Vangelo di Didimo Tommaso

 

Il Vangelo secondo l’Apostolo Didimo Giuda Tommaso

Commento e Prefazione Tratto da “Viaggio nella Gnosi” di Andrea Bertoloni e Fabio Imbergamo

Premessa

Ci sono libri che comunicano al lettore i propri contenuti in modo chiaro e diretto.

Il Vangelo di Tommaso non appartiene a questo genere di libro.

In esso l’autore, o colui che pensiamo come tale, sembrerebbe essersi premurato esatta­mente del contrario, ovvero che il lettore inizialmente non avesse un quadro chiaro dei contenuti del libro, ma dovesse essere lui a compiere determinati sforzi per capire cosa il testo volesse trasmettere.

In un certo senso, è come se al lettore fosse affidato il compito di interpretare il testo, in modo del tutto personale e originale.

Il Vangelo di Tommaso appartiene proprio a questo genere di libro.

È una raccolta di “detti”, attribuiti a Gesù, che si pongono al lettore in modo non sempre chiaro, come a volerlo spingere a compiere uno sforzo di compren­sione che va oltre quello richiesto dalla normale lettura.

Il lettore, nell’avvicinarsi ad esso, probabilmente si aspetta riposte sicure;

ma subito si rende conto che troverà, invece, delle “domande” a cui egli stesso è chiamato a rispondere.

I 114 detti, o loghia, prendono la forma di tante tessere di un grande mosaico.

Ma, e qui accade qualcosa di realmente affascinante, le tessere del mosaico è come se fossero spezzate, incomplete.

Sta al lettore ri­costruirle e completarle, dandogli una forma che consenta di incastrarle per costituire il disegno finale che, a questo punto, non è lo stesso per tutti, ma potrebbe variare, adattarsi, essere personalizzato.

Il disegno finale, in ogni caso, sarà la rappresentazione della vita eterna, come dichiarato nell’incipit del testo:

«Colui che trova il senso segreto di queste parole non assaggerà la morte».

 Ogni “detto”, o “loghion”, va quindi letto e meditato, compreso profondamente e portato su un terreno individuale.

Ciò richiede una lettura attenta e profonda riflessione.

Avvicinandosi al Vangelo di Tommaso con mente attiva e cuore aperto pos­sono avvenire in noi dei piccoli miracoli.

Il testo, particolare per struttura e contenuti rispetto agli altri vangeli che conosciamo, invita a fermarsi innanzi a ogni loghion per penetrarne intimamente il significato.

Il lettore diventa una sorta di co-autore, e cerca la Verità nell’unico luogo in cui si possono trovare le vere risposte:

se stesso.

La provenienza del testo

Il Vangelo di Tommaso è presente nel Codice II dei Codici di Nag Hammadi.

Anche questo testo, quindi, fa parte della meravigliosa raccolta che ci è pervenuta a seguito del rinvenimento, avvenuto nel dicembre del 1945, che avrebbe portato nuova luce sullo Gnosticismo e il Cristianesimo delle Origini.

Pur avendo la denominazione di “vangelo”, esso ha carattere di una rac­colta di massime, sentenze e aneddoti riguardanti Gesù, per cui ha una strut­tura letteraria di carattere antologico piuttosto che di tipo narrativo.

Ecco perché alcuni studiosi non lo considerano pienamente appartenente al genere letterario del vangelo.

Noi, al contrario, lo consideriamo a tutti gli effetti un Vangelo, perché esso reca realmente una buona novella.

Ed è indiscutibile il fatto che, sin dalla sua scoperta, questo testo abbia esercitato un notevole fascino su studiosi, credenti e appassionati del cristianesimo delle origini.

In esso, infatti, appare un Gesù diverso da come era stato dipinto da secoli di ortodossia:

un Gesù che invita a cercare le risposte dentro di sé.

Va detto, comunque, che il testo nel suo insieme non appare omogeneo.

Alcuni loghion mettono in luce una visione di sapore quasi orientale dell’in­segnamento di Gesù, in cui prevale la necessità di una conoscenza di se stessi e dell’abbandono di inutili regole e vane pratiche di penitenza.

Altri loghion, invece, sono di stampo più simile a quanto troviamo nei tre vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca, anche se mantengono delle differenze di impostazione che non sfuggono a un lettore attento.

Proprio a causa di que­ste differenze, insite nel testo, emerge l’orientamento gnostico del Vangelo di Tommaso.

Più avanti spiegheremo meglio questo punto, quando prendere­mo in esame alcuni dei loghion per commentarli.

Il fatto, comunque, che in questo vangelo vi siano massime e sentenze chiaramente riconducibili ai tre sinottici ha riaperto l’affascinante questione sull’esistenza o meno della cosiddetta Fonte “Q”, (dal tedesco Quelle, fon­te).

Questa ipotetica fonte, di cui non abbiamo ad oggi rinvenuto alcun testo, sarebbe il “contenitore” da cui avrebbero attinto i tre evangelisti Matteo, Marco e Luca per la redazione dei rispettivi vangeli, e proprio il fatto che tutti e tre abbiano attinto da una medesima fonte spiegherebbe le evidenti convergenze dei tre vangeli detti, per l’appunto, sinottici.

La scoperta del Vangelo di Tommaso ha fatto sì che qualche studioso abbia ipotizzato che
proprio questo testo possa essere la Fonte “Q”, e che quindi potesse essere all’origine dei tre sinottici.

Questa ipotesi appare, però, alquanto forzata, dato che il Vangelo di Tommaso, come abbiamo detto, si presenta come un te­sto eterogeneo in cui alcuni contenuti, effettivamente, convergono con quelli dei sinottici, ma molti altri sono chiaramente divergenti.

Concludendo, ad oggi continua ad apparire incerto il fatto che il Vangelo di Tommaso possa essere la Fonte “Q”;

così come non abbiamo neppure le prove per affermare che il Vangelo di Tommaso, al pari dei tre sinottici, possa essere stato da essa tratto.

Tornando alla composizione del testo, si nota quindi che i vari loghion sono una raccolta di elementi tratti da più fonti di varie epoche.

Colui che si occupò di riunire tutti i loghion probabilmente voleva raccogliere in un unico corpus elementi di tradizioni diverse, attingendo dalla tradizione si­riaca da un lato, dall’altro dalla tradizione del cristianesimo tradizionale da cui hanno attinto i canonici.

Alcuni loghion potrebbero avere una datazione addirittura precedente a quella dei tre sinottici, ma su questo non ci sono cer­tezze.

Altri loghion, invece, potrebbero appartenere a tradizioni successive.

Il testo, nel suo insieme, probabilmente è stato definitivamente assemblato e redatto intorno agli anni 120-140 e poi inserito nei codici di Nag Hammadi in epoca ancora successiva.

Colui che materialmente compose il testo aveva uno stile affine alle lin­gue semite dei popoli dell’area siriana, ragion per cui si pensa che la lingua originale con cui fu scritto sia proprio il siriaco.

Ma, come ormai sappiamo, tutti i testi dei codici di Nag Hammadi ci sono pervenuti in copto e, quasi sicuramente, sono traduzioni di originali greci.

Il nostro Vangelo, quindi, sarebbe stato scritto originariamente in siriaco;

poi diffuso e tradotto in gre­co per poi essere, infine, tradotto in copto e giungere in tale lingua sino a noi.

Ma va anche detto che alcuni studiosi non la pensano così, e propendo­no piuttosto per una redazione direttamente in greco.

Insomma, anche per quanto riguarda la lingua originale del nostro Vangelo non ci sono sicurezze, anche se l’ipotesi del siriaco come lingua di prima stesura è attualmente quella più accreditata.

Il Codice II di Nag Hammadi, come è noto, è tuttora conservato presso il Museo Copto del Cairo insieme agli altri codici della raccolta.

 

La figura dell’Apostolo Tommaso

Nella prima tradizione cristiana Tommaso è presentato come l’apostolo del dubbio, colui che non credette alla resurrezione di Gesù finché non ne ebbe le prove:

«Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù.

  Gli dissero allora gli altri discepoli:

 Abbiamo visto il Signore!

 Ma egli disse loro:

 Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro.

  Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse:

 Pace a voi! .

 

 Poi disse a Tommaso:

 Porgi qua il dito e vedi le mie mani:

 porgi la mano e mettila nel mio costato:

 e non essere incredulo, ma credente , Tommaso gli rispose:

 Signore mio e Dio mio! ”».

 

Tuttavia, nella tradizione del cristianesimo gnostico l’apostolo Tommaso è dipinto come colui che è talmente avanti sul cammino spirituale da poter essere considerato didimo, ovvero gemello di Gesù, attribuendo a questo termine una parentela che attesta l’uguaglianza spirituale fra i due:

«Siccome ti chiamano mio fratello, non ti conviene ignorare quello che sei.

  So che hai ottenuto la conoscenza poiché hai conosciuto me che sono la conoscenza della verità:

 sicché tu cammini con me anche quando non lo sai.

 

 Tu hai già conosciuto e sarai chiamato colui che conosce se stesso ” Infatti, chi non conosce se stesso non conosce nulla, mentre colui che conosce se stesso è già a conoscenza della profondità del tutto».

 

Questo passo è tratto dal Libro dellAtleta Tommaso, anch’esso presente nel Codice II di Nag Hammadi, e mostra come Tommaso fosse ritenuto l’apostolo che già conosce.

 Nello stesso Vangelo di Tommaso, qui esaminato, vi è un loghion che mo­stra perfino una certa superiorità di Tommaso nei confronti degli altri di­scepoli:

«Gesù disse ai suoi discepoli:

 Fatemi un paragone, ditemi a chi rassomiglio ”.

  Simon Pietro gli rispose:

 Sei simile a un angelo giusto Matteo gli rispose:

 Maestro, sei simile a un saggio filosofo.

  Tommaso gli rispose:

 Maestro.

  la mia bocca è assolutamente incapace di dire a chi sei simile , Gesù gli disse:

 lo non sono il tuo maestro giacché hai bevuto e ti sei inebriato alla fonte gorgogliante che io stesso ho gustato ».

 Ricordiamo, infine, come nel Libro Primo della Pistis Sophia, Tommaso venga designato, con Filippo e Matteo, quale trascrittore dei discorsi del Sal­vatore, che cosi si pronuncia:

«A te (Filippo), a Tommaso e a Matteo, il Primo Mistero ha assegnato il compito di scrivere tutti i discorsi che pronuncerò e farò, e tutte le cose che voi vedrete, affinché possiate testimoniare ogni cosa concernente il Regno dei Cieli».

 Tommaso, dunque, sembrerebbe essere depositario di segreti e insegna­menti provenienti direttamente da Gesù.

Non solo:

egli avrebbe raggiunto un livello di sviluppo spirituale talmente elevato da essere assimilato allo stesso Gesù, tanto da essere suo “gemello”.

La cosa non meraviglia se pensiamo che Tommaso, nel primo cristianesimo sorto nell’area siriana, era ritenuto forse l’apostolo più importante e che per primo aveva diffuso gli insegna­menti del Salvatore in quelle zone sino a spingersi, come è noto, in India.

Non deve meravigliare, quindi, che una raccolta importante come quella che stiamo esaminando sia stata attribuita proprio all’apostolo Tommaso, la cui figura fu di grande ispirazione per i primi cristiani dell’area orientale.

 

Il testo ed il suo commento

Abbiamo ritenuto utile riportare il testo per intero.

Tuttavia abbiamo preferito adottare come riferimento la traduzione del Moraldi da un lato, e quella del Pincherle dall’altro.

Questa scelta trova la sua motivazione nel preferire autori che hanno stabilito un collegamento diretto tra il testo copto e la lingua italiana.

In questo modo si dovrebbe es­sere preservato più possibile il significato originale che, come ben sappiamo, si perde sempre almeno in parte anche nella più accurata delle traduzioni.

Quanto al carattere del testo, possiamo osservare che in esso vi sono loghia che si riprendono l’uno con l’altro e che, talvolta, sembrano quasi ripe­tersi.

Inoltre alcuni detti di Gesù sono straordinariamente simili a passi dei vangeli canonici, mentre altri sembrano discostarsene in modo evidente.

Ciò lascia pensare che l’effettivo redattore del Vangelo non sia una sola persona.

Ciò impone anche criteri molto elastici nell’interpretazione, che deve te­nere conto non solo dell’ambiente storico e geografico, ma anche del fatto che alcuni detti provengono da una sorta di antico contenitore sapienziale, mentre altri da altre fonti più vicine all’epoca in cui visse Gesù e da cui, pro­babilmente, hanno anche attinto i redattori dei vangeli canonici.

Nei commenti che seguono ogni loghion abbiamo ridotto al minimo le considerazioni di tipo storico e teologico, ormai reperibili in un gran numero di pubblicazioni.

Abbiamo, invece, offerto al lettore riflessioni che possano aiutarlo nel recepire contenuti di tipo spirituale ed iniziatico.

I loghia di Tommaso offrono vari livelli di interpretazione e su di essi si potrebbero scrivere interi tomi.

Ma non crediamo che sia necessario arrivare a tanto, quanto piuttosto meditare ciascun loghion e trarre il messaggio che di volta in volta “ci giungerà” tramite esso.

È proprio questo che abbiamo fatto e che qui offriamo, invitando, come sempre, il lettore ad avvicinarsi senza timore a questo bellissimo testo per trame in modo autonomo tutte le intuizioni che potranno derivare da una attenta lettura.

Incipit

«Questi sono i detti segreti pronunciati da Gesù, il Vìvente.

  e che Didimo, Giuda Tomaso, ha trascritto»,

Come abbiamo detto didimo significa gemello.

 Tommaso, quindi, è spi­ritualmente il gemello di Gesù.

Egli si fonde col Maestro e con Lui ha una perfetta sintonia, tanto da esservi paragonato.

Grazie a questa profonda fu­sione il Maestro è sempre con Tommaso, e Tommaso è sempre con Gesù, al di là di tempo e spazio.

Il discepolo può sempre essere in uno stato di unione interiore col Ma­estro.

In questo modo, tramite canali di comunicazione che trascendono il normale linguaggio, può da Lui trarre insegnamenti profondi e coglierLo in ogni cosa e ogni avvenimento.

La beatitudine e lo stato interiore del Maestro possono diffondersi nell’animo del discepolo così come un benefico virus si trasmette da uomo a uomo.

Sant Kirpal Singh scrive che «La Spiritualità, nel vero senso della parola,  non si può né comprare,  né insegnare,  ma si può solo prendere come un ‘infezione dall Uomo-Dio».

 Fra Maestro e discepo­lo si istaura un canale di trasmissione attraverso cui la conoscenza scorre come acqua fra due vasi comunicanti.

Nel loghion Gesù è definito come il vivente:

il suo spirito è vivo e sempre lo sarà.

Anche noi, dopo più di duemila anni dalla sua venuta.

Lo preghiamo e a Lui ci raccomandiamo.

Ma dobbiamo anche tenere presente che per il ricercatore spirituale arriva il momento in cui diviene fondamentale avere un maestro tutt ‘ora vivente, con cui poter instaurare un rapporto diretto di discepolato.

I benefici che si hanno da tale rapporto sono incalcolabili, per cui il primo desiderio di un ricercatore dovrebbe essere proprio quello di incontrare una persona illuminata e porsi sotto la Sua ala di Conoscenza.

Se tale desiderio è reale e sincero gli avvenimenti della vita faranno sicuramen­te in modo che tale incontro avvenga.

1.

E Lui ha detto: Colui che trova il senso segreto di queste parole non assaggerò alla morte.

Perché “segreto”?

Non potrebbe essere dato a tutti e liberare in un solo colpo l’umanità dalla morte?

No: il senso segreto va cercato.

Si tratta di una ricerca difficile, ma tutti possono riuscire in essa:

«In ogni uomo esistono facoltà latenti per mezzo delle quali può acqui­starsi conoscenze sui mondi superiori.

 Cercare il senso segreto è il compito degli esseri umani di ogni tempo e ogni luogo.

Si tratta dell’Eterna Ricerca dell’Uomo a cui tutti siamo chia­mati.

La vita dovrebbe essere spesa in questa ricerca, e sempre di più ognuno dovrebbe dirigere la sua attenzione e destinare il proprio tempo ad essa.

Quando si intraprende un cammino spirituale i benefici sono subito evi­denti:

si viene pervasi di una nuova forma di consapevolezza e, seppure nelle difficoltà che il cammino ci pone innanzi, abbiamo la certezza che tutto ciò che ci accade ha lo scopo di farci avvicinare alla mèta finale.

La morte, intesa come morte spirituale, si allontana da noi sempre di più, perché siamo noi che diventiamo sempre più vivi, più consapevoli e presenti nel nostro essere.

La qualità della nostra vita aumenta e il nostro stato d’ani­mo si solleva.

Ciò che pensavamo fossero problemi si dissolvono come pol­vere al vento.

Le difficoltà, certamente, permangono e le sfide aumentano.

Ma, pure, aumentano in noi la gioia e la forza per affrontarle.

 

2.

Gesù disse:

 «Chi cerca non smetta di cercare finché non troverà, e quando troverà resterà sconvolto e, così sconvolto, farà cose meravigliose e regnerà sul Tutto».

 Tommaso qui indica cinque fasi fondamentali del cammino spirituale.

Il cercare è il primo passo che si intraprende quando la vita ci mostra l’impermanenza di tutto ciò che ci circonda.

Nasce quindi l’impulso a cer­care un significato profondo al mistero dell’esistenza.

A volte sono avveni­menti improvvisi e traumatici che spingono gli esseri umani ad uscire da una sorta di torpore esistenziale e a intraprendere un cammino di ricerca.

Trovare è la fase seguente:

cominciata la ricerca gli esseri umani inizia­no a conoscere se stessi e il mondo.

A questo punto è inevitabile rimanere sconvolti, perché nel bene e nel male si scoprono cose che mai si sarebbero sospettate.

Aspetti di noi stessi emergono in modo evidente mostrandoci una realtà molto diversa da quanto avevamo sino ad allora pensato.

Ma quando si è metabolizzato ciò che si è scoperto ci si apre una nuova panoramica della vita e di noi stessi.

Il nostro agire si modifica e iniziamo a fare cose meravigliose.

 Soprattutto cambia lo stato di coscienza con cui agiamo nel mondo, che diventa più presente e consapevole.

La fase finale si raggiunge quando si opera nel mondo con la piena cono­scenza della nostra natura divina:

ecco che si regna sul Tutto pur rimetten­dosi a una Volontà Superiore che opera per mezzo di noi.

 

3. 

Gesù ha detto:

 «Se chi vi guida vi dice:  sì.

  il Regno è nei Cieli, allora gli uccelli del cielo saranno in vantaggio, se vi dicono che è nel mare, allora i pesci saranno in vantaggio.

  Ma il Regno è dentro di voi e  fuori di voi.

  Quan­do vi conoscerete allora saprete che siete voi i figli del Padre Vìvente.

  Ma se capita di non conoscere voi stessi, allora restate poveri e siete la povertà stessa!».

 Questo loghion è di una logica limpida e incontestabile.

La vera ricchezza è conoscere se stessi e, quindi, il Regno:

questo è il fine ultimo a cui tendere.

Si pensa che le ricchezze siano nel mondo del­la materia:

normalmente è li che si cercano tramite l’esercizio dei potere o l’accumulo di beni materiali.

I Santi e i Maestri di tutti i tempi hanno sempre messo in allerta verso il conseguimento di ricchezze e potere, così come hanno posto l’accento sulla necessità di non focalizzarsi sulle perce­zioni sensoriali, fallaci e limitanti per loro natura.

Purtroppo è molto difficile non cadere irretiti dalle tentazioni dei sensi e dai balocchi del mondo.

Molti grandi uomini ci sono caduti anche dopo aver raggiunto un elevato livello di spiritualità.

Eppure affrancarsi dal mondo è un passaggio necessario per chi intraprende un cammino spirituale, che deve combattere contro tendenze che lo tengono prigioniero e lo privano della propria forza vitale.

Fuggire da questa prigione non è semplice, e serve l’aiuto di persone che si siano già liberate:

gli autentici Maestri spirituali come lo fu Gesù e come ve ne sono anche attualmente di viventi sulla terra.

 

4.

Gesù ha detto:

 «Luomo vecchio non esiti a rendere i suoi giorni come i sette giorni di un neonato allorigine della vita, e continuerà a vivere, per­ché ciò che è prima diviene ciò che è dopo e tutto si unisce».

 Nelle comunità ebraiche il neonato veniva ufficialmente introdotto al nono giorno di vita.

Si può quindi intuire quanto poco contasse, dal punto di vista sociale, un neonato di sette giorni.

Sempre nelle comunità ebraiche, al contrario, gli anziani godevano di
grande considerazione sia nell’ambito familiare che in quello sociale.

Ed ecco che Gesù, in questo loghion.

raccomanda alla persona anziana, figura altamente autorevole, di tornare ad essere come un neonato.

Un atto di rinuncia, di umiltà e, al contempo, di presa di coscienza dei limiti dell’e­sistenza umana.

Un atto necessario per continuare a vivere nella verità e nell’accettazione della propria essenza interiore, che non si identifica e non si misura con l’immagine che si ha nella società.

Ma ancora più importante è chiarire a se stessi che la propria esistenza è limitata e temporanea.

Come siamo arrivati nel mondo, allo stesso modo prima o poi ce ne dovremo an­dare e tatto si unisce.

 Perché proprio il neonato di sette giorni?

Il numero sette ha un significato particolare e la sua simbologia riporta alla concezione platonica, secondo cui vi sono sette principi primi che presiedono alla creazione e che regolano tutti gli aspetti della vita.

 

5.

Gesù disse:

 «Conosci ciò che ti sta davanti, e ti si manifesterà ciò che ti è nascosto.

  Giacché non vi è nulla di nascosto che non sarà manifestato».

 Questo loghion ci porta ad esaminare il ben noto principio dello specchio.

Osservando ciò che ci sta davanti abbiamo una diretta rappresentazione di ciò che di noi stessi non riusciamo a vedere.

Ognuno di noi sa bene che non può vedere il proprio volto senza uno specchio.

Allo stesso modo il mondo circostante funge da specchio per poter osservare lati della nostra personalità che altrimenti ci sarebbe impossibile vedere.

Occorre coraggio e onestà per ammettere che ciò che si vede all’esterno in realtà ci appartiene.

Ad esempio, quando si osserva una persona che si comporta in modo scorretto o aggressivo la tendenza immediata è quella di condannare quella persona.

Invece ci si dovrebbe chiedere:

Quanto cè di lei in me?

 Quali aspetti di me mi sta mostrando la vita tramite quella per­sona?.

 

6.

L’interrogarono i suoi discepoli e gli dissero:

 « Vuoi tu che digiuniamo?

 Come pregheremo e daremo lelemosina?

 E che norma seguiremo riguardo al vitto?».

 Gesù disse:

 «Non mentite e non fate ciò che odiate, giacché tutto è mani­festo al cospetto del cielo.

  Non vi è nulla, infatti, di nascosto che non venga manifestato, nulla di celato che non venga rivelato».

 Le rinunce, e persino le preghiere, hanno valore solo se sono frutto di vere e buone intenzioni.

Non sono di alcun valore se non scaturiscono da una sincera spinta interiore.

Se ci si costringe, o se si fa qualcosa solo per osservare una sterile regola, anche le migliori azioni o le più elevate pratiche spirituali perdono di efficacia.

Quando ci si costringe a qualcosa nasce in noi rabbia, risentimento e frustrazione:

meglio allora non farlo.

Tuttavia occorre anche sottolineare che sottoporsi a una sana ed equilibrata disciplina è ne­cessario per ottenere qualunque conseguimento.

Ognuno, quindi, dovrebbe sempre capire sino a che punto spingersi nelle pratiche utilizzando il proprio il proprio buon senso.

 

7.

Gesù disse:

 «Beato il leone mangiato da un uomo:

 diverrà uomo:

 male­detto luomo mangiato da un leone:

 luomo diverrà leone».

 Gesù ci pone di fronte a due “tipi” di leone.

Il primo rappresenta le pas­sioni e gli istinti che l’uomo riesce a trasmutare in positivo.

Il leone, allora, simboleggia le parti più elevate della natura umana:

coraggio, forza, bellez­za.

Ma se l’uomo soccombe ai suoi istinti distruttivi e alle basse passioni, ecco che diventa egli stesso “leone”, ovvero aggressività, dispotismo, orgo­glio e prepotenza.

 

8.

Egli disse:

 «Luomo è simile a un pescatore saggio che gettò la sua rete in mare, e dal mare la ritirò carica di pesci piccoli.

  In mezzo a quelli il saggio pescatore scorse un bel pesce grosso:

 allora gettò via, in mare, tutti i pesci piccoli e scelse senza sforzo il pesce grande.

  Chi ha orecchie da in­tendere, intenda.».

 Questo passo è largamente diffuso anche in altri testi della cristianità.

L’immagine del pescatore simboleggia colui che cerca:

egli getta in mare la sua rete e aspetta che qualcosa di prezioso vi rimanga dentro.

Il cercatore spirituale fa la stessa cosa:

compie degli sforzi ma sa benissimo che non tutto dipende da lui.

esattamente come il pescatore sa che non dipende solo da lui il fatto di prendere dei pesci.

Occorre il concorso di una Volontà che trascende l’umano agire.

Ma possiamo essere certi che prima o poi questa Volontà opererà in favore del pescatore e farà rimanere nella rete qualcosa di veramente prezioso.

Avrà il pescatore la saggezza di rinunciare a tutti pesci piccoli e tenere quello realmente grande?

L’esperienza dimostra che poche volte ciò accade:

gli esseri umani si accontentano dei pesci piccoli e vagano per ere immersi in ciò che non è realmente importante, trascurando ciò che potrebbe renderli definitivamente liberi e felici.

Ma la Volontà Trascendente non abbandona gli esseri umani nemmeno quando essi scelgono i pesci piccoli.

Le benedizioni e le grazie che da Essa provengono si ripeteranno, e presto il cercatore capirà che per lui è molto meglio rinunciare ai pesci piccoli e tenere per sé l’unico veramente prezioso.

 

9.

Gesù ha detto:

 «Ecco che il seminatore esce, riempie la sua mano di semi e li getta, qualcuno cade sulla strada, vengono gli uccelli e li beccano.

  Altri cadono sulle rocce e non affondano radice nella terra e non innalzano spiga verso il cielo, altri cadono su una siepe di spine e la semenza marcisce e il verme se la mangia, e altri cadono sulla buona terra e innalzano buon frutto verso il cielo».

 L’essere umano (il seminatore) svolge continuamente azioni (semina) frutto di sue intenzioni (semi).

Di tutte queste solo quelle svolte con amore e attenzione (la buona terra) danno frutti che gli consentono di elevarsi (il buon frutto verso il cielo).

Per crescere spiritualmente è importante con­centrare la propria attenzione alle piante che vanno verso il cielo, curarle e alimentarle per farle crescere:

presto l’interiorità dell’uomo diverrà uno splendido giardino pieno di frutti e fiori.

La terra è anche la metafora della condotta etica che occorre adottare per progredire sul cammino spirituale.

Ogni religione e ogni Maestro han­no sempre sottolineato che i semi della spiritualità attecchiscono solo se il terreno individuale è ben curato tramite la pratica della non-violenza, della sincerità, dell’autocontrollo e continenza, dell’amore per l’intera creazione, dell’umiltà, dei servizio verso tutti e, infine ma non meno importante, di una dieta sana e rispettosa verso la natura, primi fra cui gli animali.

 

10.

Gesù ha detto:

 «Ho lanciato una fiamma nel Cosmo e la custodisco af­finché arda».

 Nelle Scritture di tutte le religioni si parla di Dio sotto forma di mani­festazioni luminose.

Sembra che Egli, benché ineffabile, si manifesti sotto forma di Luce e Suono omnipervadenti.

La fiamma per sua natura, infatti, produce luce e suono come conseguenza della combustione.

Gesù lancia nel cosmo Luce e Suono, e tramite essi crea interi universi.

La sua è, innanzitutto, un’azione creatrice e, poi, un’azione di mantenimento di ciò che è stato creato.

Luce e Suono sono la diretta emanazione dell’Energia del Dio ineffabile che tutto crea e presiede, e tale energia ci giunge tramite Gesù, diretto am­basciatore di Dio.

Il discepolo, durante il suo percorso, dovrebbe mettersi in contatto con questa Luce e con questo Suono e tramite di essi, sintonizzare il proprio essere con l’Energia di Dio.

Esattamente questo è narrato negli Atti degli Apostoli rispetto a quanto avvenne il giorno della Pentecoste, in cui la fiamma celeste giunse agli apostoli sotto forma di lingue di fuoco (luce) e squilli di trombe (suono celestiale).

Luce e Suono sono lo Spirito Santo che giunge agli apostoli per opera del Maestro, che opera costantemente in ogni tempo e in ogni luogo, oltrepas­sando le barriere del tempo e dello spazio.

 

11.

Gesù disse:

 «Passerà questo cielo e passerà ciò che è sopra di esso, i morti non sono vivi e i vivi non morranno.

  Nei giorni in cui mangiavate ciò che è morto, voi lo rendevate vivo.

  Quando sarete nella luce che cosa farete?

 Nel giorno in cui eravate uno, siete diventati due.

  Ma allorché siete diventati due che cosa farete? ».

 I “vivi” sono coloro che hanno sviluppato la consapevolezza di Dio, del “cielo” e dell’infinito che da sempre esiste.

Essi hanno trasmutato le parti “morte” di se stessi e ora sono a contatto con la Luce, diretta e prima mani­festazione di Dio.

Quando si è invasi da questa Luce si è nell’unità e nella totalità.

Se non si è in contatto con la Luce diretta di Dio non si potrà che essere “due”, cioè vivere nella frammentazione che genera sofferenza sia a livello interiore che esteriore.

 

12.

I discepoli dissero a Gesù: «Sappiamo che ci lascerai, dopo, chi ci gui­derà?».

  Gesù rispose loro:

 «Giunti a quel punto andate da Giacomo il Giu­sto,  

 spettano a lui le cose che riguardano la terra e il cielo».

 Devoti e studiosi hanno discusso per secoli se il “vero” successore indi­cato da Gesù sia Giacomo, uno dei suoi fratelli, o Pietro.

Quando un Mae­stro lascia la dimensione terrena normalmente lascia un successore, ma non sempre.

Le questioni relative alle successioni e ai lignaggi sono sempre state complesse, anche perché comprendono problematiche che, purtroppo, esulano dalla spiritualità e, spesso, abbracciano lotte di potere.

Ma i cercatoti non si devono scoraggiare:

«Il vero Maestro è nominato direttamente da Dio» e la sua statura spirituale sarà sempre ben evidente agli occhi di colo­ro che desiderano ardentemente nutrirsi di veri insegnamenti.

 

13.

Gesù ha detto ai suoi discepoli:

 «Cercate un paragone e dite a chi somi­glio.

  Simon Pietro ha detto:

 «Somigli ad un angelo giusto».

  Matteo ha detto:

«Somigli a un uomo amante della saggezza e dal cuore retto».

  E Tomaso gli dice:

 «Dolce Maestro, la mia Bocca rifiuta di dire a chi somigli».

  Gesù Cristo dice allora:

 «Non sono più il tuo Maestro da quando hai bevuto sino alla pienezza alla fonte ribollente che io stesso ho gustata».

  E lo prese in disparte in un luogo nascosto e gli disse tre parole.

  Quindi Tomaso, essendo tornato ai suoi compagni, questi gli dissero:

 «Che cosa Gesù ti ha rivelato?».

  E Tomaso rispose loro:

 «Se io vi dico una sola delle parole che Lui mi ha detto, prende­rete pietre e mi lapiderete, e un fuoco verrà fuori dalle pietre e vi brucerà».

 Tommaso non riesce a trovare parole adatte per descrivere Gesù:

ha capi­to che il Maestro è Spirito Infinito, e che non c’è sulla terra nulla che può somigliargli.

Gesù conferma che Tommaso ha compreso:

lo prende in disparte e si manifesta a lui in forma di Luce.

Quali siano le tre parole il loghion non lo dice.

Ciò che però tutti gli autentici Santi sanno è che Dio si manifesta sotto forma di Luce e Suono celestiali, che sono la natura di Gesù e, ora, anche di Tommaso, che di lui è didimo (gemello).

Quando Tommaso torna dai compagni non può dire ciò che ha visto per­ché non sarebbe creduto:

essi lo ucciderebbero credendolo un pazzo e un ipocrita.

Ma così facendo attirerebbero su di essi una grande maledizione e sarebbero bruciati dalle conseguenze della loro stessa scellerata quanto inconsapevole azione.

 

14.

Gesù disse loro:

 «Se voi digiunate, cadrete in errore per vostra colpa, se voi pregate sarete condannati, e se farete lelemosina farete del male al vostro Spirito, e se entrate in qualche paese o percorrete qualche regione, se qualcuno vi ospita, mangiate pure ciò che vi mettono davanti e curate quelli fra loro che sono malati perchè quello che entrerà nella vostra bocca non vi può contaminare ma ciò che esce dalla vostra bocca vi contamina!».

 Queste parole di Gesù sembrano riprendere il contenuto del loghion n.6, ma con una differente sfumatura di significato.

Qui l’accento è posto sul fatto che le pratiche religiose e le rinunce possono essere qualcosa che separa il discepolo dal mondo, piuttosto che avvicinarlo all’umanità soffe­rente.

Gesù ricorda che il servizio amorevole e il saper stare nel mondo è più importante di regole ascetiche e pratiche religiose, e che se il discepolo ha un animo puro nulla potrà contaminarlo.

 

15.

Gesù ha detto:

 «Quando vedete colui che non è nato da donna inchinate­vi col viso a terra e adoratelo perchè è Lui il vostro Padre».

 Quando si “vede” ciò che trascende l’aspetto materiale, si percepiscono le realtà immortali dell’essere umano e non ci si può che inchinare.

Ciò è particolarmente evidente nella figura del Maestro, che si pone come mani­festazione più visibile della Luce del Padre.

Da qui la pratica, antica come il mondo, di inchinarsi e prostrarsi innanzi ai Maestri.

 

16.

Gesù disse:

 «Forse gli uomini pensano che io sia venuto a gettare pace sul mondo e non sunno che io sono venuto a gettare divisioni, fuoco, spada, guerra.

  Cinque saranno in una casa:

 tre contro due e due contro tre.

  il padre contro il figlio e il  figlio contro il padre.

  Ed essi se ne staranno soli».

 La via del cercatore spirituale non dovrebbe seguire le logiche del mondo, ma quelle dello spirito.

Tutto ciò che è terreno deve essere prima vissuto e poi abbandonato.

Gli attaccamenti devono essere superati per andare incon­tro alla libertà.

Ecco perché il Maestro spesso compie azioni che spezzano, sovvertono e distruggono.

Le parole di Gesù offrono, senza mezzi termini, l’immagine di un uomo che affronta divisioni e separazioni, dentro e fuori se stesso, perfino dalla famiglia, che è per chiunque l’ambiente più importante.

Quando finalmente sarà solo con se stesso e si sarà separato dai vincoli ter­reni, egli troverà le condizioni per la ricerca spirituale.

 

17.

Gesù ha detto:

 « Vi darò ciò che locchio non ha mai visto, e lorecchio non ha mai udito, e la mano non ha mai toccato, e che non ha mai raggiunto il cuore dell uomo».

 Gli esseri umani sono normalmente incentrati sulle percezioni sensoriali, di cui la vista, l’udito e il tatto sono quelle che più ne catalizzano l’atten­zione.

Ciò che Gesù ha da dare non appartiene all’ambito sensoriale, ma a qualcosa che trascende i sensi e la materia, e perfino il cuore dell ‘uomo, in­teso come il mondo delle emozioni, del piacere e del dispiacere.

Le polarità sono annullate, e l’uomo diventa felice indipendentemente dal buono e dal cattivo, dal bene e dal male, dal piacere e dal dispiacere.

 

18.

I Discepoli dissero a Gesù:

 «Dicci quale sarà la nostra fine!».

  Gesù ri­spose:

 « Voi che avete conosciuto il principio, perché vi preoccupate della morte?

 Infatti dov è il principio, là è la fine.

  Felice colui che vive sempre nel principio e sa cos è la  fine e non assaggerà le morti».

 I discepoli pongono a Gesù una delle più importanti domande esistenziali di sempre:

qual è il fine della vita dell’uomo?

Il Maestro cambia la prospet­tiva del problema e invita i discepoli a vivere sempre nel principio:

così po­tranno essere felici.

Come si può vivere sempre nel principio?

Solo vivendo attimo per attimo il presente:

in questo modo il principio sarà anche la fine perché non ci sarà più né principio né fine.

 

19.

Gesù ha detto:

 «Felice colui che è esistito già prima di venire allinsisten­za!

 Se voi divenite miei discepoli e capite queste mie parole, esse potranno servirvi di fondamento.

  In verità avete cinque alberi in Paradiso che non cambiano né destate né dinverno e le loro foglie non cadono.

  Colui che li conosce non assaggerà le morti».

 Il cinque è il numero dell’essere umano:

solo l’uomo, infatti, ha cinque dita delle mani e dei piedi, e cinque sensi principali.

Inoltre, come giustamente fa notare il Moraldi, nel Salterio Manicheo i cinque alberi sono il pensiero, il sentimento, la riflessione, l’intelletto e il ra­gionamento.

Anche queste sono funzioni che, nel loro complesso, possiede solo l’uomo.

I cinque alberi rappresentano, quindi, l’uomo nella sua totalità:

chi li co­nosce, conosce se stesso.

 

20.

discepoli chiesero: 

«Dicci a cosa somiglia il Regno dei Cieli».

Lui ri­spose loro:

«Somiglia a un granellino di senape, il più piccolo di tutti i semi.

Quando cade sulla terra arata produce un grande tronco che offre riparo agli uccelli del cielo».

Il più piccolo di tutti i semi e la terra arata:

non servono grandi cose per conoscere il Regno, purché sia stato preparato il terreno giusto.

Quando si intraprende un cammino spirituale è della massima importanza prepararsi, sviluppando le giuste qualità.

I Maestri parlano di sviluppare una mente cal­ma, la non violenza, la sincerità, l’amore universale, la castità e l’umiltà.

Dal punto vista della vita pratica è importante adottare una corretta dieta, avere una onesta occupazione per guadagnarsi da vivere, e adottare un atteggia­mento di contentezza e distacco.

Il servizio amorevole e disinteressato per il prossimo, infine, riempirà la vita con numerose benedizioni.

Il discepolo, in questo modo, “arerà” il terreno del proprio essere:

a quel punto basterà che vi cada un piccolo seme per far nascere il grande albero della spiritualità!

 

21.

Maria chiese a Gesù:

 «A chi somiglia un tuo discepolo?».

  Lui rispose:

 «Somiglia a un fanciullo che si trova in un campo che non è suo.

  Quando arriva il padrone gli grida:

 “Lascia ciò che non è tuo E lui si sveste in sua presenza per discolparsi e restituire tutto.

  Per questo io dico che il padrone sa che i ladri arrivano.

  Veglia in attesa del loro arrivo per non permettere a loro di aprire un varco nella casa del suo regno per rubarne le proprietà.

  Ma voi siate vigili nel mondo e sostenetevi con gran forza sulle vostre reni per timore che i ladri non trovino una via per giungere  fino a voi.

  perché le cose necessarie su cui voi fate tanto affidamento, essi ve le ruberanno.

  Possa esservi fra di voi un uomo vigile che intenda.

  Il frutto è ormai maturo e quel­lo giunge rapidamente con la falce in mano e lo ha reciso!

 Chi ha orecchie per intendere intenda!».

 Il fanciullo utilizza un giocattolo e, dopo essersi divertito, lo abbandona in un angolo.

Nello stesso modo il discepolo di Gesù è disposto, senza sfor­zo.

a “lasciare ciò che non è suo” nel momento in cui gli sarà richiesto.

Il discepolo sa bene che prima o poi arriverà quel momento, e veglia in attesa di esso, è vigile nel mondo.

L’“uomo vigile” prende il “frutto” delle espe­rienze e non si cura delle “proprietà”.

Non fa affidamento su ciò che prima o poi sarà “rubato dai ladri”, ovvero dalle leggi della materia che prevedono che nulla sia permanente, ma si sostiene “sulle proprie reni”, cioè sulla co­noscenza di sé e della Verità.

 

22.

Gesù vide dei piccoli che prendevano il latte e disse ai suoi discepoli:

 «Questi piccoli lattanti somigliano a coloro che entrano nel Regno».

  Loro gli chiesero:

 «Se saremo come quei bimbi entreremo nel Regno?».

  Gesù rispose loro:

 «Quando fate di due cose una unità e farete l’interno uguale all ‘esterno e l’esterno uguale all ‘interno e il superiore uguale all’Inferiore, quando ridurrete il maschio e la femmina ad un unico essere così che il maschio non sia solo maschio e la femmina non resti solo femmina, quando considerate due occhi come unità di occhio ma una mano come unità di mano e un piede come unità di piede, una funzione vitale in luogo di una funzione vitale, allora troverete l‘entrata del Regno».

 L’immagine del bambino che prende il latte ben mostra un essere che non vive nella dualità.

Quando l’uomo diventa adulto in lui si sviluppa la separazione e la contrapposizione, con conseguente perdita di unità.

Egli, con pazienza, dovrebbe ri-orientare il suo cammino di vita e comprendere che il mondo che lui percepisce è uno specchio di ciò che vi è in lui;

che ciò che oggi è preferibile o “migliore” domani sarà da biasimare;

che oggi è maschio ma domani sarà femmina.

Nella dimensione materiale tutto è complementare, quindi non ha senso preferire il giorno alla notte, visto che l’uno non può che essere conseguenza dell’altra.

Di particolare importanza è l’immagine dei due occhi, perché “l’occhio singolo” è la porta attraverso cui si accede alle dimensioni dello Spirito.

Il discepolo che ha aperto questo terzo occhio è in grado di distinguere le manifestazioni dello spirito da quel­le della materia.

 

23.

Gesù ha detto:

 «Io vi sceglierò uno fra mille e due fra diecimila e questi si troveranno ad essere un individuo solo».

 Il Maestro ci sceglie.

Noi possiamo solo proporci a Lui.

Il grande Mae­stro Kirpal Singh diceva:

«Se non siete ancora stati accettati dal Maestro, cercate di mettervi nelle condizioni per poterlo essere:

 se invece siete stati accettati, per favore, dedicate alla meditazione maggior tempo possibile».

 Sembrerebbe, quindi, che i Maestri effettuino una sorta di “selezione” in base a presunti meriti.

Non è così.

Tutti possono essere scelti.

Sempre Kirpal Singh diceva:

«Il vostro sincero sforzo interiore indurrà il Dio che è dentro di voi a mettervi in contatto con Qualcuno che può guidarvi sulla Via per tornare a Lui.

  Dio è dentro di voi:

 egli vede e dice:

 “Mio figlio mi desidera ardentemente e farà i preparativi necessari».

 Il Maestro, quindi, ci sceglierà in base al nostro sincero sforzo interiore:

egli ci prenderà uno fra mille e due fra diecimila e formerà una comunità che cammina unita verso la realizzazione di Dio.

 

24.

I suoi discepoli Gli chiesero:

 «Dicci in quale luogo Tu sei perché è neces­sario che noi lo cerchiamo».

  Egli rispose loro:

 «Chi ha orecchie, intenda!

 La Luce sta nell ‘Essere Luminoso e irraggia l’intero cosmo.

  Il non illumi­narsi è il Male»’.

 Torna il tema della Luce, presente in tutte le Scritture di ogni religione:

Dio è Luce e Gesù è in Essa.

La Luce, a sua volta, è accompagnata dal Suo­no, la Parola.

Luce e Suono sono la prima e più alta manifestazione di Dio.

Chi è in contatto con esse è un essere luminoso.

 

25.

Gesù ha detto:

 «Ama tuo fratello come la tua anima e veglia su di lui come la pupilla del tuo occhio».

 Coloro che percorrono un sentiero spirituale conoscono il valore della fratellanza.

Un uomo da solo può fare ben poco;

una comunità di uomini che perseguono il medesimo obiettivo può compiere grandi imprese, e ogni membro di essa ne beneficerà.

Il fratello è colui che supporta e che aiuta nei momento in cui si perde di vista la verità.

Egli va vegliato come qualcosa di veramente utile e prezioso, come la pupilla del proprio occhio, in spirito di amorevole fratellanza.

 

26.

Gesù ha detto:

 «La pagliuzza nell’occhio di tuo fratello tu la vedi, ma la trave nel tuo occhio tu non la vedi.

  Quando toglierai la trave dal tuo occhio, allora ci vedrai chiaro per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello».

 Questo loghion ripropone la metafora della pagliuzza e della trave, pre­sente anche nei vangeli di Matteo e Luca, ed è di una logica evidente.

Pa­radossalmente, il problema non è tanto il vedere la pagliuzza, ma la trave!

L’esperienza, infatti, dimostra che sono proprio i difetti e le mancanze ma­croscopiche che sfuggono persino a uno sguardo attento.

Per vederli occorre molta onestà con se stessi e, soprattutto, la volontà di accogliere i suggeri­menti del Maestro e degli altri membri della comunità.

In questo modo si sarà di aiuto a se stessi e agli altri.

 

27.

(Gesù ha detto):

 «Se non digiunate verso il mondo, non troverete il Re­gno.

  Se non osservate il Sabato come un Sabato, non vedrete il Padre».

 La tematica del sabato, in quanto giorno da dedicare a Dio, è presente in tutte le antiche tradizioni religiose mediorientali.

Per il discepolo vi è il biso­gno di creare uno spazio fra le attività della propria vita, in modo da spezzare periodicamente l’andamento meccanico delle attività a cui gli uomini sulla terra sono soggetti.

Bisogna anche ricordare che, soprattutto per gli gnosti­ci, la sacralità del sabato va portata in ogni giorno, in ogni azione e in ogni avvenimento che si vive.

Da questo punto di vista ciascun giorno, e persino ogni momento, dovrebbero essere un sabato.

 

28.

Gesù ha detto:

 «Sono sceso nel centro del mondo e sono apparso in carne ma vi ho trovati tutti ubriachi.

  Non ho trovato nessuno che abbia sete e la mia anima ha sofferto per i figli degli uomini.

  perché il loro cuore è cieco e non vedono affatto che son venuti al mondo a mani vuote e a mani vuote dovran­no andarsene dal mondo.

  Ma ora sono proprio ubriachi.

  Quando avranno smaltito la loro ubriachezza allora cambieranno il modo di pensare».

 Bellissima immagine del Salvatore che giunge sulla terra per compiere la sua missione ma trova gli uomini ubriachi e incapaci di ascoltare il loro cuo­re.

L’ubriaco in genere è incapace di concentrarsi, di essere costante in ciò che fa, di distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, di gestire se stesso, i propri pensieri e le proprie emozioni:

la sua unica preoccupazione è il bere.

Ed è proprio così che Gesù trova gli uomini:

affaccendati in questioni esteriori e incapaci di concentrarsi su di sé.

L’ubriachezza è quindi la metafora degli uomini immersi nella dimenti­canza della realtà della vita, affaccendati nell’ottenimento di beni che non potranno tenere per sempre:

non vedono che sono venuti al mondo a mani vuote e a mani vuote dovranno andarsene.

 Ma prima o poi gli uomini smal­tiranno la loro ubriachezza e cominceranno a essere disponibili ad ascoltare il Messaggio di Salvezza.

 

29.

Gesù ha detto:

 «Se la carne si forma dallo spirito è una meraviglia, ma se lo spirito nasce dalla carne è la meraviglia delle meraviglie.

  Ma di que­sto io mi stupisco:

 come tanta grande ricchezza ha preso dimora in tanta povertà!».

 Maestri da sempre dicono che in ogni essere umano vi è una scintilla divina, una goccia dell’Oceano di Dio.

Il corpo umano è realmente il tempio di Dio:

ricordandosi di ciò il discepolo va alla ricerca del proprio vero sé, e ritira sempre più l’attenzione dalle cose esteriori per concentrarla all’interno di se stesso.

 

30.

Gesù ha detto:

 «Là dove sono tre di voi.

  rimanete voi.

  Là dove siete due o uno con voi io sarò».

 Quando si è soli è più facile scorgere il Salvatore che sta accanto a noi e che ci accompagna nel percorso della nostra vita.

Si tratta di una percezione sottile, ma che illumina tutto il nostro essere.

Lo gnostico si crea sempre momenti in cui stare con se stesso, meditando e pregando.

E anche quando è insieme agli altri conserva la percezione della propria coscienza.

ll loghion sottolinea anche l’importanza di essere in due:

i discepoli di Gesù spesso erano inviati in coppia nelle loro missioni di apostolato.

Per gli gnostici, inoltre, la coppia è intesa come il momento di unificazione interiore che trova coronamento nel sacramento della camera nuziale.

 

31.

Gesù ha detto:

 «Nessuno è profeta in patria, nessun medico cura i suoi familiari».

 Questo detto lo troviamo, seppure con piccole varianti, anche in altri testi e Vangeli, ed è entrato a far parte della saggezza popolare.

Quando Gesù tornò nel suo villaggio, nonostante avesse già compiuto grandi opere in altre città, fu considerato come il figlio del falegname.

È difficile vedere con oc­chi nuovi le persone che già conosciamo, anche se nel frattempo esse sono profondamente cambiate.

Questo è un tratto tipico della psiche umana.

Il discepolo, però, dovrebbe andare oltre e riconoscere la persona straordinaria al di là del ruolo o dell’identità che essa aveva.

 

32.

Gesù disse:

 «Una città che è costruita su un alto monte e fortificata non può cadere, né essere nascosta».

 La città su un alto monte è la metafora della persona illuminata, della sua fede e dell’insegnamento che impartisce agli uomini.

L’uomo che “poggia” il suo essere sulle fondamenta della spiritualità sarà saldo, non in balìa degli eventi e delle circostanze.

Spesso, invece, gli uomini costruiscono le loro città, cioè le loro vite, su fondamenta “non salde”, ovvero su ciò che nel mondo è in continuo mutamento e, quindi, impermanente.

In questo modo “crollano” al primo problema e, presto, capiscono che devono cercare le si­curezze non nelle pianure, cioè nella materia, ma in alto sui monti, cioè sulle vette dello spirito.

 

33.

Gesù ha detto:

 «Ciò che ti entra in un orecchio, fuori dall’altro orecchio gridalo a gran voce sopra i tuoi tetti, perché nessuno accende una candela e poi la mette sotto un recipiente o la mette in un luogo nascosto, ma la pone su un lampadario affinché quelli che vanno e che vengono possano vedere la sua luce».

 Questo loghion sembra essere la naturale prosecuzione del precedente.

Nel momento in cui si impara qualcosa di importante è bene diffonderlo e condividerlo.

La conoscenza non andrebbe tenuta per sé, ma diffusa a tutti coloro che la cercano.

Coloro che si occupano di spiritualità essere sempre un canale attraverso cui si trasmette tutto ciò che è buono e utile.

In ciò si esprime il più alto servizio che si può rendere ad altre persone e all’umanità intera.

 

34.

Gesù ha detto:

 «Se un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno nel fosso».

 Questo loghion sottolinea l’importanza dell’affidarsi a un vero Maestro.

Naturalmente ci sono anche insegnanti e istruttori che, comunque, trasmet­tono una certa forma di conoscenza.

Ma il Maestro è molto di più di un insegnante perché, oltre che trasmettere conoscenza, è in grado di far vivere al discepolo esperienze reali.

Da questo punto di vista il Maestro è colui che realmente vede, e se il discepolo persegue una forma di conoscenza reale non dovrebbe seguire le indicazioni di un altro cieco.

 Coloro che percorrono una via spirituale vedono che determinati ostacoli sono difficili da superare.

A volte trascorrono anni nel tentativo di compiere un agognato progresso, ma inutilmente.

Solo grazie all’intervento di un Essere realmente illuminato si possono fare passi in avanti in modo sicuro e definitivo.

 

35.

Gesù ha detto:

 «Non è possibile che qualcuno entri nella casa di un forte e lo vinca con la violenza, a meno che non gli abbia legato le mani, allora potrà vuotare la sua casa».

Questo loghion trova precisa corrispondenza nei tre sinottici e si riferisce alle guarigioni miracolose compiute da Gesù, in cui egli scacciava i demoni ma era accusato di farlo con la complicità di Satana.

Gesù in realtà guarisce per opera dello Spirito Santo.

Egli è più forte di Satana e gli lega le mani, in modo che il Principe dei Demoni non possa ostacolarlo mentre svolge la sua missione salvifica.

Il discepolo, dal canto suo, è consapevole che prima di operare in sé alcune guarigioni deve vincere determinati ostacoli, “legando le mani a ciò che gli sbarra il cammino.

 

36.

Gesù disse:

 «Non siate ansiosi da mattino a sera e dalla sera al mattino su come vi vestirete».

 Esortazione a non farsi prendere dalle preoccupazioni riguardanti la sus­sistenza materiale.

In ogni epoca e luogo le persone sono state sempre in apprensione sul come guadagnarsi da vivere e procurarsi ciò di cui neces­sitano.

Eppure, se osserviamo lucidamente la nostra vita, vedremo che ciò di cui abbiamo bisogno lo abbiamo sempre avuto.

Siamo su questa terra per conoscere noi stessi e Dio.

Di conseguenza dovremmo dedicare la maggior parte del nostro tempo e delle nostre energie a tale ricerca, senza cadere nella spirale della preoccupazione di come ci vestiremo.

 

37.

I suoi discepoli domandarono:

 «In che giorno ti manifesterai a noi.

  e in che giorno ti vedremo?».

  Gesù rispose:

 «Quando vi spoglierete senza vergo­gna.

  quando deporrete i vostri abiti e li metterete sotto i vostri piedi, come fanno i bambini.

  e li calpesterete, allora vedrete il Figlio del Vivente senza alcun timore».

 Vergogna e timore.

Secondo Gesù sono questi i due ostacoli da superare per giungere a percepire la Luce che è in noi.

Ma ancora più importante è fare come fanno i bambini:

essi non solo non hanno paura di mostrare se stessi ma.

come viene spesso rappresentato nel l’iconografia del Cristiane­simo, si avvicinano a Gesù con cuore puro e senza alcun timore:

«Lasciate che i bambini vengano a me.

  perché di essi è il Regno dei Cieli»

 

38.

Gesù ha detto:

 «Quante volte vi verrà la voglia di udire queste parole che Io ora sto dicendo a voce!

 Ma non vi è nessun altro da cui le possiate udite:

Verranno quei giorni in cui mi cercherete e non mi troverete».

 Questo detto è riportato sia in altri testi gnostici che nei vangeli canonici di Matteo, Luca e Giovanni.

I significati e le interpretazioni che gli si posso­no attribuire sono molteplici.

Gesù non attribuisce importanza esclusivamente alla propria persona, ma a tutti gli autentici Maestri viventi.

Perché è da essi che si possono ascol­tare autentiche parole di liberazione.

Autentici insegnamenti ed esperienze che aprono la visione spirituale possono essere impartiti solo da un Maestro vivente.

Quando Lui non c’è occorre cercarlo.

Ci saranno giorni in cui lo cercheremo e non Io troveremo, ma se la ricerca sarà condotta con sincerità e purezza, alla fine sarà Lui che, nel modo che meno ci aspetteremmo, giun­gerà a noi e lancerà il suo sottile ma inresistibile richiamo.

 

39.

Gesù ha detto:

 «Il fariseo e lo scriba hanno rubato la chiave della cono­scenza e I hanno sotterrata.

  Così non solamente non sono entrati.

  ma non hanno lasciato entrare quelli che volevano.

  Perciò voi siate prudenti come le serpi e puri come le colombe».

 I farisei, oltre che una corrente politico-religiosa del mondo giudaico ai tempi di Gesù, sono anche la metafora di ciò che nell’uomo crea resistenza all’accoglimento dell’autentico insegnamento spirituale di cui Gesù, nella Palestina di quei tempi, era il Messia.

L’attenzione, quindi, va posta soprattutto su ciò che in noi sbarra l’ac­cesso alla autentica spiritualità.

Naturalmente ciò che una persona fa con
se stessa lo farà con gli altri, per cui si tenderà ad ostacolare anche gli altri.

L’autentico discepolo cerca di vedere il “fariseo” che è in sé e apre la porta di accesso alla conoscenza, compiendo ciò che può per agevolare anche gli altri tramite la diffusione dell’insegnamento.

 

40.

Dice Gesù:

 «Un ceppo di vite è stato piantato contro la volontà del Padre e poiché non è forte sarà estirpato dalle sue radici e morirà».

 La vite è il simbolo di ciò che è importante e che produrrà prima l’uva e poi, da essa, il vino.

Tutto ciò che è importante può vivere solo se segue i processi e le leggi della spiritualità, del Padre.

Quando non li segue non può sopravvivere.

Il discepolo sa che tutto ciò che compie, per dare frutto, deve seguire le leggi della spiritualità e la volontà del Padre.

Ogni azione, pensiero e sentimento dovrebbe sempre avere un collegamento sottile con il Padre, in modo da produrre buoni frutti.

Lo gnostico, ovviamente, estende tale principio a tutto ciò che lo riguarda e che investe la propria vita.

 

41

Gesù ha detto:

 «A colui che ha sarà dato.

  A colui che non ha anche quel poco che ha gli sarà tolto».

 Questo loghion illustra un principio che opera in tutti i settori, a qualun­que livello, sia esso materiale o spirituale.

La ricchezza produce ricchezza, la povertà produce povertà.

Ma per fortuna si può attingere ai “frutti” matu­rati in vite precedenti, oltre che ai talenti di cui il Padre ci ha dotato:

grazie a tutto ciò potremo gradualmente “arricchirci”.

Ma vi è un ulteriore elemento, che è il più importante.

Il vero discepolo si affida a un Maestro e per mezzo della Sua grazia riesce a sopperire a ciò che ha di poco.

 Tutti i grandi Maestri hanno sempre affermato di aiutare a vari livelli i discepoli che si sono a loro affidati, compiendo opere di cui essi potranno beneficiare:

è la grazia del Maestro.

 

42.

Gesù ha detto:

 «Consideratevi di passaggio» (traduzione del Pincherle).

Il Moraldi traduce con “Siate transeunti”.

In ogni caso si tratta di un mo­nito e di una indicazione:

ricordarsi che qui siamo di passaggio, che tutto ciò che abbiamo lo dovremo lasciare, e che persino la nostra attuale identità e il nostro aspetto non potremo “portarli” con noi quando dovremo andarcene.

 

 

43.

Un suo discepolo gli disse:

 «Chi sei Tu per dire a noi queste cose?».

 «Dalle cose che vi dico non capite chi sono?

 Ma voi siete come quella gente che ama lalbero e ne odia il frutto.

  E se ama il frutto odia lalbero».

 La metafora qui utilizzata è quella dell’albero e del frutto, presente in vari testi della cristianità.

Gesù è albero quando produce i frutti dello Spirito.

A sua volta è frutto quando si considera provenire in linea diretta dal Padre, che in questo caso è l’Albero.

La gente che ama l’albero ma odia il frutto sono coloro che si dedicano a una spiritualità astratta, che rimane nelle in­tenzioni ma non trova riscontro nella vita reale.

La gente che ama il frutto ma odia l’albero è quella che crede di poter scalare le vette della spiritualità senza una vera Guida, che in questo caso è il Salvatore Gesù.

Albero e frutto vanno entrambi amati per poter giungere al traguardo della conoscenza.

Per cui bisognerebbe adottare una spiritualità dalle solide radici e, soprattutto, avere la guida di un vero Maestro.

 

44.

Gesù ha detto:

 «A chi bestemmia il Padre sarà perdonato.

  E a chi be­stemmia il Figlio sarà perdonato.

  A chi bestemmia la Innocente Spiritualità non si perdonerà né in terra né in cielo».

 Questa è la traduzione del Pincherle.

Il Moraldi traduce con Spirito Santo il terzo elemento del loghion.

La bestemmia contro lo Spirito Santo allontana il discepolo come niente altro, e sembrerebbe essere imperdonabile.

Ma è veramente possibile andare contro lo Spirito Santo, che tutto anima nella vita degli uomini?

Ogni essere umano, anche se non lo sa, anela a conoscere il Dio dell’infinito, del quale lo Spirito Santo ne è il Messaggero.

Tutti, senza eccezione, sono orientati sul cammino spirituale, seppure con diverse modalità di impegno.

Lo Spirito Santo guida c protegge, e l’unica bestemmia contro di esso è il non seguire le sue “indicazioni”.

Quando trapasseremo con la morte, sarà fatto il bilancio della nostra vita, c le conseguenze delle eventuali mancanze (bestemmie) si dovranno affrontare tornando a vivere una nuova esistenza sulla terra.

Ecco perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non si perdonerà né in terra né in cielo, ma solo tornando a vivere sulla terra per acquisire nuove conoscen­ze e compensare le conseguenze delle nostre azioni.

 

45.

Dice Gesù:

 «Non si possono raccogliere grappoli fra le spine e neppure si raccolgono fichi sui cardi che non danno frutti.

 Un uomo buono dà una resa buona.

 un uomo cattivo dà una resa cattiva.

 perché estrae i mali che sono chiusi nel suo cuore e dice cose cattive».

 L’uomo il cui cuore produce cattiva resa è colui in cui ancora non si è stabilizzato il Ricordo di essere figlio del Dio Altissimo.

Quando l’uomo di­mentica di avere in sé la cosa più preziosa, ovvero la Scintilla Divina, si de­dica ad attività che producono sofferenza e disarmonia sia nella sua vita che in quella di chi gli sta attorno.

Ma basta poco per fermare il circolo vizioso delle “cose cattive”, e Dio pone sempre sul cammino della vita esperienze che suggeriscono di ricordare, e prima o poi tutti gli uomini si ricorderanno e inizieranno a produrre cose buone.

 

46.

Gesù ha detto:

 «Da Adamo sino a Giovanni Battista tra i nati da donna nessuno è superiore a Giovanni Battista perché la sua visione non è parzia­le.

  Ma io vi dico:

 colui che fra di voi si farà piccolo conoscerà il Regno e sarà più grande di Giovanni»’.

 Per interpretare questo loghion è utile tenere presente un corrispondente testo tratto dai sinottici:

«In verità vi dico che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il Battista:

 eppure il più piccolo nel regno dei Cieli è più grande di lui».

 Gesù si riferisce al Giovanni Battista nato da donna, ovvero a colui che sotto tali spoglie è vissuto sulla terra.

Ma nel Regno dei Cieli tutto cambia, e chiunque “vi dimora” diventa più grande di qualunque persona vivente sulla terra.

Naturalmente il Regno non è né in cielo né in terra, ma dentro e fuori di noi.

 

47.

Gesù ha detto:

 «Non è possibile che un uomo salga su due cavalli, che tenda due archi, e non è possibile che un sensale obbedisca a due padroni, altrimenti darà retta a uno e disobbedirà all altro:

 nessun uomo beve vino vecchio e desidera contemporaneamente di bere vino nuovo.

  e non si versa vino nuovo in otri vecchi perché non esplodano.

  e non si versa vino vecchio in otri nuovi perché non diventi cattivo.

  Non si cuce una toppa vecchia su un vestito nuovo perché si strapperebbe».

 Gesù esorta ad essere più “totali” possibile in ciò che si fa, specialmente nel percorrere la Via spirituale.

Quanto egli dice sembrerebbe essere ovvio, ma se esaminiamo le nostre vite vedremo che la tendenza a salire su due cavalli è molto presente a livello della natura umana.

Per raggiungere il Dio Vivente occorre concentrare sforzi e risorse verso di Lui, e tutti gli uomini, nel loro percorso esistenziale, imparano ad essere sempre più totali nel perse­guire la Via con tutto se stessi, abbandonando ciò che è inutile per tale scopo.

Vi è anche un risvolto psicologico, che vale la pena di sottolineare, secondo cui l’uomo “unitario” è quello che ha anche riarmonizzato le diverse parti di se stesso.

Nella psiche umana, infatti, convivono varie istanze, ognuna delle quali “sale al potere” della persona di tanto in tanto e trasforma l’in­dividuo ora in un tipo, ora in un altro.

Le discipline esoteriche e spirituali insegnano a “unificare” tali parti e a farle convivere in base a saggi principi.

Purtroppo la mente e i sensi vanno in direzioni sempre diverse da dove, in­vece, vorrebbe andare lo spirito.

Quando il discepolo riesce a dirigere mente e sensi verso lo spirito acquisisce una energia straordinaria.

 

48.

Gesù ha detto:

 «Se due fanno la pace fra loro nella stessa casa, essi di­ranno alla montagna ” Vattene via!

 ” e lei si allontanerà».

 Questo loghion sembra riprendere in modo naturale quello precedente:

la montagna è la metafora dell’ostacolo grande e insormontabile.

I due che fanno pace fra loro nella stessa casa rappresentano l’uomo che non è più diviso in sé, né combattuto, né perso in attività inutili, ma che è unitario nella psiche e nello spirito.

Un tale uomo può superare i maggiori ostacoli e giungere in breve tempo alla conoscenza del Padre Vivente.

 

49.

Gesù ha detto:

 «Beati voi unificatori ed eletti perché troverete l’ingresso del Regno, dato che voi siete usciti di lì e di nuovo ne ritroverete l‘entrata».

Il Pincherle traduce con unificatori un termine che si può anche inten­dere come solitario, nel senso di colui che cerca Dio in modo solitario.

Nel presente Vangelo è varie volte rimarcata l’importanza della solitudine come condizione per trovare Dio.

Ma la solitudine non è solo isolarsi dalle per­sone, ma anche isolare il proprio essere dal mondo materiale, i cui stimoli giungono a noi attraverso ciò che si possono definire come le nove porte:

«Se ritirate l‘attenzione dalle nove porte – due occhi, due narici, due orec­chie, la bocca, il retto e gli organi genitali – e vi concentrate interiormente.

 troverete finalmente la decima porta, quella che vi conduce dal corpo al Re­gno di Dio».

Il solitario è colui che si isola dal mondo e trova la porta per uscire dalla prigione della fisicità per accedere al più vasto e incomparabile Regno di Dio.

 

50.

Gesù ha detto:

 «Se vi dicono:

 “Di dove venite?

 ” rispondete loro:

 “Noi siamo usciti dalla luce, di là dove la luce si forma uscendo dall‘Uno stesso.

 Essa si spande e si manifesta vivente negli Archetipi

Se qualcuno vi dice:

 Chi siete?

 dite:

 Noi siamo i suoi figli, noi siamo gli Eletti del Padre Vivente “.

 Se vi domandano:

 “Qual è la caratteristica del vostro Padre che vive in voi?

 rispondete loro:

 E allo stesso tempo movimento e quiete “».

Lo gnostico nel suo cammino di ritorno al Padre Vivente è come colui che dopo essere emigrato in una regione lontana rientra nella sua patria e deve passare la frontiera.

Egli sarà interrogato da chi presiede la frontiera, che sono le Potenze Celesti, e dichiarerà la sua piena cittadinanza nelle Regioni in cui sta facendo ritorno.

In quelle Regioni regna la Luce, che è la sostanza prima del Dio Vivente e il cui flusso lo gnostico ha riscoperto in sé.

La stessa Luce si diffonde negli Archetipi che, di emanazione in emanazione, hanno creato mondi sempre più densi, fino a giungere alle regioni della materia in cui vivono gli umani.

In ciò si riprende il principio primo di tutte le cosmo­logie gnostiche.

L’essere umano che ha realizzato tutto ciò in sé vive una straordinaria quiete interiore e, allo stesso tempo, compie azioni che portano il sigillo del Padre.

 

51.

Un discepolo Gli disse:

 «In quale giorno i morti troveranno pace e in quale giorno verrà il nuovo mondo?».

  Lui rispose:

 Ciò che voi attendete è già avvenuto ma voi non ve ne siete accorti».

 Gesù è colui che concede riposo dalla sofferenza e risuscita a nuova vita.

Colui che Lo conosce vive in un nuovo mondo.

 Gli uomini sulla terra sono come morti, perché ancora non conoscono il Salvatore, nonostante egli era presente allora e lo è anche ora nelle persone dei Maestri che vengono di tempo in tempo.

Ma verrà il giorno in cui ogni essere umano volgerà lo sguardo in alto e intraprenderà il cammino di ritorno verso il Padre Vivente affidandosi agli amorevoli insegnamenti di un autentico Maestro vivente.

 

52.

Un suo discepolo Gli disse:

 « Ventiquattro profeti hanno parlato in Israe­le e tutti hanno detto di Te».

  Lui gli rispose:

 « Voi non accettate colui che sta vivo davanti a voi e parlate di coloro che sono morti‘.».

 Loghion denso di significato storico e teologico.

L’Antico Testamento ebraico era formato da ventiquattro libri e si fa riferimento ai profeti, per cui l’autore del Vangelo di Tomaso sembrerebbe rivolgersi proprio agli ebrei che, nonostante avessero predetto e descritto la venuta del Salvatore, ora lo rifiutano.

Torna anche l’immagine della persona morta, in contrapposizione ai vivi, che sarebbero gli gnostici.

Naturalmente nel loghion è contenuta anche l’esortazione ad adottare in­segnamenti “vivi”, proposti da autentici Maestri, come lo è Gesù, in grado di accompagnare il discepolo durante le fasi del cammino e di fargli vivere esperienze in prima persona, che possano cambiare realmente qualcosa in lui.

 

53.

Un suo discepolo Gli disse:

 «La circoncisione è utile o no?».

  Lui gli rispose:

 «Se fosse utile il Padre li farebbe nascere già circoncisi dalla loro madre.

  Ma la vera circoncisione è nello spirito.

  Quella sì è utile!».

 Gesù pone l’attenzione sulla distinzione fra segni esteriori e segni inte­riori.

Al di là dei significati teologici e storici, la circoncisione riguarda pur sempre l’ambito della materia e, quindi, rischia di rimanere solamente un se­gno esteriore.

Il discepolo, al contrario, pone la sua attenzione sullo spirito, per cui entra in sé e opera, con l’aiuto del Maestro, segni di riconoscimento a livello interiore.

 

54.

Gesù ha detto:

 «Beati voi poveri perché è vostro il Regno dei cieli».

 Il discepolo è colui che ha vissuto nella “ricchezza” della materia e poi si rende conto che essa non lo soddisfa più.

In lui inizia, quindi, a diminuire l’interesse per i beni materiali e si crea distacco verso ciò che il mondo ma­teriale offre.

Senza questa azione di progressivo “alleggerimento” egli non potrebbe intraprendere il viaggio verso il Padre Vivente.

Tutti abbiamo sperimentato che quando siamo concentrati sulle questioni della vita, e quando siamo occupati a mantenere ciò che abbiamo, ci di­mentichiamo di fare ciò che serve per proseguire sul percorso spirituale.

Da questo punto di vista, per proseguire nel viaggio di ritorno, è necessario essere poveri, pur dovendo usufruire di ciò che serve per vivere sul piano del mondo materiale.

Naturalmente alle parole di questa beatitudine, contenuta in numerosi te­sti, si possono attribuire molti altri significati.

 

55.

Gesù disse:

 «Colui che non odierà suo padre e sua madre, non potrà di­venire mio discepolo.

  Colui che non odierà i suoi fratelli e le sue sorelle, e non porterà la sua croce come me, non sarà degno di me».

 Questo loghion.

che abbiamo interamente adottato nella traduzione del Moraldi, non indica che occorre odiare i propri familiari, ma ciò che essi rappresentano.

L’uomo che percorre un cammino spirituale, infatti, si è svin­colato dai legami materiali e psicologici rappresentati dalla famiglia.

Egli ha trovato la propria strada nel mondo e ha coscientemente fatto la scelta di per­correrla.

Anche questo sembrerebbe essere qualcosa di scontato, ma sappia­mo bene che è molto difficile non cadere preda dei condizionamenti dettati dalla famiglia d’origine, con tutto il carico psicologico che essi comportano.

Giorno dopo giorno occorre distinguere ciò che ci è stato trasmesso, seppure con amore, dai nostri cari e ciò che, invece, appartiene alla nostra missione in questa vita.

 

56.

Gesù ha detto:

 «Colui che ha capito il mondo ha scoperto un cadavere, ma se ha scoperto un cadavere il mondo a che gli serve?».

 Torna la tematica, ricorrente nello gnosticismo, che contrappone i vivi ai morti.

In questo caso lo gnostico comprende che il mondo, per quanto sia una mirabile creazione, non può condurre alla vita autentica.

Pur continuan­do a vivere in esso, quindi, si pone in una posizione di distacco e volge lo sguardo verso i più elevati mondi dello spirito.

 

57.

Gesù ha detto:

 «Il Regno del Padre è simile a un uomo che possedeva buoni semi.

  Venne di notte il suo nemico e mescolò ira i buoni semi la ziz­zania.

  Ma quell ‘uomo non permise che si toccasse la zizzania e disse che aveva paura che qualcuno entrando e dicendo di voler togliere la zizzania non portasse via invece il grano assieme ad esso.

  Ma davvero verrà il tempo della mietitura e la zizzania non potrà nascondersi e allora la si strapperà e la si brucerà».

 Celebre passo contenuto in varie forme in molti testi della cristianità.

Quando l’uomo vive sulla terra pensa e agisce in modo non sempre puro.

Tuttavia deve agire, perché l’immobilismo sarebbe equivalente alla morte.

Anche se le sue azioni non raggiungono l’obiettivo prefissato è importante che egli abbia fatto dei tentativi.

Ma anche se fallisce, e anche se le sue azioni arrecano danni, l’uomo che possiede buoni semi è mosso da inten­zioni pure e, osservando le proprie azioni, capirà cosa ha funzionato e cosa no.

Operando un sano discernimento terrà con sé i buoni risultati di ciò che ha fatto – il grano – e correggerà ciò che non ha funzionato – brucerà la zizzania.

 Tutto ciò è valido nella vita di tutti i giorni e, ancor più, in ciò che riguarda il cammino spirituale.

 

58.

Gesù ha detto:

 «Felice l’uomo che ha messo alla prova se stesso perché ha trovato la vita!».

 Meravigliosa esortazione a mettersi alla prova.

 Il Moraldi traduce «Beato luomo che ha sofferto.

  Egli ha trovato la vita».

 Le due espressioni si com­pletano a vicenda, dato che chi si mette alla prova quasi sicuramente soffrirà.

Ma sarà una sofferenza che poi porterà gioia, perché si saranno compiuti grandi passi in avanti.

Il discepolo è colui che ha deciso di affrontare le pro­ve.

di cambiare se stesso, di andare incontro al proprio destino anche se esso presenta delle incognite.

Ciò comporterà per lui crescita e grande felicità.

 

59.

Gesù disse:

 «Mentre vivete contemplate il Vìvente:

 affinché non moriate e cerchiate di contemplarlo, e non possiate più vederlo».

Si riprende la tematica del loghion 38.

Gesù ribadisce la necessità di per­seguire il cammino spirituale mentre si è in vita.

Il discepolo capisce che non deve assecondare la naturale tendenza, insita in ogni essere umano, a rimandare in vista di un ipotetico futuro.

Egli fa adesso le cose che ritiene importanti.

Il Vivente, per lo gnostico, è il Salvatore, la cui figura si nasconde in ogni pensiero di luce, sentimento puro e azione svolta in totale coscienza.

 

60.

Videro un Samaritano che conduceva un agnello all entrata della Giudea.

 Lui disse ai suoi discepoli:

 «Perché porta in giro lagnello?».

 Essi gli rispo­sero:

 «Per ucciderlo e mangiarlo».

 Egli disse loro:

 «Finché è vivo non può mangiarlo, salvo che non lo uccida e diventi cadavere‘.».

  Loro dissero:

 «Non può fare diversamente!».

  Lui disse allora:

 «Anche voi cercatevi un luogo in cui la vita è sicura per evitare di diventare cadaveri e di essere mangiati».

 Gesù esorta i discepoli a non farsi mangiare dalle forze del mondo.

Esse sono principalmente i sensi e la mente quando sono fuori controllo, inducen­do la persona in azioni che fanno disperdere tempo ed energia.

Ma se siamo vivi, presenti a noi stessi, e se usiamo il discernimento di cui siamo dotati, cadremo sempre meno preda di queste forze.

Sentiremo nascere giorno dopo giorno una fiamma di gioia che, se alimentata, costituirà il luogo sicuro in cui non saremo più mangiati.

 

61.

Gesù ha detto:

 « Una coppia riposa sul letto:

 quale dei due vivrà, quale morirà?».

  Salomè rispose:

 «Non sei forse tu luomo uscito dall UNO VI­VENTE.

  che sei salito sul mio letto e hai mangiato alla mia mensa?».

  Gesù le rispose:

 «lo sono colui che è uscito da colui che è uguale.

  Mi è stato dato ciò che è del Padre mio!».

  «E io non sono forse la tua discepola?».

  «Quando a questo, ti dico:

 quando ci si unisce si è pieni di Vita, quando si resta divisi si è pieni di Male.».

 In questo loghion si mettono in evidenza vari elementi e simboli insiti nello Gnosticismo.

Innanzitutto si fa riferimento al sacramento della camera nuziale, già presente in altri testi e in particolar modo nel Vangelo di Filippo:

esso rappresenta il più elevato momento di unione mistica raggiungibile dal discepolo mediante la fusione con l’Uno Vìvente.

 Si ribadisce l’uguaglianza di Gesù con il Padre, da cui proviene e da cui tutto ha preso.

Infine si eviden­zia il percorso che conduce all’unità con se stessi e con il Tutto.

In sostanza, la parola chiave di questo denso testo potrebbe riassumersi nella parola UNO.

 Il discepolo porta tutte le energie fisiche e mentali in un moto che dall’esterno va verso l’interno, e riscopre così il proprio Sé pro­fondo.

 

62.

Gesù ha detto:

 «lo rivelo i miei misteri a coloro che sono degni dei miei misteri.

  Se la tua mano destra .

  farà qualcosa, la tua mano sinistra non deve sapere ciò che fa».

 Per contestualizzare questo loghion è utile fare riferimento a Mt 6:3 in cui Gesù spiega la necessità del dare senza aspettarsi una ricompensa da parte degli uomini.

Ancora una volta viene stigmatizzata una tendenza insita nell’uomo:

dare per ricevere.

 Ciò, naturalmente, è presente soprattutto a li­vello della psiche, e molte volte nasce dalla paura di rimanere isolati e senza il necessario per vivere.

Per vivere nel mondo occorre anche compiere azioni per cui si riceve una ricompensa come, ad esempio, un salario o altro del genere.

Questo tipo di azioni andrebbero fatte con la mano sinistra, cioè con la consapevolezza che esse sono necessarie solo ai fini del nostro naturale sostentamento.

Altre azioni, invece, dovrebbero avere una finalità più elevata e andrebbero com­piute con la mano destra:

sono le azioni dirette esclusivamente verso il Pa­dre Vivente e che ci renderanno degni di ricevere i misteri che Gesù rivela.

 Lo gnostico non solo tiene sempre presente questa differenza, ma fa mol­to di più:

offre qualunque sua azione a Dio, e sa che da Lui giungerà tutto ciò di cui necessita per vivere, sia in terra che nei cieli.

 

63.

Gesù ha detto:

 «C era un uomo ricco, che possedeva una grande fortuna.

  Egli disse:

 Utilizzerò questa mia fortuna per seminare, piantare, racco­glierle, riempire i miei granai di grano affinché io non manchi di nulla ”, Ecco ciò che pensava nel suo cuore, e quella notte morì!

 Chi ha orecchie per intendere, intenda!».

 Celebre parabola riportata anche, in forma più estesa, in Le 12,13.

Gesù crea varie contrapposizioni.

Innanzitutto l’uomo che è ricco sulla terra ma è povero in cielo.

Poi i beni materiali che sono vita sulla terra ma morte in cie­lo.

E, infine, il giorno, che rassicura l’uomo ma lo pone di fronte alle illusio­ni, e la notte che, invece, lo spaventa ma lo pone di fronte alla verità.

Come epilogo vi è la morte, che si affaccia all’improvviso e in modo inaspettato.

Ogni essere umano si muove fra questi diversi poli della vita.

Lo gnosti­co, in particolare, sa che ogni volta che muore dovrà tornare per riprendere da dove aveva interrotto.

Egli, quindi, cerca di accumulare beni in cielo piuttosto che sulla terra, affinché quando morirà avrà sempre più beni reali su cui contare.

 

64.

Gesù disse:

 «Un uomo aveva degli ospiti.

  Dopo che ebbe preparato il banchetto, mandò un suo servo a invitare gli ospiti.

  Andò dal primo e gli disse:

 Il mio signore ti invita ”.

  Quello gli rispose:

 Dei commercianti mi devono denaro.

  Vengono da me questa sera.

  Andrò e darò ordini.

  Mi scuso per il banchetto .

  Andò dal secondo, e gli disse:

 Il mio signore ti invita .

  Quello gli rispose:

 “Ho comprato una casa, e sono richiesto per un giorno.

  Non avrò tempo .

  Andò dal terzo, e gli disse:

 “Il mio signore ti invita .

  Quello gli rispose:

 Un mio amico si sposa e io darò il banchetto:

 non posso venire.

  Mi scuso per il banchetto Andò da un altro e gli disse:

 Il mio signore ti invita .

 

 Quello rispose:

 Ho comprato un villaggio e devo ri­scuotere gli affitti delle case.

  Non potrò venire.

  Mi scuso.

  ” Il servo tornò dal suo padrone egli disse:

 Quelli che hai invitalo al banchetto si scusano .

  Il signore disse al servo:

 Va per le strade e conduci a!

 banchetto quanti trovi.

  Compratori e commercianti non entreranno nei luoghi del Padre mio ».

 Il Padre Vivente invita continuamente gli uomini a un banchetto che ha mille prelibatezze, migliori di ogni altro cibo.

Purtroppo gli uomini non ac­cettano l’invito perché sono presi da altre questioni che riguardano il mondo materiale.

Il mondo, con le sue faccende e i suoi affari, non può dare vera felicità:

ogni volta che riceviamo un piacere, ecco che subito appare un pro­blema o una sofferenza.

Nel mondo materiale non capita mai che tutto sia perfetto.

Ciononostante gli uomini fanno fatica ad abbandonarlo rimanendo
sempre più delusi.

Fino al giorno in cui non si cureranno più del mondo e accetteranno l’invito al banchetto del Padre Vivente.

 

65.

Egli disse:

 « Un uomo onesto aveva una vigna.

 La diede a contadini affin­ché la lavorassero, per ricavarne il frutto tramite loro.

 Mandò il suo servo ai contadini affinché gli dessero il frutto della vigna.

 Lo presero, lo colpirono e poco mancò che lo uccidessero.

 Il servo se ne andò a dirlo al suo signore.

 Il signore pensò:

 Forse non lhanno riconosciuto Mandò un altro servo.

 I contadini colpirono anche il secondo.

  Allora il signore mandò il proprio fi­glio, pensando:

 Forse avranno rispetto di mio figlio ”.

  I contadini, visto che era l erede della vigna.

  lo presero e luccisero.

  Chi ha orecchie, intenda».

 Dio dà la propria vigna agli uomini, cioè gli dà la possibilità di muoversi liberamente nel mondo per fare esperienza e gioire dei doni della creazione.

Gli uomini, certamente, dovrebbero godere di tutto e ricavarne frutto.

Ma poi dovrebbero andare oltre, ricordando che il mondo è una proiezione tem­poranea della volontà di Dio.

Invece essi si attaccano alle cose del mondo e uccidono chiunque provi a portargliele via.

Il riferimento finale del loghion è, ovviamente, a Gesù e alla sua crocifis­sione, così come a tutti i Maestri e Santi inviati da Dio il cui messaggio non è stato accolto.

Il vero frutto della vigna di Dio sono le gioie eterne a cui gli uomini pos­sono accedere se non si attaccano ai transitori beni materiali.

 

66.

Gesù disse:

 «Indicami la pietra respinta dagli edificatori.

 Essa è la pietra dangolo».

 Questo testo è riportato sia nei Salmi che in Mt, Me, Le, Atti e 1 Pietro.

Per comprenderlo va contestualizzato in base a quanto Gesù lasciava inten­dere a proposito di se stesso, pietra angolare rifiutata dagli edificatori (cioè dai capi dei sacerdoti e dai Farisei).

Gesù è la pietra angolare, come lo sono gli autentici Maestri che di tempo in tempo vengono sulla terra.

La loro sostanza spirituale è la sola su cui si può costruire il vero edificio spirituale.

 

67.

Gesù disse:

 «Colui che conosce il tutto, ma è privo della conoscenza di se stesso, è privo del tutto».

 Torna la tematica secondo cui la conoscenza di sé è il principale obiettivo da perseguire.

I Maestri affermano che occorre conoscere il proprio vero sé.

Inizialmente danno indicazioni generiche, valide per tutti coloro che si incamminano sul sentiero di tale conoscenza.

In seguito, a coloro che danno prova di mostrare un vero desiderio spirituale, danno indicazioni personaliz­zate che consentono di andare sicuri e più veloci.

Anche Gesù diede un insegnamento “collettivo”, di cui siamo a cono­scenza tramite i testi della cristianità, e insegnamenti più individuali.

In base a quanto ci è pervenuto sappiamo che Egli insegnava alle folle;

aveva poi un gruppo di circa 120 discepoli, vi erano i dodici discepoli più stretti e, infine, gli apostoli che di volta in volta gli erano più vicino.

Ovviamente un Maestro di tale portata insegnò anche in molti altri contesti, dando sempre ad ognuno ciò di cui aveva bisogno, fossero guarigioni, lezioni o inducendo esperienze.

Sviluppare il rapporto con un Maestro è una delle massime esperienze che ci si può augurare di vivere.

Il discepolo ben presto si rende conto della necessità di tale rapporto:

«Mentre altrimenti si procederebbe incerti e a tastoni, con tale aiuto il nostro lavoro procede sicuro alla meta.

 Chi cerca persone dotate di conoscenza ed esperienza in tale direzione, non busserà mai invano» .

 

68.

Gesù disse:

 «Beati allorché vi odieranno e vi perseguiteranno.

 Non vi sarà luogo nel quale voi non sarete perseguitati».

Questo passaggio, che si collega anche ai loghion 58 e 69, oltre che ai sinottici di Matteo e Luca, fa parte del corpus delle beatitudini, gli insegna­menti che Gesù dava alle folle e ai grandi gruppi di discepoli.

Si tratta di insegnamenti rivoluzionari, che capovolgono molti dei principi del pensare comune.

Certamente ai tempi di Gesù vi erano molte persecuzioni a cui si poteva essere sottoposti per motivi religiosi e, in seguito, i cristiani ne furono og­getto per secoli.

Ma lo gnostico sa anche che i veri “persecutori” sono tutte le forze che in lui si oppongono al progresso spirituale.

Dentro ognuno vi sono tendenze, comportamenti, pensieri, emozioni che rallentano e spesso bloccano il cam­mino.

Vincere tali forze è fra le conquiste più difficili:

occorre una profonda conoscenza di sé, ma siccome il discepolo ancora non si conosce profondamente, è solo il Maestro che può fornire le giuste strategie per compiere sicuri passi in avanti.

 

69.

Gesù disse:

 «Beati quelli che sono stati perseguitati nel loro cuore.

  Essi sono coloro che, in verità, hanno conosciuto il Padre.

  Beati quelli che sono affamati, giacché il ventre di colui che lo vuole sarà riempito».

 Questo loghion è, quindi, una naturale prosecuzione del precedente.

Coloro che hanno conosciuto il Padre sono i discepoli che hanno avuto da un vero Maestro la grazia di vivere, anche solo per un momento, l’espe­rienza dello Spirito, e che quindi hanno avuto un assaggio della vera cono­scenza spirituale.

Coloro sanno bene cosa stanno cercando e sono talmente “affamati” da riuscire a vincere le forze che li perseguitano nel loro cuore.

 

70.

Gesù disse:

 «Se lo esprimete da voi stessi, ciò che avete vi salverà.

  Se in voi stessi non lo avete, ciò che in voi stessi non avete vi ucciderà».

 Torna la contrapposizione, già trovata in altri loghion, e presente in altri testi gnostici, fra ciò che salva e ciò che uccide.

 Ogni essere umano ha in sé una scintilla divina che se lasciata libera di esprimersi sarà fonte di salvezza.

Il discepolo elimina giorno dopo giorno dalla sua vita tutto ciò che impedi­sce a questa scintilla di brillare e compie un grande lavoro su di sé per essere sempre più puro nel suo cuore.

 

71.

Gesù disse:

 «Distruggerò questa casa, e nessuno potrà riedificarla».

 Questo loghion appare di difficile interpretazione a causa del manoscritto danneggiato.

Alcuni traduttori alla fine del detto pongono “tranne me”, ma non vi è accordo fra gli studiosi’5.

Ma pur nell’incertezza della traduzione, possiamo fare una riflessione at­tinente al testo.

Qual è la casa che Gesù distruggerà?

Nei vangeli è il Tem­pio di Gerusalemme.

Ma in una visione più spirituale la casa è la struttura entro la quale l’uomo è prigioniero, ovvero i sensi e la mente quando è fuori controllo.

Gesù distrugge questa casa-prigione e consente, finalmente, allo Spirito di liberarsi.

Nessuno potrà riedificare la casa per imprigionare nuo­vamente lo Spirito.

 

72.

Un uomo gli disse:

 «Di’ ai miei fratelli che dividano i beni di mio padre con me».

  Egli rispose:

 «Uomo, chi ha fatto di me un divisore?».

  E rivolto ai suoi discepoli disse loro:

 «Sono io  forse, un divisore?».

 Questo loghion trova corrispondenza in Luca 12,13-14.

L’attenzione è posta inizialmente sui beni materiali e sul fatto che essi non dovrebbero es­sere l’obiettivo su cui focalizzarsi.

Sappiamo bene, invece, come molte liti e conflitti nascano dalla lotta per il denaro, per il quale perfino i fratelli entrano in lite fra di loro.

Gesù non si occupa di questo genere di beni, di cui non ne è un divisore, ovvero uno che li distribuisce.

Egli si occupa di beni che appartengono a un altro Padre, che è in cielo, e che sono gli unici “beni” che vale la pena di accumulare perché sono eterni e non deperiscono, non essendo soggetti alle leggi del mondo materiale.

 

73.

Gesù disse:

 «La messe è molta, ma gli operai sono pochi.

  Pregate il si­gnore affinché mandi operai per la messe».

 In un mondo in cui uomini e donne sono presi dalle faccende terrene, Dio cerca persone a cui affidare missioni che riguardano il ricondurre le anime a Lui.

I Maestri sono i primi inviati di Dio e, di epoca in epoca, si incarnano sulla Terra per aiutare l’umanità.

Ma vi sono anche operai che, pur non es­sendo al livello dei maestri, si possono occupare di altri aspetti, ugualmente necessari, offrendo un servizio disinteressato e ugualmente utile a Dio.

Il servizio è uno dei punti essenziali di qualunque cammino spirituale e ogni persona dovrebbe dedicare almeno una parte delle proprie energie, del proprio tempo e dei propri averi nel diffondere gli insegnamenti che consen­tiranno anche ad altri di incamminarsi sulla Via.

 

74.

Egli disse:

 «Signore, molti sono presso il pozzo, ma nessuno è nel pozzo».

 Presso gli ebrei e le popolazioni semitiche il pozzo era simbolo di sag­gezza e conoscenza.

Il loghion, quindi, sottolinea come molti sono intorno al pozzo, cioè ambiscano alla conoscenza, ma pochi sono nel pozzo, cioè riescano ad acquisirla.

Per acquisire la conoscenza è necessario un grande desiderio e molto im­pegno.

Così facendo tutti possono intraprendere il cammino per giungere a conoscere se stessi e Dio, che manderà i necessari aiuti affinché il serio ricercatore possa avanzare sul cammino.

 

75.

Gesù disse:

 «Molti sono coloro che stanno alla porta, ma soltanto i soli­tari entreranno nella camera nuziale».

 Gesù si riferisce alla casa del Padre, nella quale vi è la Camera Nuziale, il
luogo in cui avviene l’unione mistica.

Per gli Gnostici la Camera Nuziale era uno dei sacramenti fondamentali, che ritroviamo espressamente nel Vangelo di Filippo.

Per “entrare” in essa occorre essere solitari, cioè essersi dedicati alla Via spirituale.

L’enfasi sull’essere solitari è tipica dello gnosticismo, che pone una grande importanza sull’elemento della solitudine e del racco­glimento.

Preghiera, meditazione e, talvolta, vita ritirata sono fattori molto importanti per percorrere la Via.

Ma non occorre essere obbligatoriamente degli eremiti.

L’importante, come raccomandano i Maestri, è il ricavare nelle proprie giornate momenti di raccoglimento in cui essere solitari e dedicarsi alle pratiche spirituali.

L’esperienza dimostra, però, che nella frenesia della vita quotidiana è molto difficile ritagliarsi tali spazi:

i molti che stanno alla porta non riescono, infatti, a farlo.

Ma se ci si crea i giusti momenti di rac­coglimento si potrà oltrepassare la soglia ed entrare nella Camera Nuziale.

 

76.

Gesù disse:

 «Il Regno del Padre mio è simile a un commerciante che ave­va della merce, e trovò una perla.

  Questo commerciante era saggio:

 vendet­te la merce e si comprò la perla.

  Anche voi cercate il tesoro che non perisce, che è durevole, là dove non può avvicinarsi il tarlo per rodere, né il verme per distruggere».

 Ancora una volta Gesù raccomanda di non utilizzare le proprie ener­gie e il proprio tempo nella ricerca di ciò che è transitorio.

Nella vita può capitare di fare esperienze che aprono un nuovo livel­lo di comprensione in noi.

Normalmente queste avvengono per opera di un Maestro, che ci mostra le Realtà del mondo dello Spirito.

La perla è simbolo dell’esperienza che cambia qualcosa in noi, e che ci fa anche cambiare modo di vivere.

Ho l discepolo, una volta trovata la perla, dà poca importanza ai tesori che non sono durevoli, pur continuando a vivere nel mondo, egli com­pra la perla, cioè dedica la maggior parte del suo tempo e delle sue risorse alla conoscenza di Dio, il tesoro che non perisce.

 

77.

Gesù disse:

 «lo sono la Luce che sovrasta tutti loro.

  Io sono il tutto.

  Il tutto promanò da me e il Tutto giunge  fino a me.

  Spaccate del legno, io sono lì dentro.

  Alzate la pietra e lì mi troverete».

 Le Scritture delle maggiori Religioni e i Maestri di ogni tempo hanno sempre sottolineato che all’origine di tutto vi è un mondo di Luce.

Il disce­polo, grazie alla guida di un vero Maestro, può accedere a questo mondo e contemplare i mondi dello Spirito, in cui vi regna Dio nella sua forma di Luce eterna ed immutabile.

 

78.

Gesù disse:

 «Perché siete usciti fuori in campagna?

 Per vedere la can­na agitata dal vento?

 Per vedere un uomo vestito mollemente?

 Guardate i vostri re e i vostri grandi!

 Costoro sono vestiti mollemente, e non potranno conoscere la verità».

 Questo loghion trova, probabilmente, un parallelo nei passi di Mt 11:7-8 e Le 7:24.25 in cui Gesù parla di Giovanni il Battista elogiandolo per la sua vita ascetica e di raccoglimento.

L’accento è posto sul fatto che per progre­dire sul sentiero spirituale è necessario scegliere una vita di sani principi.

priva delle distrazioni che provengono dalle eccessive comodità.

I vostri re e i vostri grandi sono tutti coloro che hanno fama e successo nel mondo della materia.

ma sono vestiti mollemente perché tutto ciò lo perderanno al termine della loro vita.

 

79.

Una donna gli disse tra la folla:

 «Beato il ventre che ti ha portato e i seni che ti hanno nutrito!».

  Egli rispose:

 «Beati coloro che udirono il Logos del Padre e lo custodirono veramente!

 Giorni verranno nei quali direte:

 «Beato il ventre che non ha concepito e i seni che non hanno allattato!».

 Il ventre e i seni appartengono al mondo della maternità e da essi nascono gli uomini nella loro forma fìsica.

Ma Gesù porta l’attenzione verso un altro tipo di vita.

ovvero quella di coloro che sono rinati perché hanno udito le di­vine vibrazioni che il Logos continuamente emana, la meravigliosa Musica delle Sfere.

Le persone che rinascono a questa seconda vita non hanno più bisogno di ventre che concepisce e di seni che allattano.

 

80.

Gesù disse:

 «Chi ha conosciuto il mondo ha trovato il corpo, ma colui che ha trovato il corpo è superiore al mondo».

 Si riprende la tematica del loghion 56.

Il discepolo che ha penetrato la natura del mondo materiale ha compreso una grande verità:

il mondo è fatto di realtà transitorie e che, quindi, non possono dare vero benessere.

A questo punto al discepolo si schiude un’altra visione della vita, in cui domina lo spirito e non più la materia.

La sua concezione dell’esistenza si capovolge.

Ciò che prima era prioritario diventa secondario.

Egli vive in una realtà in cui vede la Luce divina e da Essa si fa guidare.

con l’aiuto sapiente di un Maestro illuminato.

Diventa così superiore al mondo.

 

81.

Gesù disse:

 «Colui che si è fatto ricco, diventi re:

 colui che ha il potere, vi rinunci».

 Questo loghion richiama il precedente in alcuni aspetti.

Gesù ripropone la contrapposizione fra ciò che appartiene al mondo della materia, compreso l’esercizio del potere, a ciò che invece appartiene al mondo dello spirito.

Ri­nunciando alle ricchezze e al potere si acquisisce una regalità che trascende la materia.

E’ proprio tramite la rinuncia, quindi, che si ottiene ciò che si è sempre cercato.

 

82.

Gesù disse:

 «Colui che è vicino a me, è vicino al fuoco.

  Colui che è lon­tano da me è lontano dal Regno».

 Il fuoco, la fiamma, la luce.

 Questi elementi, molto presenti nella prima letteratura cristiana, sono giustamente accostati alla figura di Gesù, che è il diretto ambasciatore di Dio sulla terra.

Il discepolo, tramite il Maestro, qui rappresentato dal Cristo, stabilisce un primo contatto con il fuoco, ovvero con la Luce divina.

Da quel momento sta a lui alimentare la fiamma tramite la costante pratica spirituale e l’adozione dei principi etici dettati dal Mae­stro.

 

83.

Gesù disse:

 «Le immagini sono manifestate all‘uomo, ma la luce che è in esse è nascosta nellimmagine della luce del Padre.

  Egli si manifesterà, ma la sua immagine resterà nascosta dalla sua luce».

 Ci si riferisce alla Luce di cui si parla nel loghion precedente.

L’uomo durante lo svolgersi della propria vita viene continuamente in contatto con immagini, cioè con una grande varietà di percezioni sensoriali.

Ma queste non sono che la manifestazione esteriore di una Luce del Padre che tutto sovrasta e da cui si genera la realtà materiale.

Il discepolo che ha ricevuto dal Maestro un primo contatto con la Luce del Padre impara a vedere che le percezioni sensoriali nascondono una realtà molto più grande, in cui vi è nascosta l’immagine del Padre.

Di conseguenza egli farà sì che i sensi e la mente riducano giorno dopo giorno il potere che hanno di condizionarlo, in modo che la sua attenzione si possa rivolgere sempre di più allimmagine della Luce del Padre.

 

84.

Gesù disse:

 «Oggi, allorché vedete un vostro simile, vi rallegrate.

  Ma quando vedrete le vostre immagini che sono state fatte prima di voi, che né muoiono né sono palesi, per quanto sopporterete?».

 Il Pincherle traduce questo loghion in modo piuttosto differente:

«Gesù ha detto:

 Il giorno in cui vedrete a chi assomigliate, vi rallegrerete.

  Ma quando vedrete i vostri Archetipi Viventi che all’inizio erano in voi.

  che non muoiono, né si manifestano, voi resterete stupefatti ».

 Nello Gnosticismo il tema degli archetipi è molto presente, in quanto proviene da una matrice platonica che si ritrova negli scritti del primo cri­stianesimo.

In questo loghion Gesù pone l’attenzione sull’archetipo vivente che è alla base di ogni essere umano e che ne costituisce la natura primaria.

Questo è la parte più spirituale dell’uomo, e quindi la parte eterna e immu­tabile che, nonostante già presente in lui, va riscoperta perché dimenticata e relegata nell’oblio della coscienza.

 

85.

Gesù disse:

 «Adamo scaturì da una grande potenza e da una grande opu­lenza.

  e tuttavia egli non fu degno di voi.

  Se,  infatti, fosse stato degno non avrebbe gustato la morte».

 Il mito di Adamo è molto presente nel panorama del Giudaismo e poi del primo Cristianesimo, e viene rappresentato in modo variegato a seconda dei testi a cui si fa riferimento.

Nello Gnosticismo, Adamo proviene dalla Luce divina;

tuttavia appartiene già a una “caduta” dell’Energia del Padre.

Ecco perché egli scaturì da una grande potenza e da una grande opulenza, ma la sua condizione di mortale non gli ha evitato di gustare la morte.

 Il discepolo può non solo giungere a vivere nella condizione adamitica, ma può arrivare direttamente a fondersi Luce che generò Adamo e tutti gli esseri viventi.

Da questo punto di vista, Adamo non fu degno di voi, ovvero di tutti coloro che si pongono sul cammino spirituale con ardore, seguendo le indicazioni del Maestro che, lo ricordiamo, nello Gnosticismo è rappresentato dalla figura del Cristo Salvatore, ma che per i discepoli di ogni tempo dovrebbe essere un Maestro vivente.

 

86.

Gesù disse:

 «Le volpi hanno le loro tane, e gli uccelli hanno i loro nidi, ma il Figlio dell ‘Uomo non ha alcun luogo ove poggiare il capo e riposare».

 Questo detto, che troviamo in forma analoga anche in Mt e Le, pone colui che vuole abbracciare il cammino spirituale di fronte alla necessità di scio­gliere i legami con la sua vita passata, in cui dominano le false sicurezze c le relazioni basate su legami umani.

Anche se è molto difficile, il discepolo dovrebbe basare la propria vita su ciò che proviene da Dio e sulle sicurezze che solo Lui può offrire.

 

87.

Gesù disse:

 «Misero è il corpo che dipende da un corpo, e misera è l’a­nima che dipende da ambedue».

 Vivendo sulla terra si è obbligati a soddisfare le necessità del corpo.

Le persone hanno paura di cadere in condizioni di precarietà, in cui potrebbe mancargli il necessario.

Tutto ciò è comprensibile.

Tuttavia è bene ricordare che ciò che abbiamo e ciò che ci accade, nella buona e nella cattiva sorte, ha cause “più grandi” di noi.

I nostri sforzi per sopravvivere a nulla varrebbero se non ci fosse una Volontà trascendente che interviene, esattamente come a nulla varrebbero gli sforzi del seminatore se poi non ci fossero gli elementi della natura che, per cause a lui ignote, magicamente intervengono.

Per cui non dovremmo pensare solo al corpo, e quindi basare la nostra vita sulla dipendenza dal esso.

Occorre invece ricordare costantemente che tutto ciò che siamo e tutto ciò che ci accade è espressione di una Volontà più grande e, quindi, affidarci fiduciosi ad Essa.

 

88.

Gesù disse:

 « Verranno a voi gli angeli e i profeti e vi daranno quanto vi appartiene.

  Voi date loro ciò che avete nelle mani.

  Domandate a voi stessi:

 In che giorno verranno a ricevere ciò che è loro? ».

 Gli angeli e i profeti sono gli agenti di Dio che danno e tolgono, facilitano e ostacolano.

Essi ci danno ciò che ci appartiene in base al nostro destino e alle caratteristiche del nostro essere, ma poi torneranno a riprendere ciò che non possiamo trattenere con noi.

Il discepolo dovrebbe sempre tenere pre­sente che tutto ciò che gli appartiene potrebbe essere qualcosa di transitorio, e quindi un giorno potrebbero arrivare angeli e profeti a riprenderselo.

Me­glio focalizzarsi su ciò che nessuno verrà a riprendersi, cioè sui frutti della pratica spirituale e sulle esperienze che essa dona.

 

89.

Gesù disse:

 «Perché lavate la parte esterna del bicchiere?

 Non compren­dete che colui che ha fatto la parte interna è lo stesso che ha fatto lesterna?».

 Il bicchiere, o per meglio dire, la coppa o il calice, è un simbolo che ac­compagna da sempre il Cristianesimo.

Esso rappresenta l’uomo nella sua parte umana (la parte esterna) e nella sua parte divina (la parte interna).

Gesù richiama l’attenzione sul fatto che le persone curano molto di più l’esterno di se stessi, ovvero le apparenze, la vuota personalità, l’ego.

Ciò avviene perché spesso si ha paura di mostrarsi per ciò che si è realmente.

Ma lo gno­stico persegue la verità, per cui si concentra sulla parte interna, ovvero sulla vera sostanza del suo essere.

Tutti sappiamo che un calice può contenere una qualche sostanza solo se si versa al suo interno.

Se la versiamo all’esterno questa sostanza andrà dispersa.

Per cui il discepolo, tramite la pratica spiri­tuale, riempie giorno dopo giorno l’interno del proprio calice, alimentando­ne il contenuto e pensando che in definitiva tutto proviene da Colui che ha fatto il calice, il Padre Supremo.

 

90.

Gesù disse:

 « Venite a me, poiché il mio giogo è dolce e mite la mia domi­nazione, e troverete per voi un riposo».

 Tutti i loghion del Vangelo di Tomaso sono importanti, ma riteniamo che soprattutto questo dovrebbe essere tenuto in grande considerazione.

Un passo analogo lo troviamo anche in Mt 11,28-30 e in Pistis Sofia 95, 3-4.

Questi due testi ci offrono interpretazioni dello stesso Gesù, in cui egli esorta a rinunciare al mondo per conoscere il Mistero dell’Ineffabile.

Come possiamo rinunciare al mondo pur dovendoci vivere?

In realtà si tratta di rinunciare sempre di più alle percezioni dei sensi e al pensare compulsivo della mente.

Ciò è detto chiaramente in tutti gli insegnamenti spirituali e da tutti i Maestri.

Chiudendo le porte delle percezioni sensoriali si ha un abbas­samento del l’incessante susseguirsi di pensieri, e l’attenzione può concen­trarsi sulle percezioni spirituali che giungono in forma di Luce e Suono divi­ni direttamente da Dio.

A fronte di una rinuncia, grande solo in apparenza, si ha un dono immenso:

«Colui che perviene alla conoscenza di quel Mistero, rinuncia a tutto questo mondo e a tutte le sollecitazioni che si trovano in esso.

  È per questo che, una volta, vi dissi:

 Quanti siete afflitti e aggravati sotto il vostro peso, venite a me e vi ristorerò:

 poiché il mio peso è leggero e il mio giogo è dolce ’’»,

Non bisognerebbe, quindi, pensare che le rinunce siano una perdita, ma che, al contrario, siano un grande guadagno a seguito del quale la nostra vita si alleggerirà e diventerà sempre più bella.

 

91.

Gli dissero:

 «Manifestaci chi sei, affinché possiamo credere in te!».

  Egli disse loro:

 «Mettete alla prova la superficie del cielo e della terra, e non avete riconosciuto colui che è davanti a voi, Voi non sapete come mettere alla prova questo tempo»,

Questo loghion riflette in una certa misura quanto detto nel loghion 52.

I discepoli di Gesù non sono in grado di riconoscere che Gesù è una sola cosa con Dio.

D’altra parte come potrebbero?

Nessuno può riconoscere un qual­cosa che non ha mai visto.

Ecco, quindi, la necessità di poter almeno per una volta vedere Dio, o almeno, una sua diretta manifestazione, esperienza che solo un Maestro può concedere.

Il Maestro, infatti, è colui che concede una
prima esperienza al discepolo (iniziazione), che a sua volta da quel momento può percorrere il cammino velocemente e con passo sicuro.

Il discepolo non può capire la grandezza del Maestro, e di conseguen­za non potrebbe mai riconoscerlo se non fosse Lui ad attirarlo a sé.

Anche Gesù, infatti, chiamò egli stesso i suoi discepoli e alcuni di loro fecero parte del circolo dei dodici.

La “chiamata” può avvenire in molti modi, e sono le astuzie del Gioco Divino a determinare il modo più o meno esplicito in cui il Maestro chiamerà.

Nel momento in cui si inizia a desiderare ardentemente di entrare in contatto con un Maestro illuminato possiamo essere certi che in tempi brevi ciò avverrà.

 

92.

Gesù disse:

 «Cercate e troverete.

  Ma le cose sulle quali in quei giorni mi avete interrogato, io non le ho dette, allora.

  E adesso che io desidero dirvele, voi non me le domandate».

 Se leggiamo Gv 16,4-5 possiamo renderci conto che a volte le emozioni ci impediscono di concentrarci su ciò che sta accadendo.

In questo caso Gesù sta parlando ai discepoli delle persecuzioni future e possiamo immagi­nare che il loro stato d’animo fosse afflitto.

Gesù, d’altra parte, sta per svela­re loro delle verità spirituali di grande portata.

Gli stessi discepoli in passato gli avevano chiesto di parlargli di quelle cose, e ora che Gesù sta per farlo essi non gliele domandano.

Ma Gesù, che legge sia nell’animo dei discepoli che negli eventi futuri, parlerà loro della sua missione in cui vi sarà la vit­toria sulla morte, e della futura venuta dello Spirito Santo che metterà gli stessi discepoli in condizione di proseguire la diffusione del Vangelo.

Gesù fa capire in modo inequivocabile che Lui è uno con il Padre e che, quindi, i discepoli in quel momento stanno vedendo Dio.

 

93.

Gesù disse:

 «Non date ciò che è santo ai cani, affinché non lo gettino nel letamaio.

  Non gettate le perle ai porci, affinché non le calpestino».

 Il loghion riprende il noto passaggio di Mt 7,6 che fa parte del corpus di insegnamenti di Gesù racchiusi nel Discorso della Montagna.

 Il significato è intuibile e, come sempre, ognuno dovrebbe contestualizzarlo nel momento che sta vivendo.

Come accade per altri insegnamenti del Cristo, trasportare nel concreto ciò che Egli indica è molto difficile.

Ma non bisogna perdersi d’animo e andare avanti ricordando che nella visione gnostica Dio non valuta in base ai risultati, ma in base allo sforzo e al desiderio che si ha di Lui.

Come diceva il grande Maestro Kirpal Singh:

«Se fate un passo verso Dio, Lui ne farà cento verso di voi».

 

94.

Gesù disse:

 «Colui che cerca, troverà:

 e a colui che bussa sarà aperto».

 Questo loghion, anch’esso presente in Mt e Le, ben si collega a quello precedente e si presta a vari livelli di interpretazione.

Cercare e bussare sono due momenti della ricerca di Dio, che avviene soprattutto nei momenti di preghiera e di meditazione.

Occorre innanzitutto ritirare l’attenzione dalla coscienza fisica, cioè dalle percezioni sensoriali e dai processi mentali, portando tutta l’attenzione al di sopra di essa.

Saggi e mistici indicano in modo preciso questa fase, in cui ci si concentra sulla porta dell anima, detta anche decima porta, o terzo occhio, situato nel punto fra le sopracciglia alla radice del naso.

Questa è la fase del cercare, e se ci si concentra a sufficienza sicuramente si troverà una Luce straordinaria che è manifestazione di Dio.

A quel punto si busserà e essa si aprirà, potendola attraversare e accedendo ai mondi dello Spirito.

Tutto ciò si può raggiungere con l’aiuto di un Maestro che ci guida sul sentiero che ci porterà a scoprire nuove dimensioni e nuove realtà.

 

95.

Gesù disse:

 «Se avete del denaro, non imprestatelo per interesse, ma da­telo a uno dal quale non lo riavrete».

 Questo loghion utilizza la metafora del denaro per illustrare un principio che viene adottato in tutte le scuole di spiritualità e in tutte le religioni:

il ser­vizio disinteressato e il fare senza aspettarsi nulla in cambio dagli uomini.

  L’unico che può dare vere ricompense è Dio, che tutto osserva nella nostra vita e che tiene conto in ogni momento del bilancio delle nostre azioni.

Saggi e mistici raccomandano, quindi, di non attendersi nulla in cambio di ciò che facciamo e di lasciare il possibile raccolto nelle mani di Dio e del nostro Maestro spirituale.

 

96.

Gesù disse:

 «Il Regno del Padre è simile a una donna:

 prese un podi lievito, lo nascose nella pasta, e ne fece dei grandi pani.

  Chi ha orecchie, intenda!».

 Questo detto di Gesù è presente anche in Mt 13,33 e in Le 13, 20-21, ma con una importante differenza di significato.

Come fa giustamente notare il Moraldi, infatti, nei due sinottici il Regno di Dio è paragonato al lievito, mentre nel presente testo di Tommaso è la donna ad essere simile al Regno del Padre.

Nello Gnosticismo la figura femminile è molto importante.

Anche nei capitoli precedenti abbiamo visto che la donna è molto considerata e che,
spesso, le protagoniste di fatti importanti sono proprio personaggi femmini­li.

Non ci dobbiamo, quindi, meravigliare se qui si mette in risalto la donna che, con la perizia di una persona esperta, prende il lievito e lo nasconde nella pasta, affinché esso non vada disperso o sprecato.

Infine, tramite un sapiente lavoro di impasto, metafora del lavoro spirituale che il discepolo compie su di sé, ne fa dei grandi pani ottenendo grandi risultati e un prodotto che può anche nutrire altri esseri viventi.

Questo ultimo aspetto è di prima­ria importanza, dato che ciò che si ottiene nel percorso spirituale dovrebbe sempre essere utile non solo a noi, ma anche ad altre persone.

 

97.

Gesù disse:

 «Il Regno del padre è simile a una donna che recava una brocca piena di farina.

  Mentre camminava per una strada lungi da casa, si ruppe lansa della brocca e la farina uscì sulla via:

 lei non se ne accorse e non badò allincidente.

  Giunta a casa sua posò la brocca e la trovò vuota».

 Una donna che cammina, metafora dell’anima sul percorso esistenziale, che senza accorgersene perde qualcosa di sé.

Giunta a destinazione si rende conto che ciò che aveva con sé non c’è più:

la farina, simbolo delle doti di cui era stata fornita, è andata dispersa e, da quel momento, lei dovrà lavorare duramente per riconquistare ciò che è andato perduto.

Come fa notare il Moraldi, la vicenda descritta in questo loghion si può ben accostare a ciò che accade al protagonista dell’inno della Perla, che si ritrova in un mondo ostile avendo perso le proprie caratteristiche regali.

In ogni caso questo è il percorso dell’anima, ben descritto nei testi gno­stici, che “cade” e poi, grazie all’aiuto del Salvatore, si rialza e torna alla sua condizione di regalità e vicinanza con Dio.

Questo è ciò che accade a tutti gli esseri viventi e possiamo essere certi che, nonostante le grandi difficoltà e le sofferenze, prima o poi tutti torneremo a occupare il posto che ci spetta nel Regno del Padre!

 

98.

Gesù disse:

 «Il Regno del Padre è simile ad un uomo che vuole uccidere una persona potente:

 in casa propria estrae la spada e trapassa una parete, per provare se la sua mano è abbastanza forte.

  Poi uccise quella persona potente».

 La persona potente o, come traduce il Pincherle, il grande personag­gio, potrebbe essere il nostro ego, ovvero tutti gli aspetti della nostra perso­nalità che ci allontanano da una retta percezione di noi stessi e alimentano l’illusione di qualcosa che non corrisponde alla realtà dei fatti.

Chi percorre il cammino spirituale si allena giorno per giorno a “uccidere” il proprio ego,

rinforzando la propria mano nel tenere la spada.

Nel momento in cui egli sarà abbastanza forte “trafiggerà” gli aspetti di se stesso che gli impediscono di giungere alla mèta del percorso spirituale.

In tutto ciò, nonostante si uti­lizzi la metafora della spada, non bisogna dimenticare che l’amore rimane sempre la componente principale, e che questo processo va realizzato con la guida di un Maestro competente.

 

99.

I discepoli gli dissero:

 «Fuori ci sono tua madre e i tuoi fratelli».

  Egli rispose:

 «Quelli che sono qui.

  quelli che fanno la volontà del Padre mio, costoro sono miei fratelli e mia madre.

  Questi entreranno nel regno di mio Padre».

 Celebre passaggio presente in forme simili anche in Mt 12, 46-50;Me 3, 31 -35 e Le 8.19-21.

Fare la volontà del Padre mio vuol dire sostanzialmente mettere in pratica gli insegnamenti del Maestro, che ne è il diretto portavoce.

La metafora della parentela, a sua volta, è utilizzata per trasmettere la vici­nanza con Gesù:

chi, infatti, nella vita è più vicino della madre e dei fratelli?

 Ma Gesù dice chiaramente che è mettendo in pratica i suoi insegnamenti, cosa che fanno i suoi discepoli, che si è vicini a Lui e che si entrerà nel degno del Padre.

 

100.

Mostrarono a Gesù una moneta d’oro e gli dissero:

 «Gli agenti di Cesare esigono da noi le tasse».

  Egli rispose:

 «Date a Cesare ciò che è di Cesare:

 date a Dio ciò che è di Dio:

 e date a me ciò che è mio».

 Gesù sottolinea la necessità di rimanere concentrati sulle questioni del­lo Spirito, senza farsi distogliere dalle questioni materiali rappresentate, in questo loghion, dal denaro e dal potere.

Il passo è presente in tutti e tre i sinottici ma in nessuno dei tre vi è l’ultima parte:

date a me ciò che è mio.

 Quest’ultima riguarda un aspetto fondamentale del cammino spirituale, ovvero il rapportarsi con il Maestro mettendo nelle sue mani la nostra vita, dando a lui totale fiducia e tutto ciò che abbiamo.

Non è un atto di rinuncia o di debolezza.

Al contrario, è ciò che fa il discepolo quando si rende conto che è solo grazie al Maestro che può procedere in modo sempre più rapido e sicuro.

 

101.

Gesù disse:

 «Colui che non odia suo padre e sua madre come me.

  non è adatto ad esser mio discepolo.

  E colui che non ama suo padre e sua madre
come me.

  non può divenire mio discepolo.

  Poiché mia madre mi diede men­zogna, ma la mia vera madre mi diede la vita».

 Si riprende, seppure con delle varianti, la tematica del loghion 99.

In que­sto caso, però, l’enfasi è posta sul binomio genitori biologici-genitori celesti.

I primi vanno odiati, nel senso che bisogna capire che sono figure a cui non attaccarsi e il cui legame si limita a una discendenza terrena.

Essi ci han­no dato quanto di meglio potevano, ma ci hanno anche trasmesso i loro limiti e le loro paure.

Tuttavia essi vanno anche amati perché ci hanno fornito le condizioni per tornare a vivere e fare le esperienze necessarie alla crescita della nostra anima.

Ma la seconda frase si riferisce anche ai genitori celesti, che vanno amati in quanto veri genitori, il cui rapporto non si esaurisce con la discendenza di questa vita.

Essi danno amore in forma elevata e non ci sottopongono ai limiti del modo di ragionare umano.

Tramite il loro amore le paure si dissolvono e si riacquista fiducia nella vita, che si riempie di fe­licità.

La madre biologica dà menzogna, nel senso che dà la vita fisica da cui bisogna cercare di affrancarsi.

La vera madre è quella celeste, che dà la vita all’anima e ci nutre sul piano spirituale.

È importante ricordare la differenza fra genitori biologici e genitori cele­sti e, pur essendo grati ai primi, volgere lo sguardo ai Genitori Eterni.

 

102.

Gesù disse:

 «Guai ai farisei!

 Sono, infatti, come un cane accovacciato su una mangiatoia di buoi:

 né mangia, né lascia che mangino i buoi».

 I Farisei erano uno dei gruppi politico-religiosi più importanti in Pale­stina ai tempi di Gesù.

Essi propagandavano una forma di pensiero basata sulla rigida adozione delle norme giudaiche, che spinsero sino agli eccessi del fondamentalismo.

Gesù li attacca varie volte mettendo in luce il loro comportamento poco coerente:

essi infatti professavano valori che poi non mettevano in pratica.

In questo loghion essi vengono dipinti come coloro che hanno perso le chiavi della conoscenza, e proprio per questo non solo non sono più in grado di guidare gli altri, ma fanno di tutto perché nessuno giunga alla vera conoscenza.

Per il discepolo i Farisei sono la metafora delle forze psichiche che “sbar­rano” il cammino, che frappongono ostacoli, che fanno sembrare che tut­to sta andando bene mentre invece si è in un vicolo cieco.

Queste forze si possono manifestare in molti modi, a seconda della natura della persona e delle caratteristiche della sua psiche.

Occorre molta determinazione per non cadere nelle loro trappole e, soprattutto, è necessario un Maestro che ci guidi e di un gruppo di lavoro in cui trovare supporto.

 

103.

Gesù disse:

 «Beato luomo che sa da quale parte entreranno i ladri, per­ché s alzerà, concentrerà la sua forza, e si cingerà i fianchi prima che essi arrivino».

 In questo loghion i ladri possono essere interpretati come la metafora di tutto ciò che allontana l’uomo dall’obiettivo più importante:

tornare nel Regno del Padre.

conoscendo se stessi si conoscono anche i propri punti deboli e le dinamiche che ci distolgono dall’obiettivo.

I pensieri automatici, soprattutto, sono elementi di forte distrazione, e creano una realtà che ci condiziona negativamente.

Noi siamo i nostri pensieri, e i nostri pensieri de­terminano la nostra vita.

Si può capire, quindi, quanto sia importante sapere da quale parte “entreranno” i pensieri e creare una certa distanza con essi, ovvero cingersi i fianchi prima che essi arrivino.

Certamente vi sono anche altri ladri.

 Quando in noi accadono proces­si mentali, emozionali e quando compiamo azioni che sfuggono al nostro controllo, possiamo dire che i ladri sono entrati nella nostra abitazione.

 Ma non dovremmo reagire avvilendoci ma, al contrario, essere contenti perché abbiamo scoperto nuovi punti di noi da vedere e correggere.

 

104.

Gli dissero:

 « Vieni, oggi preghiamo, e digiuniamo!».

  Gesù disse:

 «Che peccato ho dunque commesso, o in che cosa sono stato vinto?

 Ma quando lo sposo uscirà dalla stanza nuziale, allora digiuneranno e pregheranno».

 Gesù vive in perfetta comunione con il Padre, per cui quale peccato può aver commesso?

Finché si vive nella condizione di unione con il Divino, che nello Gnosticismo è rappresentata dal sacramento della Camera Nuziale, le pratiche e i sacrifìci sono meno necessari.

Quando si vive, invece, al di fuori della stanza nuziale, allora è necessario compiere preghiere e fare sacrifici per conquistare la comunione con Dio.

 

105.

Gesù disse:

 «Colui che conosce il padre e la madre sarà detto “figlio di prostituta».

 Nel caso del Pincherle, chi conosce i veri Genitori celesti sarà sempre consapevole di provenire da una discendenza spirituale, quindi non potrà essere un figlio di puttana.

 Gesù si serve di un’immagine forte, quella della prostituta, che comun­que troviamo spesso nella tradizione del primo Cristianesimo e che, come vedremo nei prossimi capitoli, è presente anche nell’inno alla Perla per de­scrivere la condizione dell’anima che “cade” nel mondo materiale e deve
prostituirsi per poter sopravvivere.

Nel momento in cui l’anima, e quindi la persona incarnata in un corpo fisico, ricorda la sua vera discendenza può co­minciare il cammino di ritorno verso la sua Patria Celeste.

Essa è richiamata continuamente dai suoi veri Genitori, e tramite disavventure e sofferenze diventerà sempre più disponibile a rispondere al divino richiamo.

 

106.

Gesù disse:

 «Quando di due farete uno.

  sarete figli dell ‘uomo;

 e quando direte a un monte:

 Allontanati!

”, si allontanerà».

 Si riprende la tematica del loghion 48.

Il detto si trova anche in Mt 21,21 e Me 11.23 seppure con delle significative varianti.

Gesù richiama l’attenzione sulla necessità di essere unitari, mentre sap­piamo bene come le persone vivano in uno stato di separazione interiore.

In una stessa persona convivono numerosi “IO” che lottano per prendere il potere e trascinare l’individuo nella direzione da essi desiderata.

Ciò che ne deriva è un comportamento pieno di azioni dannose per se stessi e gli altri, depressione, perdita di energia, tempo trascorso senza sapere cosa sia giusto fare.

Fare di due uno vuol dire riacquistare una unità interiore e concentrare la totalità di se stessi nel fare ciò che è meglio.

In questo modo si acquisisce una forza straordinaria e anche le imprese più diffìcili diventano possibili.

Concentrazione e attenzione si sviluppano al massimo grado.

L’energia che ci anima cresce e la fiducia ci permea donandoci benessere.

 

107.

Gesù disse:

 «Il Regno è simile a un pastore che ha cento pecore.

  Una.

  la più grande, si smarrì.

  Egli lasciò le novantanove e cercò quelluno fino a quando la trovò.

   Dopo che si era affaticato disse alla pecora:

 Ti amo più delle novantanove ».

 Il passaggio lo troviamo anche in Mt 18:12,13 e Le 15:4-7, ma con una importante differenza:

qui la pecora smarrita è la più grande.

 A chi percorre un cammino spirituale può capitare di smarrire la fede, o di dimenticarsi del suo obiettivo, e perdersi in attività che lo allontanano dalla meta, In questo caso, non appena se ne renderà conto, egli non esiterà a lasciare tutto ciò che di futile riempie la sua vita e fare qualunque cosa per ritrovare il cammino.

Spesso ci troviamo in situazioni che ci fanno stare male e non ci fanno progredire;

vorremmo uscirne ma non ci riusciamo.

Ma piano piano, aiutati dalla Grazia di Dio, troviamo la forza e le condizioni per tornare sulla strada retta:

abbiamo ritrovato la pecora più grande.

 

108.

Gesù disse:

 «Colui che beve dalla mia bocca, diventerà come me;

 io stes­so diverrò come lui e gli saranno rivelate le cose nascoste».

 “Bere” dalla bocca del Maestro porta a una totale comunione con lui, per cui Maestro e discepolo diventano come un unico essere.

Quando ciò accade al discepolo si aprono le porte della conoscenza e gli vengono rivelate le cose nascoste.

 Il rapporto fra Maestro e allievo è l’elemento più importante per progre­dire sul cammino della spiritualità.

Anche i Maestri hanno avuto, a loro vol­ta, un Maestro, prova ne è che la Conoscenza ha bisogno di un canale diretto per essere trasmessa.

Alcuni sostengono di poter fare da soli, ma presto si renderanno conto di non riuscire ad andare avanti o, addirittura, di tornare indietro.

Il Maestro mette la propria vita al servizio completo dei suoi discepoli, e in ciò manifesta il più grande atto d’amore che sia possibile compiere.

 

109.

Gesù disse:

 «Il Regno è simile a un uomo che, senza saperlo, ha un te­soro nascosto nel suo campo.

  Dopo la sua morte, lo lasciò al figlio.

  Il figlio non ne sapeva nulla:

 ereditò il campo e lo vendette.

  Il compratore venne e, mentre arava, trovò il tesoro:

 e cominciò a imprestare denaro a interesse a quelli che voleva».

 Questo loghion appare inizialmente piuttosto enigmatico.

Una possibile interpretazione può essere la seguente:

/ ‘uomo che ha il tesoro nascosto nel suo campo è l’essere umano, che contiene in sé una scintilla divina ma ne è del tutto ignaro.

II figlio è l’uomo stesso che, una volta preso dalle vicissi­tudini della vita materiale, dimentica completamente non solo la sua origine divina, ma perde di vista persino ciò che lo rende bello, speciale e unico.

Egli “vende” se stesso (il campo) all’impero dell’egoismo, in cui regnano la ricerca del potere e del piacere fine a se stesso.

Il compratore è sempre lui nel momento in cui ha perso ogni contatto con le amorevoli vibrazioni provenienti dall’Assoluto.

La sua vita ora è totalmente immersa nelle tenebre e nella mancanza di amore, e inizia a imprestare denaro per interesse.

 Ma il Padre non lo abbandona, come potrebbe?

E gli manda degli indizi, degli stimoli che lo porteranno a ritrovare il tesoro che è da sempre nascosto il lui.

Gli esseri umani sono persi nelle illusioni del mondo.

Ma il Padre Asso­luto non li abbandona mai e continuamente, di epoca in epoca, invia suoi Messaggeri per richiamare a sé gli individui che vogliono ascoltare la Sua Voce.

E il caso di Gesù, il Salvatore, e di tutti i grandi Maestri che di epoca in
epoca si sono incarnati con la missione di ricondurre le anime nelle dimen­sioni celesti del Padre in cui regnano gioia e benessere totali.

Prima o poi tutti gli esseri umani risponderanno a tale richiamo e inizie­ranno a percorrere la Via del ritorno.

 

110.

Gesù disse:

 «Colui che ha trovato il mondo ed è diventato ricco, deve rinunciare al mondo».

 Viene ripresa la tematica del loghion 81.

La rinuncia è una tematica im­portante, ma bisogna ricordare che la vera rinuncia non consiste nella priva­zione, ma nel distacco.

Vari maestri e personaggi di somma saggezza erano ricchi o addirittura re, come Krishna o Salomone;

tuttavia essi mostrarono una levatura spirituale di immensa grandezza.

La rinuncia fine a se stessa potrebbe, perfino, produrre problemi come la rigidità mentale, il fondamentalismo, l’applicazione fine a se stessa delle regole.

E di conseguenza anche emozioni distruttive come odio, rabbia, tri­stezza, paura e disperazione.

Come ribadisce spesso il Maestro Pier Franco Marcenaro.

dobbiamo imparare ad essere felici in qualunque condizione la vita ci ponga, sia essa di ricchezza o di povertà, coltivando il corretto distac­co dalle cose esteriori.

 

111.

Gesù disse:

 «I cieli e la terra scompariranno davanti a voi, e colui che vive dal Vìvente non vedrà né la morte né la paura.

  Poiché Gesù dice:

 Il mondo non è degno di colui che troverà se stesso

Osservando la Terra e l’Universo si rimane ammirati da tanta bellezza:

la creazione appare in tutta la sua maestosità, e si ha l’impressione che tutto ciò sia eterno.

In realtà non è così:

i grandi Maestri di ogni tempo hanno sempre sottolineato che il piano fisico e l’intero Universo sono soggetti a dissoluzione.

Certamente si tratterà di tempi lunghissimi, ere geologiche, ma ciò avverrà.

E, come se tutto ciò non bastasse, persino le dimensioni che si innalzano oltre quella fisica, che in questo loghion sono i cieli, sono soggette a dissoluzione e temporaneità.

In tutto ciò l’uomo è realmente minuscolo e la durala della sua vita appare come se fosse semplicemente un attimo.

Ep­pure uomini e donne si comportano come se fossero eterni, completamente dimentichi del fatto che tutto ciò che sono e che possiedono lo dovranno presto abbandonare.

Ma per colui che trova se stesso le cose cambiano, per­ché egli scopre la parte di sé immortale e non vedrà né la morte né la paura.

 Il modo migliore di impiegare la propria vita è quello di ricercare se stessi e vivere nel Vivente.

 

112.

Gesù disse:

 «Guai alla carne che dipende dall’anima!

 Guai all’anima che dipende dalla carne’.».

 Si riprendono le tematiche dei loghia 29 e 87.

Possiamo aggiungere che la carne, ovvero il corpo fisico, comporta tutta una serie di percezioni senso­riali e mentali da cui, purtroppo, l’uomo non riesce a liberarsi.

Naturalmente i sensi e la mente sono indispensabili per vivere sulla terra;

il problema si pone quando essi prendono il sopravvento sulla volontà.

Quando i sensi ci spingono a fare cose contro la nostra volontà, come ad esempio mangiare oltre il necessario, stare continuamente di fronte al computer o alla televi­sione.

cercare il piacere anche quando dovremmo fare cose importanti, vuol dire che siamo caduti preda di essi.

Quando la mente ci bombarda con pen­sieri continui che si riferiscono al passato o a un ipotetico futuro, e quando ci impedisce di concentrarci sul momento presente facendoci vivere in una dimensione illusoria, allora vuol dire che essa, che dovrebbe essere “serva” della nostra volontà, sta facendo da padrona a tutto il nostro essere.

Questa, purtroppo, è la condizione in cui viviamo quasi sempre, sprecando un’enor­me quantità di tempo ed energie.

Meraviglioso, invece, è essere totalmente nel momento presente con tutto se stessi!

Tutte le Tradizioni spirituali e i Maestri indicano dei metodi per ridimensionare, gradualmente, i sensi e la mente e fuggire dalla “prigione” da essi rappresentata, in modo che / ‘anima non dipenda più dalla carne né la carne dallanima.

 

113.

I discepoli gli domandarono:

 «In quale giorno verrà il Regno?».

  Gesù rispose:

 «Non verrà mentre lo si aspetta.

  Non diranno:

 Ecco, è qui! .

  Op­pure:

 Ecco è là! .

  Bensì il regno del Padre è diffuso su tutta la terra, e gli uomini non lo vedono».

 Queste parole di Gesù ci invitano a non cercare il Regno in specifici ambiti della vita o della creazione materiale.

Piuttosto dovremmo sempre pensare che il Regno è in ogni luogo e in ogni tempo.

Tutto è manifesta­zione dell’Assoluto.

L’uomo dovrebbe intraprendere il cammino che dalle manifestazioni materiali lo riportano a quelle spirituali.

Conosciuto il creato l’uomo dovrebbe conoscere sempre di più il Creatore!

 

114.

Simon Pietro disse loro:

 «Maria deve andare via da noi!

 Perché le fem­mine non sono degne della vita».

  Gesù disse:

 «Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi ma­schi.

  Poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei Cieli».

 Questo passaggio ha fatto molto discutere a causa del fatto che pone l’ac­cento su un aspetto di identità di genere dei discepoli, in cui le discepole donne potevano essere discriminate.

Gesù non fa mai differenze fra i generi, tantomeno discrimina le donne.

In Pistis Sophia abbiamo più volte parlato del ruolo fondamentale dato alle discepole e alle donne che circondavano il Maestro.

Il loghion, inoltre, si può leggere con altri significati più profondi.

Se­condo le tradizioni del primo cristianesimo l’uomo fu creato come un essere del tutto unitario.

Il problema dell’identità di genere semplicemente non si poneva.

Fu in seguito, come ben sappiamo dai racconti edenici e dalle varie cosmogonie, che l’essere androgino fu “diviso” in maschio e femmina.

Gesù richiama alla ricerca dell’unità originaria.

Essendo quella femminile la parte tradizionalmente “debole”, il lavoro con cui si integrano le parti deboli o mancanti è stato storicamente associato alla femmina che si fa maschio.

 Ma, lo ripetiamo, ciò non ha nulla a che vedere con l’essere nati uomo o donna, anche se è comprensibile che per queste ultime la questione si è da sempre posta in modo poco lusinghiero.

 

Tratto da “Viaggio nella Gnosi” di Andrea Bertoloni e Fabio Imbergamo