, perché gli avventori si comportano in maniera sconveniente e non hanno cura del luogo, in quanto è di altri.
Nello stesso modo anche il cuore, finché non è oggetto di cura…;
ma allorché il Padre, il solo buono… viene santificato e risplende di luce… –»
Chi è mai questo Valentino dalle espressioni così geniali, chiare, immediate, profonde e sottili?
Di lui sappiamo pochissimo.
Da Epifanio si sa che nacque in Egitto, completò la sua istruzione ad Alessandria, diffuse la sua dottrina in patria, in seguito andò a Roma e, dopo le vicende romane, si recò a Cipro, ma non v’è qui nulla di storicamente certo.
Ben altro valore hanno le notizie trasmesse da Ireneo:
Valentino andò a Roma sotto il vescovo Igino (136-40), ebbe il suo apogeo sotto il vescovo Pio (140-55) e lasciò Roma sotto Aniceto (155-66).
La sua attività romana si può collocare tra il 140 e il 160.
A motivo della fama e del prestigio intellettuale di cui godeva non è inverosimile quanto narra Tertulliano:
«Valentino aveva sperato l’episcopato (dopo la morte di Pio):
ne era all’altezza per ingegno ed eloquenza, ma sdegnato perché altri (cioè Aniceto) ottenne quel posto per titolo preferenziale di martirio, uscì dalla chiesa di genuina osservanza…» .
In questo periodo la chiesa di Roma era singolarmente vivace, attraversava anni molto combattuti in quanto proprio in essa erano confluiti alcuni maestri già affermati che avrebbero fatto parlare di sé per secoli e conducevano una vasta campagna di approfondimento e ripensamento del messaggio cristiano con raffinate speculazioni che vertevano su argomenti di vitale importanza per la dottrina cristiana.
Tertulliano anche nei momenti più aspri della sua polemica non pone mai in dubbio l’ingegno e l’eloquenza di Valentino;
e san Gerolamo scrisse:
«Nessuno può far sorgere un’eresia e mantenerla in vita se non ha dalla natura uno straordinario intelletto e non comuni doni divini.
Una persona del genere fu Valentino».
Fu uno dei più grandi maestri dello gnosticismo cristiano:
il suo influsso fu vasto e profondo, e da lui sorsero due scuole:
la scuola italica e la scuola orientale.
Motivo della divisione al dire di Ippolito fu il giudizio sul corpo di Gesù nato da Maria:
era un corpo psichico sul quale nel battesimo discese lo Spirito (scuola italica) oppure – dato che la materia è per sua natura cattiva – era un corpo pneumatico (scuola orientale) passato attraverso Maria senza assumere da lei la carne ilica, corruttibile, votata alla distruzione?
I discepoli più celebri della scuola italica sono Eracleone e Tolomeo, della scuola orientale Assionico (del quale non abbiamo notizie particolari), Marco, Teodoto e, forse il siro Bardèsane.
Valentino scrisse molto, ma ci giunsero soltanto brevi tratti insufficienti per trarne una informazione sufficiente della sua dottrina;
conosciamo invece molto meglio quella dei suoi discepoli.
Tra le opere scoperte a Nag Hammadi ve ne sono tuttavia alcune che da qualche studioso, sono attribuite a lui e che comunque provengono dalla sua scuola;
così il Vangelo di Verità, il Vangelo di Filippo, il Trattato tripartito, la Lettera a Regino (o «Trattato sulla Risurrezione»).
Nelle pagine seguenti si darà anzitutto la «Grande Notizia» di Ireneo su Valentino, notizia che tutti gli studiosi riconoscono come fondamentale e la cui utilità apparirà anche nei testi che seguiranno;
si darà appresso le linee fondamentali di Eracleone, di Tolomeo, e qualche tratto di Teodoto e Marco.
Come s’è detto l’Adversus haereses di Ireneo è diretta soprattutto contro i Valentiniani ed è normale che il vescovo di Lione ne dia la più ampia notizia con la quale concordano Ippolito ed Epifanio che ci trasmise, almeno in parte, il testo greco di Ireneo.
ll plèroma o «pienezza ».
La Divinità assolutamente trascendente ci si presenta come una «pienezza» (o, con termine paolino, plèroma), detta Preprincipio, Prepadre, Abisso, invisibile, incomprensibile, eterno, ingenerato;
con lui c’era il Pensiero – la Grazia – il Silenzio, dunque la controparte femminile (come femminile sono, in greco, questi tre termini);
si susseguono coppie gerarchizzate in una gerarchia decrescente, espressione – per noi – della Divinità;
riflettendo su se stesso, il Preprincipio Prepadre Abisso – Ennoia Charis Sighe genera l’Intelletto, Unigenito – Padre-Principio di ogni cosa, il solo che comprenda la grandezza del Prepadre, e con lui è emanata la Verità:
si hanno così le prime quattro coppie, la prima tetrade;
l’Intelletto-Unigenito – ecc.
conscio del motivo della sua emanazione, a sua volta emanò il Logos e con lui la Vita, dai quali emana la coppia composta dall’Uomo e dalla Chiesa.
Si giunge così alla grande ogdoade primordiale, fondamentale.
Le coppie maschio-femmina (qui come appresso) rappresentano una allegoria nella quale l’elemento femminile esprime una qualità inerente all’elemento maschile, e viceversa, onde risulta un unico essere bisessuato, allegoricamente;
l’Intelletto-Unigenito (o Figlio) è detto pure Padre perché rivolto a lui e prodotto della sua riflessione, o ripiegamento, su se stesso in quanto Pensiero (Ennoia) e quindi l’unico che conosce il Preprincipio;
anche il Logos è detto Padre, in quanto impegna la Divinità verso l’esterno di cui è manifestazione e in quanto presiede l’organizzazione del pleroma (pienezza) degli eòni o mondo divino (in seguito presiederà anche il mondo della creazione);
l’Intelletto-Unigenito si può concepire come Logos immanente, e il Logos (secondo) come Logos profferito (orale).
Logos e Vita, dopo avere emanato Uomo e Chiesa, emanano altri dieci eòni (formanti la decade) e, a sua volta, Uomo e Chiesa emanano altri dodici eòni, la dodecade, sempre in coppia, l’ultimo dei quali è Sofia.
Si giunge così al numero di 30 eòni (4+4+10+12=30).
Tutti questi 30 eòni sono emanazioni che si richiamano e fondono reciprocamente formando la grande unità luminosa dell’Oceano divino.
Non è chiaro il motivo di questi numeri:
vedi anche Basilide ove sono date le motivazioni.
In Valentino si può ancora pensare:
per dodici ai segni dello zodiaco, ai dodici apostoli (l’ultimo dei quali, Giuda, venne meno);
per trenta agli anni della vita oscura di Gesù, e alla parabola degli operai inviati nella vigna:
«…dicono che il Salvatore… per 30 anni non fece nulla di manifesto, volendo mostrare il mistero di questi eòni» ;
e alla originale spiegazione data alla parabola evangelica degli operai inviati nella vigna:
«…alcuni (operai) vengono inviati all’ora prima, altri alla terza, altri alla sesta, altri alla nona, altri infine all’undicesima.
Queste ore messe insieme formano il numero 30»
Dopo Sofia, ultimo eòne, il pleroma è chiuso dal Limite che ha pure il nome Croce.
Perturbazione nel pleroma e restaurazione.
Il mito di Sofia.
L’Unigenito è l’unico a conoscere il Prepadre incomprensibile, comprensione radicalmente impossibile a tutti gli altri eòni;
l’Unigenito pensava di notificare agli altri eòni la grandezza del Prepadre, ma lo trattenne il Silenzio perché voleva condurre tutti gli eòni al pensiero e al desiderio di ricevere il loro Prepadre.
«Così tutti gli eòni in serenità e solo in una certa misura desideravano contemplare… e avere notizia della radice senza principio».
Ma questa aspirazione cresce e diventa esasperante a misura che gli eòni sono lontani dal Prepadre;
così l’ultimo eòne, la femmina Sofia (Sapienza) dimentica del suo posto, volle comprendere l’Infinito e, nella sua passione e nel suo amore, si slanciò verso di lui:
sarebbe stata «inghiottita dalla “dolcezza del Prepadre”», si sarebbe dissolta nell’infinità dell’Abisso primordiale, se non fosse intervenuto il Limite– «Croce» ;
il Limite-Croce la trattiene e la consolida, e lei, compiuto un penoso ritorno a se stessa, persuasa ormai che il Padre è incomprensibile, depose la sua Enthymesis («pensiero, desiderio, tendenza, intenzione»);
arrestata dal Limite, espulsa la sua «tendenza, intenzione», fuori del pleroma, Sofia è reintegrata al suo posto, ma una parte di lei – l’Enthymesis «tendenza, intenzione, desiderio» di vedere il Prepadre – resta e viene espulsa dal pleroma;
Enthymesis è così un riflesso, un raddoppiamento di Sofia (in quanto «tendenza, desiderio», ecc.);
questa «tendenza» disordinata diventa una realtà autonoma, una specie di sostanza pronta a diventare un’entità personale:
in quanto tale e per distinguerla dall’eòne del pie-roma dal quale ebbe origine, è detta appunto Enthymesis e, con termine ebraico, Achamoth («Sapienza»):
proprio da questa «tendenza» disordinata avrà origine il mondo, e perciò il male, l’ignoranza, la tristezza, la paura, lo stupore.
«L’Enthymesis era una sostanza pneumatica, in quanto slancio naturale di un eòne, ma sostanza senza forma né figura, perché Sofia non aveva afferrato nulla» perciò è considerata «un frutto debole e femminile».
Il Cristo, lo Spirito santo, il Salvatore.
Bandita Enthymesis dal pleroma e restaurata nel pleroma Sofia, reintegrata nella sua coppia (o sizighia), per volere del Padre, l’Unigenito emise un’altra coppia «affinché nessuno degli eòni subisca più una tale passione», cioè il «Cristo» e lo «Spirito santo» emessi per consolidare il pleroma.
Il Cristo adempie due compiti:
insegna agli eòni la natura della coppia, cioè insegna loro a restarsene al loro posto senza la pretesa di giungere al Padre;
manifesta agli eòni l’incomprensibilità e inafferrabilità del Padre, e perciò il fatto che nessuno lo può vedere e comprendere se non attraverso l’Unigenito.
Lo Spirito santo armonizza gli eòni, insegna loro a ringraziare, e introduce il vero riposo:
ristabiliti nell’uguaglianza, gli eòni maschili diventano tutti Intelletti, tutti Logos, tutti Uomini, tutti Cristi, e i femminili tutti Verità, tutti Vite, tutti Spiriti, tutti Chiese.
Con la ratifica del Padre e l’assenso del Cristo e dello Spirito, tutti gli eòni si accordarono per mettere in comune il fior fiore della propria sostanza e, a onore e gloria dell’Abisso, emisero «una bellezza perfetta, come stella del pleroma, un frutto perfetto, frutto comune del pleroma», Gesù, il Salvatore, il quale – concentrando in se stesso tutte le potenze del pleroma – può legittimamente portare il nome di tutte, cioè:
Logos, Figlio, Unigenito, Vita, Verità, Uomo o figlio dell’Uomo, Chiesa, Cristo o Spirito:
«e anche Tutto, poiché proviene da tutti» ;
furono emesse anche le sue «guardie del corpo», cioè gli angeli della sua stessa stirpe.
È il Gesù superiore, ancora invisibile.
Passione e guarigione di Enthymesis-Achamoth.
Enthymesis-Achamoth (o Sofia inferiore, fuori del pleroma dei 30 eòni) girava con la sua passione nell’oscurità e nel vuoto, senza forma e senza aspetto, alla maniera di un aborto;
il Cristo ebbe pietà di lei, si distese sulla Croce, le diede «la formazione secondo la sostanza, ma non secondo la gnosi» ;
poi Cristo l’abbandonò e se ne risalì con la propria potenza, affinché essa «presa coscienza della passione che l’affliggeva a motivo della separazione dal pleroma, aspirasse alle realtà superiori» ;
il Cristo e lo Spirito santo avevano lasciato in lei «un aroma di immortalità» ;
così formata e divenuta cosciente, ma priva del Logos (= Cristo), si mosse alla ricerca della luce ma ne fu impedita dal Limite.
«Non potendo varcare il Limite, perché mescolata con la passione…, cadde in preda a ogni genere di passione…:
dolore…, timore…, disagio… e tutto questo nell’ignoranza».
Sopravvenne allora su di lei un’altra disposizione, cioè «la conversione verso colui che l’aveva vivificata» (cioè il Cristo);
di qui si costituì la materia dalla quale è sorto questo mondo, in quanto dalla conversione trasse origine l’anima del mondo e del demiurgo, dal timore e dal dolore trasse origine tutto il resto;
«infatti dalle lacrime di Achamoth deriva tutta la sostanza umida, dal suo riso la sostanza luminosa, dalla tristezza e dalla costernazione gli elementi corporali del mondo…:
a volte piangeva perché abbandonata sola nelle tenebre e nel vuoto;
a volte pensando alla luce che l’aveva abbandonata si riprendeva e rideva;
a volte ancora si addolorava;
a volte, in fine, provava angoscia e smarrimento…».
Passata attraverso tutte queste peripezie, Achamoth (che i Valentiniani chiamano loro Madre), volse una supplica al Cristo;
ma egli – nel pleroma – esitava a ridiscendere, e così le mandò «il Paralitico, cioè il Salvatore»;
egli venne con i suoi angeli e le diede «la formazione secondo la gnosi», la guarì dalle passioni dividendole da lei, ma non poté farle sparire come quelle della prima Sofia in quanto si erano «consolidate e rese vigorose», perciò le mescolò, le consolidò e le trasformò da incorporali «in materia incorporea», diede loro l’attitudine a comporsi e formare dei corpi;
ne trasse così due sostanze:
una cattiva derivante dalle passioni, una derivante dalla conversione e mescolata con la passione.
Achamoth, libera dalle passioni, difronte alla gioia derivante dalle luci degli angeli che erano col Salvatore, genera dei semi spirituali «simili agli accompagnatori del Salvatore» (si tratta dei pneumatici, o spirituali, che dovranno maturare e perfezionarsi quaggiù nel mondo, fino a quando entreranno nel pleroma – come elementi femminili – e si uniranno con gli angeli – elementi maschili).
ll demiurgo.
Vi erano dunque tre sostanze:
la materia derivante dalla passione;
la sostanza psichica derivante dalla conversione;
la sostanza spirituale derivante da Achamoth.
Questa si accinge a dare forma alle tre sostanze:
fuori del suo potere era dare forma alla sostanza pneumatica (spirituale) perché uguale alla sua (le era consustanziale), con lo stesso grado di imperfezione e lo stesso bisogno di maturazione graduale, cioè secondo la sostanza e secondo la gnosi;
si volse allora alla sostanza psichica, derivante dalla conversione:
da una parte di questa lei fece il demiurgo «il dio, il padre, il re di tutti gli esseri» sia psichici (o di destra) sia ilici derivanti dalla passione e dalla materia (o di sinistra), conferendogli così potere universale sulla sostanza psichica e sulla ilica;
al demiurgo risale tutto ciò mosso da sua madre:
ma a sua insaputa Enthymesis-Achamoth fece ogni cosa secondo le direttive ricevute dal Salvatore o, meglio, il Salvatore operò per mezzo di lei.
La genesi dell’universo.
Il Dio e padre degli esseri psichici ed ilici, cioè degli esseri fuori del pleroma, il demiurgo, è il Dio dell’Antico Testamento, autore della legge del timore, piena di ingiustizie, Dio degli Ebrei e dei cristiani ordinari (cioè gli psichici);
egli intraprende la sua opera, ignorando tutto il mondo superiore, sua madre compresa.
La parte psichica rimasta la separò dalla sostanza ilica, e da incorporee, quali erano, le fece corporee, creò le cose celesti e le cose terrene, quelle che tendono all’alto e quelle che tendono al basso, quelle di destra e quelle di sinistra.
Il demiurgo creò sette cieli e si sistemò al di sopra di essi (perciò i Valentiniani gli danno il nome di «ebdomade»), mentre sua madre – Enthymesis Achamoth – è al di sopra di lui nella regione intermedia tra lui e il pleroma (essa è chiamata «ogdoade» in quanto rappresenta «il numero della fondamentale e primitiva ogdoade del pleroma»).
Nella sua ignoranza, il demiurgo pensa di agire da solo;
in realtà era sua madre che agiva per mezzo suo:
«egli fece un cielo, senza conoscere il Cielo;
plasmò un uomo, senza conoscere l’Uomo;
fece apparire una terra, senza conoscere la Terra…»;
«… il demiurgo, troppo debole per conoscere le realtà spirituali, si credette il solo Dio, e dalla bocca dei profeti, disse:
– Io sono Dio… –»
L’uomo.
Dopo aver fatto il mondo, il demiurgo fece l’uomo «terreno» da una sostanza ilica nella quale, con il suo soffio, immette un’anima psichica di modo che l’uomo è a sua «immagine» con il corpo ilico, e a sua «rassomiglianza» con l’anima psichica;
l’uomo fu poi rivestito di «una tunica di pelle», cioè di «carne sensibile» vale a dire «la corporeità».
Ma prima aveva avuto luogo un fatto singolare:
a sua insaputa, il demiurgo aveva in se stesso (immessi gli da sua madre) quei semi spirituali generati da Achamoth e «simili agli accompagnatori del Salvatore»:
sicché quando il demiurgo soffiò l’anima – sempre a sua insaputa – immise nell’uomo anche quei semi pneumatici;
semi però che non si trovano in tutti gli uomini, ma soltanto in alcuni (nei pneumatici o spirituali);
perciò questi semi sono detti «Chiesa», «figura della Chiesa superiore».
L’uomo dotato di questi semi è lo gnostico:
egli ha «l’anima dal demiurgo, il corpo dalla terra, la carne dalla materia, l’uomo pneumatico dalla madre Achamoth» ;
portato da questi elementi come da un utero materno, l’uomo pneumatico cresce fino alla maturità e si prepara ad accogliere il Logos e a ritornare nel pleroma:
l’involucro, cioè gli altri elementi, è provvisorio e destinato alla dissoluzione.
La missione del Salvatore nel mondo.
Quaggiù vi è dunque l’eterogeneità di tre nature:
l’elemento (o natura) ilico incapace di qualsiasi salvezza, l’elemento psichico capace di scegliere tra l’ilico e il pneumatico e – a secondo della scelta – di beneficiare di una certa quale salvezza, l’elemento pneumatico la cui salvezza è infallibilmente assicurata.
Questa la triplice distinzione:
ma nulla accade automaticamente, in quanto sia gli psichici sia i pneumatici necessitano di insegnamenti e di formazione.
La natura di questi tre elementi determina il modo con cui il Salvatore discenderà in questo mondo:
quali elementi assumerà?
L’elemento ilico è, per sua stessa natura escluso, dato che è corruttibile e votato alla distruzione;
il Salvatore prende da Achamoth la natura pneumatica, primizia di quanto deve essere salvato, e si riveste del Cristo psichico formato dal demiurgo;
ma tutti gli elementi finora assunti sono invisibili:
allora il demiurgo – con un’arte indicibile – rivestì il Cristo psichico «di un corpo che è di sostanza psichica, ma fatto… per essere visibile, percepibile e passibile.
Nulla assunse di ilico, perché la materia non può accogliere la salvezza»
Ai pneumatici il Salvatore apporta la gnosi o conoscenza dell’Essere supremo, del pleroma, della origine e natura, e con tale conoscenza cresceranno fino alla maturazione perfetta;
agli psichici, cioè ai cristiani ordinari costituenti la Chiesa psichica, insegna a seguire la via modesta della fede e delle opere buone, e se si attengono a questa via avranno la salvezza psichica col demiurgo, fuori del pleroma;
per i pneumatici ogni legge di quaggiù è indifferente, per natura sono destinati alla salvezza:
«come l’oro posto nel fango non perde la sua bellezza, ma conserva la propria natura, perché il fango non può… danneggiare l’oro, così… quali che siano le azioni iliche nelle quali si trovano implicati» non ricevono danno alcuno e non perdono il fondamento spirituale.
Sorte finale delle tre sostanze, o escatologia.
Quando tutti i semi pneumatici derivanti da Achamoth avranno raggiunto il numero completo previsto per gli eletti, allora avrà luogo la consumazione finale:
Achamoth lascerà il luogo intermedio, entrerà nel pleroma, e accoglierà il Salvatore quale suo sposo;
i pneumatici, abbandonato l’elemento ilico (il corpo) nel momento della morte, si spoglieranno dell’elemento psichico, ed entreranno nel pleroma ove li attendono gli angeli del Salvatore, cioè i loro sposi.
Dall’ebdomade il demiurgo passerà nel luogo intermedio, lasciato vuoto dalla madre, e quivi si installerà con gli psichici che avranno praticato la giustizia.
L’elemento ilico perirà interamente:
«… il fuoco celato nel mondo deflagrerà, si appiccherà e consumerà tutta la materia, sarà consumato con essa e se ne andrà nel nulla».
Ma il demiurgo non sa nulla di tutto ciò.
Varianti e specificazioni.
Ireneo sapeva bene che al di là di queste linee fondamentali vi erano, tra i Valentiniani, dei punti di dissenso di non poca importanza:
ne espone dunque alcuni:
1.
Secondo certuni il demiurgo avrebbe emesso anche il Cristo psichico, in possesso dei semi pneumatici (provenienti da Achamoth) e l’avrebbe rivestito di un «corpo» psichico, e tuttavia «visibile e palpabile»:
e questo sarebbe passato «attraverso Maria come l’acqua passa attraverso un tubo;
su di lui, nel battesimo, discese il Salvatore nato da tutti gli eòni del pleroma, in forma di colomba»;
a immagine della prima tetrade anche il Salvatore constava di quattro parti:
dal seme spirituale di Achamoth, dalla parte psichica derivante dal demiurgo, dalla «parte dell’economia» (cioè il corpo psichico speciale) derivante dal demiurgo, dal Salvatore disceso come colomba.
2.
La parte discesa come colomba non poteva essere né vista né dominata né patire;
la parte ricevuta da Achamoth, essendo pneumatica e invisibile, non poteva soffrire;
patirono, invece, il Cristo psichico e il Cristo dell’economia «fatto misteriosamente».
3.
Le anime che ricevettero il seme di Achamoth sono migliori e più amate dal demiurgo, anche se ne ignora il motivo («perciò le ha ripartite in profeti, sacerdoti, re»);
pensano – questi Valentiniani – che alcune cose siano state rivelate da questo seme per mezzo dei profeti, altre dalla madre, cioè da Achamoth, e altre dal demiurgo e dalle anime nate da lui;
come Gesù deriva parte dal Salvatore, parte dalla madre e parte dal demiurgo, così l’Antico Testamento non è tutto riducibile al demiurgo:
per suo tramite e a sua insaputa operava sia Enthymesis-Achamoth–Sofia, sia il seme spirituale da lei inserito in alcuni uomini psichici;
una divisione analoga vale pure per le parole di Gesù:
alcune derivano dal Salvatore, altre da Achamoth, altre dal demiurgo.
4.
Lungo tutto il periodo dell’Antico Testamento, il demiurgo ignorava interamente il mondo superiore e disprezzava le diverse profezie:
ma quando il Salvatore venne e glielo ha rivelato, egli l’accolse con gioia, e ormai ha cura della Chiesa, porta a compimento l’economia per tutto il tempo necessario, lieto della promessa di prendere poi il posto di sua madre.
5.
I tre generi di uomini «terreno – psichico – spirituale» si distinguono dalla loro natura come Caino – Abele – Seth;
il primo è votato alla distruzione;
il secondo ha la possibilità di scelta tra il male e il bene (e secondo la scelta avrà la sua fine);
il terzo è allevato ed educato quaggiù essendo stato mandato in uno stadio di imperfezione, e quando sarà giudicato degno della perfezione andrà nel pleroma con gli angeli.
Questa lunga Notizia di Ireneo, la cui importanza apparirà nelle pagine seguenti, è interrotta da quattro sezioni:
sull’esegesi gnostica di tratti neotestamentari a sostegno di quanto precede;
tratto sarcastico di Ireneo contro i Valentiniani ;
tratto ove è dipinta la condotta immorale dei Valentiniani;
sull’esegesi gnostica, come sopra.
a cura di Luigi Moraldi